Ex Ilva, Metinvest si fa avanti: «Perché no dopo Piombino?»

Ex Ilva, Metinvest si fa avanti: «Perché no dopo Piombino?» Ex Ilva, Metinvest si fa avanti: «Perché no dopo Piombino?»

Metinvest si sta impegnando con forza nell’acciaieria di Piombino. Con quali piani?
«Siamo presenti in Italia da 15 anni. E i piani per una nuova produzione di acciaio verde in Italia sono nati prima che la Russia scatenasse l’invasione totale due anni fa — risponde Yuriy Ryzhenkov, amministratore delegato del colosso ucraino dell’acciaio Metinvest —. All’inizio volevamo costruire un impianto che utilizzasse le bramme di Azovstal, che è di nostra proprietà, per produrre laminati a caldo in Italia. Ma dopo la tragedia di Mariupol, abbiamo optato per un impianto di produzione a Piombino. Il progetto è quello dell’acciaio verde, progettato per utilizzare il preridotto dai nostri impianti di minerale di ferro in Ucraina. Sarà un esempio di un nuovo impianto che potrà fare da pilota sia in Europa che in Ucraina. Investire adesso in Ucraina è difficile. Quindi abbiamo deciso di iniziare dall’Italia e dar prova del modello. Poi potremo estenderlo ad altri siti».

Le norme ambientali europee richiedono investimenti massicci. Pensate di poter beneficiare di aiuti pubblici?
«Investiremo a Piombino una notevole quantità di capitale, sia di Metinvest che del nostro partner Danieli. Ma cercheremo il sostegno di operatori finanziari sia istituzionali che commerciali. Esistono diversi fondi ambientali italiani e comunitari da utilizzare, se il nostro progetto apporta benefici ambientali. Sarà un mix di capitale proprio, debito e prestiti o sussidi di fondi pubblici».

Taranto è la seconda acciaieria d’Europa dopo Azovstal. Investirebbe su Taranto, a fianco del governo italiano, per sostituire la capacità persa a Mariupol?
«Taranto era anche più grande di Azovstal, penso fosse l’impianto più grande d’Europa. Oggi è molto sotto alla sua capacità, ma il potenziale ci sarebbe. E il governo italiano ha detto che sta cercando investitori privati».

Dunque state guardando a questa opzione?
«Il nostro progetto a Piombino non nasce solo dalla necessità di sostituire Mariupol, ma dal mercato. L’Italia oggi importa più di sei milioni di tonnellate di laminati a caldo all’anno. Quindi in Italia c’è un grande bisogno di questo prodotto, il che significa che anche a Taranto c’è spazio per aumentare la produzione. Il mercato c’è. Al momento siamo fornitori di materie prime per Taranto e acquirenti di bramme da lì per i nostri impianti di laminazione italiani. E il nostro obiettivo primario in questo momento è Piombino. Poi col passare del tempo, se vediamo un’opportunità su Taranto, perché no? Possiamo guardarci. Ma per ora siamo concentrati solo su Piombino».

L’Italia non è semplice. Vorreste che il governo si impegnasse a facilitare l’investimento, sia a Piombino, sia prima di valutare Taranto?
«Siamo in Italia da 15 anni, sappiamo come funziona. Su Piombino c’è un ottimo impegno da parte del governo, della regione e del sindaco. Tutti tengono al progetto. Nel memorandum firmato, ciascuna delle parti si è impegnata a fornire un certo sostegno. È un buon inizio, anche se comprendiamo le complessità del sistema. Ma se lavoriamo tutti insieme, possiamo creare un ambiente favorevole. Abbiamo scelto Piombino perché abbiamo riscontrato un altissimo impegno e interesse da parte di tutti».

Su Taranto, lei dice che vuole vedere se c’è un’«opportunità». Ossia, se dalle autorità c’è un impegno simile a quello di Piombino?
«Assolutamente. Taranto è un caso molto difficile. Lì esiste un investitore e il governo sta lavorando per risolvere quel caso. Poi ci sono i problemi con le autorità locali, le questioni ambientali, quelle occupazionali... Ci sono molti problemi e non credo che un singolo attore possa risolverli tutti. Ora il governo ci sta lavorando e bisognerà vedere che tipo di accordo verrà messo in atto. Se il governo vorrà coinvolgere altri soggetti, dovremo valutare attentamente. E se possiamo aiutare, ci proveremo».

L’Ue non ha ancora sanzioni totali sull’acciaio russo. Che ne pensa?
«La cosa è ancora più tragica perché all’inizio c’era una deroga alle sanzioni sull’importazione di bramme russe, che scadeva più o meno ora. Poi, di recente, è stata prorogata per sei anni. Dicono che non riescono a sostituire il materiale russo. Secondo me, non è vero. Noi produciamo un milione di tonnellate di prodotti piatti all’anno in Europa e circa 200 mila nel Regno Unito. E siamo riusciti a sostituire la produzione di Azovstal senza comprare nulla dai russi. Permettendo le importazioni russe, in Italia ci stiamo sparando sui piedi, perché il progetto di Taranto diventa ancora più difficile dato che deve competere con materiale russo in genere molto meno caro».

Chi importa bramme russe?
«I principali compratori sono in Italia e Belgio».

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