Tra le tre ipotesi possibili per superare lo stallo sull’ex Ilva, il governo sembra aver deciso di percorrere quella a più forte impatto: l’amministrazione straordinaria. Solo le prossime ore diranno se la minaccia si tramuterà in azione o resterà tale. Ma le dichiarazioni di Massimo Bitonci, sottosegretario al Mimit, rilasciate a Sky Tg24 sono chiare: «La situazione è estremamente delicata: penso che alla fine si andrà verso l’amministrazione straordinaria — che è stata prevista proprio l’anno scorso e il socio pubblico può chiedere in maniera autonoma — e questo ovviamente porterà un contenzioso. L’ipotesi della liquidazione volontaria è assurda».
Il passo indietro della famiglia Mittal, i «re» indiani dell’acciaio
di Giuliana Ferraino
Esclusa esplicitamente, quindi, la strada più soft, quella dell’accordo non giudiziario e un indennizzo per accompagnare l’uscita del socio privato (da ieri gli staff legali di Invitalia e ArcelorMittal hanno comunque avviato un confronto) e non contemplata la terza ipotesi, quella di una sottoscrizione dell’aumento di capitale da 320 milioni da parte del solo socio pubblico di Acciaierie d’Italia (Invitalia, oggi al 38% e disponibile a salire fino al 66% del capitale) senza contestuale cambio di governance, negato nel vertice dell’8 gennaio dal socio privato ArcelorMittal, oggi al 62% del capitale e di proprietà della famiglia indiana Mittal.
L’apertura di ArcelorMittal
Che pure sarebbe la soluzione più semplice, visto che la stessa ArcelorMittal ieri ha fatto trapelare di essere «favorevole al versamento da parte di Invitalia di ulteriori 320 milioni di euro di capitale fresco con la propria conseguente diluizione al 34% e di essere anche favorevole all’acquisizione degli impianti da Ilva in amministrazione straordinaria, originariamente prevista per maggio 2022 e in seguito posticipata a maggio 2024». Insomma, ArcelorMittal è pronta a scendere in minoranza ma senza rinunciare a esprimere l’amministratore delegato così come previsto dalla governance attuale paritetica (in termine di consiglieri) nonostante la posizione di maggioranza nel capitale. E a supporto di questa difesa della governance attuale, fonti vicine ad ArcelorMittal snocciolano anche dei numeri: «ArcelorMittal ha investito a oggi in Acciaierie d’Italia capitale per 1.870 milioni di euro in equity oltre a più di euro 200 milioni per acquisto materie prime ed altre garanzie commerciali. Lo Stato italiano ha investito fino ad ora 1.080 milioni. Il Piano Ambientale è stato portato a termine in linea con quanto previsto negli Accordi di investimento, con risorse complessivamente impiegate per circa 2 miliardi di euro. Al momento dell’investimento di 400 milioni in Acciaierie d’Italia da parte di Invitalia, pari al 38% della società, ArcelorMittal, ha accettato di condividerne il controllo e la governance al 50% sulla base dell’impegno a erogare misure di supporto pubblico fino alla concorrenza di 2 miliardi di euro. A oggi solo 350 milioni di misure pubbliche sono state erogati da Invitalia e dal governo italiano».
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di Luigi Ippolito, corrispondente da Londra
La strategia di Urso
Ci sono margini per trovare un accordo? Lo diranno le prossime ore, visto che domani sera alle 19 i sindacati sono stati convocati dal governo e ancor prima, nel pomeriggio, il ministro Adolfo Urso riferirà al Senato. Ieri, qualche ora prima di Bitonci, Urso aveva comunque indicato la direzione del commissario, sebbene non in maniera così esplicita: «Il governo è in campo con Acciaierie d’Italia: riprenderemo in mano la situazione dopo i disastri dei governi precedenti per fare di quel sito il più grande siderurgico green d’Europa». Governi precedenti che ieri, nelle persone di Carlo Calenda (ministro dello Sviluppo economico fra il 2016 e il 2018 con i governi Gentiloni e Renzi) e Stefano Patuanelli (ministro dello Sviluppo economico dal 2019 al 2021 con il governo Conte II), hanno litigato sulle responsabilità della scelta del socio privato e sul suo progressivo distacco dalla realtà italiana, complice anche lo scudo penale, prima garantito e poi tolto. Il disegno di Urso è quello di una nazionalizzazione temporanea: negli scorsi mesi il governo ha sondato la disponibilità di gruppi italiani come Arvedi e Acciaierie Venete per garantire un futuro industriale anche senza ArcelorMittal a quella che resta la più grande acciaieria d’Italia che fornisce produttori che vanno dalle navi (Fincantieri) ai frigoriferi e alle caldaie (Lampre e Ariston), passando per le impalcature edili e ponteggi (Marcegaglia). Nel mezzo del braccio di ferro ci sono, però, i lavoratori: ieri una delegazione ha incontrato il cardinale Matteo Zuppi che ha auspicato una «adeguate soluzioni, coniugando sempre i diritti al lavoro e alla salute».
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10 gen 2024
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