Ex Ilva, l’allarme di Palombella: «Si fermano gli impianti, giorni contati per l’acciaieria»

Ex Ilva, l'allarme di Palombella: «Si fermano gli impianti, giorni contati per l'acciaieria» Ex Ilva, l’allarme di Palombella: «Si fermano gli impianti, giorni contati per l’acciaieria»

«Attenzione a perdere ancora altro tempo, perché così l’acciaieria, che già procede a marcia ridottissima, si ferma». L’avvertimento è di Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, una vita intersecata con le vicende dell’ex Ilva da quando fu assunto nel 1973 nello stabilimento che all’epoca si chiamava Italsider.

Gli azionisti trattano e gli impianti di Acciaierie d’Italia si fermano: ci spiega cosa sta succedendo a Taranto?
«Succede che il cronoprogramma di spegnimento annunciato nel 2019, e poi evitato, questa volta si sta compiendo sotto gli occhi dei lavoratori e nel silenzio assordante: l’unico altoforno che procede a marcia ridotta è il 4, l’altoforno 1 è fermo da agosto nonostante lo stop annunciato per un solo mese, da qualche giorno anche il 2 è stato fermato».

Cosa significa per lo stabilimento?
«Con due forni a marcia ridotta si producevano 7 mila tonnellate al giorno di acciaio, poco meno di 3 milioni all’anno. Allo stato attuale se ne produce la metà, poco più di un milione all’anno: nel 2012 le tonnellate erano più di 8 milioni. A cascata, in queste condizioni, si fermano anche le batterie e i treni nastri, con problemi non solo produttivi ma anche di sicurezza precaria. Come si fa a non essere preoccupati?».

Di cosa in particolare?
«Il rischio è che si fermi tutto senza una manutenzione adeguata. Lo stop di un forno andava accompagnato dalla ripartenza di un altro: ma noi non siamo a conoscenza di una programmazione ufficiale. Sa da quando non parliamo con l’azienda? ».

Dica.
«Non incontriamo l’azienda da un anno e mezzo, se si escludono i contatti con le rsu per la gestione corrente: in pratica noi sindacati parliamo solo con il governo».

Per questo volete che ArcelorMittal lasci la gestione. Preferite addirittura il ricorso all’amministrazione straordinaria?
«Non abbiamo preferenze, ma posso dire che forse un nuovo accordo che preveda la permanenza di ArcelorMittal sia peggio dell’amministrazione straordinaria perché significa mantenere la situazione già vista negli ultimi anni: con Mittal dentro, nessun nuovo socio privato italiano si avvicinerà. Se invece si parla di un accordo che prevede l’uscita di Mittal, allora è preferibile al commissario. Ma il tempo è già scaduto».

In che senso? Le parti, Invitalia (socio di Acciaierie d’Italia al 38%) e ArcelorMittal (al 62%), trattano ancora.
«E invece è arrivata l’ora di smetterla con le lettere, che si mandano l’uno agli altri, che tendono a rimandare l’assunzione di responsabilità da parte del governo: tanto in una settimana non si trova l’accordo bonario dopo che si parlano da mesi».

Ce l’ha proprio con ArcelorMittal.
«Perché negli ultimi anni ha fatto ostruzionismo spasmodico: da un lato ferma gli impianti e dall’altro dice che vuole rimanere. Ma a fare cosa, a continuare la discesa produttiva da 6 a 3 milioni di tonnellate?».

Se è vero quello che dice allora non ci sono alternative all’amministrazione straordinaria. La rete di protezione per l’indotto, dall’estensione della Cig alla tutela dei creditori, predisposta dal governo è sufficiente?
«Gli interventi sono di lungo respiro, invece bisognerebbe agire subito».

Come?
«Noi vorremmo che i futuri commissari o il prossimo amministratore delegato tutelino immediatamente le imprese dell’appalto, per evitare che si ripeta quanto accaduto nel 2015: 150 milioni di crediti andati in fumo. Ora ci sono altri 170 milioni di crediti, al netto della guerra sulle cifre, senza i quali le aziende della filiera fallirebbero. Per questo non basta prevedere che quei crediti diventino privilegiati, occorre saldarli».

Con quali soldi?
«Con i 320 milioni che il governo, attraverso Invitalia, si è detto disposto a mettere a disposizione».

Poi bisognerà comprare anche gli impianti da Ilva in amministrazione straordinaria, e ci vorrà circa un miliardo.
«Certo, solo così si potrà pensare al futuro, alla trasformazione di un’azienda in coma a una che può produrre ricchezza con l’ambientalizzazione».

Potesse decidere lei, come procederebbe?
«Con l’altoforno 5 ricostruito con nuove tecnologie, affiancato da due forni elettrici. In attesa che nu terzo forno elettrico permetta successivamente di spegnere l’altoforno. Le risorse ci sono, almeno 2 miliardi provenienti dal Pnrr ai quali aggiungere le risorse di un nuovo privato. Perché lo Stato non è Babbo Natale come qualcuno forse credeva».

Così si arriverebbe alla nuova Ilva ambientalizzata. In versione mini o con le dimensioni attuali?
«Attenzione, la mini Ilva non esiste: vanno tutelati non solo i 10.700 dipendenti attuali ma anche i 2 mila di Ilva in amministrazione straordinaria. Acciaierie ambientalizzata sì, ma non piccola».

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