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Ex Ilva, la rottura su risorse e governance: le tre ipotesi (con il commissario) per uscirne
Sembrava tutto pronto, così come predefinito nell’incontro preparatorio dello scorso 4 gennaio tra l’amministratore delegato di Invitalia Bernardo Mattarella e il responsabile fusioni e acquisizioni di ArcelorMittal Ondra Otradovec. Poi, ieri, sono scesi in campo gli azionisti (il governo che controlla Invitalia, da una parte, e il ceo di ArcelorAditya Mittal) e la mediazione architettata dai manager è saltata. Da una parte i ministri Giancarlo Giorgetti, Raffaele Fitto, Adolfo Urso ed Elvira Calderone che hanno fatto presente la disponibilità a convertire il prestito da 680 milioni dello scorso anno portando così Invitalia in maggioranza (dal 38 al 60% di Acciaierie d’Italia). A ciò hanno aggiunto la disponibilità a sottoscrivere l’aumento di capitale da 320 milioni pro quota. All’indisponibilità di ArcelorMittal — che rivendica di aver messo ad oggi il doppio delle risorse del socio pubblico — gli esponenti di governo hanno ribattuto con la disponibilità a sottoscrivere integralmente questo primo aumento da 320 milioni (non quelli successivi), incrementando di conseguenza la partecipazione di Invitalia fino al 66%. Chiedendo, però, come conseguenza, il cambio della governance. Anche in questo caso, però, la risposta del socio privato è stata negativa: nella situazione attuale, con ArcelorMittal al 62% — è stata la risposta di Mittal— la governance è paritaria, con tre consiglieri a testa in Acciaierie d’Italia. Anche se poi l’unico che conta è l’amministratore delegato Lucia Morselli.