Perché lo zar si sente più forte

La candidatura di Vladimir Putin alle elezioni presidenziali del 17 marzo 2024 era largamente scontata. Così come scontato è il risultato, non essendoci in giro alcuna candidatura alternativa anche perché le uniche che avrebbero un senso politico e un po’ di seguito nelle urne, soprattutto quella di Aleksej Navalny, sono dietro le sbarre con un regime carcerario inumano.

Ma Putin ha voluto insaporire un annuncio, in sé appunto insipido, con il simbolismo dell’evento e la tempistica.Ha scelto una cerimonia militare al Cremlino e ha fatto sollecitare la candidatura da un ufficiale russo e funzionario a Donetsk, una delle quattro regioni ucraine annesse dopo l’invasione con un’altra solenne cerimonia al Cremlino tenutasi il 30 settembre 2022. Lo zar ha pure gigioneggiato (“ci ho pensato a lungo… ho avuto anche idee diverse”, ha risposto), come ama fare da quando è uscito dal cupo autoisolamento per il Covid e vuole inviare al mondo un’immagine di sé in piena fiducia politica e smagliante forma fisica.

C’è un invisibile filo rosso che lega l’evento alla riapparizione di Putin in videoconferenza al G20 indiano di novembre, dove aveva celebrato il suo ritorno a un consesso internazionale nonostante il mandato di cattura del Tribunale internazionale per i crimini di guerra, proclamando la sua verità sull’invasione dell’Ucraina. Provocata, a suo dire, “dalla guerra del regime di Kiev contro il suo popolo nel Donbass”. Dove si trova Donetsk, donde proviene appunto Artyom Zhoga, l’audace militare e funzionario che ha posto ieri la domanda sulla candidatura. Così il cerchio si chiude: il paria del mondo torna sulla scena internazionale, dà la sua versione su quella che continua a chiamare “operazione militare speciale” nonostante le decine di migliaia di morti, e poi annuncia la sua candidatura per restare altri sei anni al Cremlino, dove si è installato dall’inizio del secolo e dove potrebbe restare, secondo la Costituzione appositamente emendata nell’anno del Covid, fino al 2036. Slava (gloria) al nuovo zar di tutte le Russie!

La tempestica si addiziona al simbolismo e aggiunge altro sapore al messaggio che Putin ha lanciato ieri al mondo, assai più che ai suoi sudditi, che sono divisi tra rassegnazione e adulazione, senza escludere una certa ammirazione: i sondaggi più attendibili danno ancora alta la percentuale di approvazione. Perché Putin si sente forte e di buonumore, almeno quanto oggi Volodymir Zelensky si sente debole e depresso (come ha raccontato su Time Simon Shuster). E lo zar vuole che il mondo sappia che si sente forte e di buonumore. Lo dimostra il siparietto nel quale si è lanciato due giorni fa ricevendo al Cremlino il presidente iraniano Ebrahim Raisi, dopo aver fatto un giro volante di un giorno tra Abu Dhabi e Riad. “Sarei venuto io da lei, ma ho saputo che stava già venendo qui”. Un buonumore che lo porta a superare ogni limite di senso del pudore, con quella frase sulle “lacrime agli occhi per i bambini sofferenti e insanguinati a Gaza”. Detta da chi ha fatto bombardare asili e ospedali in Ucraina e per questo è oggetto di un mandato di cattura internazionale, suona quanto meno ipocrita.

Ma è un segnale dell’umore che circola nei saloni del Cremlino, e che si è sentito anche ieri nella cerimonia dell’annuncio. Perché Putin non sta vincendo la guerra in Ucraina, come ha un po’ incautamente scritto The Economist. Ma non sta neppure perdendo il braccio di ferro con l’Occidente. L’isolamento della Russia si sta sfilacciando e Putin ne approfitta per rilanciare la sua offensiva contro l’Occidente a guida americana e scrollarsi di dosso quell’immagine di “partner minore” della Cina di Xi Jinping. Di questa offensiva Repubblica ha colto puntualmente tutti i segnali. Nei Balcani occidentali, con gli investimenti ibridi in Serbia per portarla dalla parte di Mosca in nome di quel panslavismo che rientra nella visione di Russkij Mir (il Mondo Russo) agognata da Putin. In Africa, con l’accordo appena firmato di cooperazione militare con la giunta golpista del Niger. Perfino con il sostegno al tentativo del Venezuela di Maduro (fedelissimo di Putin) di annettersi un pezzo della vicina Guyana. Di questa controffensiva il viaggio di Putin negli Emirati e in Arabia Saudita, e il successivo incontro a Mosca con il presidente dell’Iran, sponsor di Hamas, sono la punta dell’iceberg. Un altro segnale che l’”asse del male” tra Iran, Corea del Nord e Russia si sta consolidando.

Mikhail Khodorkovskij, l’oligarca che osò sfidarlo politicamente pagando con anni di carcere duro in Siberia, ha detto una volta che Putin uscirà dal Cremlino soltanto da morto. La storia insegna che fare previsioni in Russia è un azzardo. Ma è comunque molto improbabile che Putin esca dal Cremlino con le elezioni alle quali ha annunciato la candidatura.