DAVOS - Ray Dalio è nato nel Queens come Raymond Dallolio, figlio di un jazzista italo-americano. Ma non è diventato il principale gestore di hedge fund al mondo, con la sua Bridgewater, lasciando prevalere le scelte sentimentali. Neanche a favore del Paese di origine dei suoi. Deve aver valutato qualche altro fattore, uscendo dall’incontro di mercoledì 17 gennaio con il ministro Giancarlo Giorgetti. Quando si chiede a Dalio com’è andato lo scambio con il ministro dell’Economia, Dalio si sbilancia: «Wonderful, very wonderful», dice.
Chi è Ray Dalio
Bridgewater Associates, l’azienda fondata e guidata da Dalio, gestisce in questa fase 235 miliardi di dollari ed è il principale e più attivo investitore in titoli di Stato nel settore degli hedge fund al mondo. Giorgetti invece è arrivato al World Economic Forum di Davos con una priorità su tutte le altre: parlare ai principali investitori potenziali nel debito pubblico italiano, perché il 2024 non sarà un anno come tutti gli altri. Visti i livelli del fabbisogno e visto che da giugno la Banca centrale europea smetterà di reinvestire in metà dei titoli in scadenza comprati a partire dalla pandemia, il Tesoro quest’anno deve trovare compratori dei suoi titoli per 150 miliardi di euro in più rispetto al semplice rinnovo di ben oltre 300 miliardi in scadenza. Giorgetti è arrivato a Davos con un’agenda di incontri rivolta quasi del tutto all’obiettivo di assicurare all’Italia un finanziamento del debito senza tensioni nei prossimi mesi (qui, l‘andamento dello spread in tempo reale). Anche a costo di lasciare indietro altri temi di sviluppo industriale e tecnologico che occupano molti altri governi presenti al Forum.
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Il peso di Bridgewater
È inutile però chiedere a Dalio se, dopo l’incontro con il ministro italiano, farà comprare più titoli pubblici di Roma. «Non posso rispondere su questioni di mercato», dice. Ciò che Dalio riconosce, tuttavia, è che l’impressione che ha avuto da Giorgetti è stata «positiva» e «workable», qualcosa su cui si può lavorare. Di certo Dalio è noto per il suo scetticismo sulla stabilità finanziaria italiana negli ultimi anni, neanche troppo dissimulata. Riuscire a cambiare il suo approccio darebbe un segnale a molti altri fondi e li incoraggerebbe a tornare sul debito di Roma, dopo il calo della quota degli investitori negli ultimi anni.
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I colloqui con le banche Usa
Lo stesso obiettivo ha portato ieri Giorgetti a incontrare i ministri delle Finanze del Qatar e dell’Arabia Saudita, Ali bin Ahmed Al Kuwari e Mohammed Al Jadan, che possono mobilitare i loro fondi sovrani. Quindi il ministro ha avuto colloqui privati con l’amministratore delegato di Bank of America Brian Moynihan, quello di Jp Morgan Jamie Dimon e, fra gli altri, il segretario alle Finanze di Hong Kong Paul Mo-Po Chan. Alla fine Giorgetti ha preferito cancellare l’impegno a una cena di Davos dove avrebbe dovuto tenere un discorso ed è tornato in fretta a Roma, anche se non sembrava avere alcuna emergenza. Di certo però il suo attivismo, dietro porte chiuse, segnala che il governo è giunto a una conclusione: non può finanziare il debito nel 2024 semplicemente con emissioni, più costose delle altre, rivolte alle famiglie italiane. Serve anche un ritorno degli investitori esteri. Giorgetti ieri sera è tornato in Italia soddisfatto della sua giornata di Davos. La partita sta solo iniziando.
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18 gen 2024
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