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di Redazione Economia
In Senato, nella sua informativa, la parola amministrazione straordinaria il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, non l’ha mai pronunciata. Perché, evidentemente, alla soluzione di ultima istanza per l’ex Ilva il governo vuole arrivarci solo se non sarà possibile fare altrimenti. L’ultimatum ad ArcelorMittal era, come già riportato nei giorni scorsi, accordo consensuale o commissario. E almeno fino a mercoledì prossimo (quando si saprà se ci sono le condizioni per un’intesa: i sindacati sono stati riconvocati dal governo per giovedì) il governo vuole perseguire la prima strada, così come ha riferito in serata ai sindacati nel vertice di Palazzo Chigi.
Ad ogni modo, per il governo «Mittal è ormai fuori», come avrebbe assicurato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ai sindacati. Con le buone o con le cattive il governo vuole arrivare all’estromissione del socio privato da Acciaierie d’Italia. E la strada tracciata è quella delineata dal contenuto dell’intervento di Urso di questa mattina al Senato. «Sull’ex Ilva — sono state le parole del ministro — c’è l’urgenza di un intervento drastico che segni una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi 10 anni. Sono ore decisive per garantire, nell’immediato, in assenza di impegno del socio privato la continuità della produzione, e la salvaguardia dell’occupazione, nel periodo necessario a trovare altri investitori di natura industriale. Sull’ex Ilva il governo intende invertire la rotta cambiando equipaggio».
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In serata, poi, nell’incontro tra governo e sindacati (presenti, insieme a Urso e Mantovano anche i ministri Raffaele Fitto, Maria Elvira Calderone e Giancarlo Giorgetti in collegamento, mentre sul fronte sindacale i rappresentanti di Fiom Cgil Michele De Palma, Fim-Cisl Roberto Benaglia, Uilm-Uil Rocco Palombella, Usb Sasha Colautti e Ugl metalmeccanici Giovanni Antonio Spera), il governo ha scoperto le carte: per dirimere il braccio di ferro tra i soci di Acciaierie d’Italia (Invitalia al 38%, disposta a salire al 66% ma con cambio di governance; e ArcelorMittal, al 62%, disposta a scendere in minoranza senza investire altre risorse ma a governance invariata), prima dell’amministrazione straordinaria si tenterà la via del «divorzio consensuale». L’alternativa al commissario che i legali di Invitalia e ArcelorMittal stanno studiando è la cosiddetta composizione negoziata prevista dal nuovo codice della crisi di impresa che garantirebbe un percorso stragiudiziale, per evitare un lungo contenzioso legale.
Nella nota ufficiale di Palazzo Chigi arrivata dopo l’incontro, il percorso è delineato in maniera più generica, senza scendere nei dettagli: «La delegazione governativa ha riferito ai sindacati che si sta lavorando in modo serrato per definire il confronto con ArcelorMittal e procedere alacremente per individuare il percorso sul futuro dello stabilimento all’interno di un quadro chiaro e definito che ha come primo obiettivo la continuità produttiva dell’azienda. È stata infine data massima disponibilità, una volta chiuso il confronto con ArcelorMittal, a far partire presso il Ministero del Lavoro un tavolo per approfondire tutti gli aspetti legati all’occupazione e alla sicurezza sul lavoro».
L’amministrazione straordinaria è una soluzione che tutti vorrebbero evitare. Non solo i sindacati ma anche le aziende dell’indotto, dai piccoli imprenditori ai trasportatori che ieri si sono radunati in piazza Colonna, a due passi da Palazzo Chigi, fin dal pomeriggio per dire «no al secondo bidone di Stato» e «no al 2015 bis» come recitavano due striscioni appesi per manifestare i timori di una nuova amministrazione straordinaria. «Nel 2015 ci hanno rifilato il primo bidone da 200 milioni di e temiamo che possa ripetersi la stessa situazione. Se accadrà, questa volta falliremo tutti», ha spiegato, a nome dei manifestanti, l’autotrasportatore Vladimiro Pulpo. L’ex Ilva si avvia quindi, per strade al momento ancora incerte, verso una nuova nazionalizzazione, come quando venne ripubblicizzata nel gennaio 2015 con l’ammissione all’amministrazione straordinaria in base alla legge Marzano nell’era post Riva. «La nazionalizzazione dell’ex Ilva — è il pensiero del presidente di Confindustria Carlo Bonomi intervenuto a Rai News 24 — ha un senso se tu hai in mente delle proposte del futuro. Non credo sia la strada finale, se è un ponte ha un senso». Il primo ponte da superare, per il momento, è quello del divorzio consensuale in meno di una settimana.
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