
Soldi subito, adesione poi. La Ue prova a salvare l’Ucraina dai ricatti di Orbán
KIEV — Viktor Orbán si è sempre mostrato più accomodante sul fronte esterno per distrarre dalla stretta autoritaria interna. In Europa, teorizzò anni fa, bisogna esibirsi nella «danza del pavone». Ma sulla vicinanza a Putin, il premier ungherese ha gettato la maschera da tempo. E nelle ultime settimane anche sull’ostilità verso l’Ucraina. Il suo minacciato veto sul pacchetto di aiuti da 50 miliardi di euro e sul via libera al processo di adesione di Kiev alla Ue che sarà discusso al Consiglio Ue di metà dicembre sta agitando le diplomazie di mezzo continente.
A Bruxelles si lavora duro per scongiurare lo scenario più catastrofico. E si ragiona sull’ipotesi di uno spacchettamento dei dossier, rivelano due fonti autorevoli. Da un lato ci sono i 50 miliardi di euro legati alla discussione sul bilancio Ue. Se dovessero emergere resistenze troppo pesanti sulla somma complessiva, è emersa l’idea di sbloccare almeno i 17 miliardi di euro che verrebbero donati, separandoli dai 33 miliardi di prestiti, Su questi ultimi frenano soprattutto i tedeschi: dopo la sentenza di Karlsruhe che ha blindato il loro pareggio di bilancio, Scholz vorrebbe evitare per il momento i prestiti perché li considera comunque inesigibili. L’Ucraina ha un fabbisogno di 40 miliardi di euro per il 2024: 18 sono attesi dalla Ue, 12 dagli Stati Uniti e una decina dalle istituzioni internazionali come il Fmi e la Banca mondiale. Se venissero dunque “liberati” i 17 miliardi, i soldi attesi da Bruxelles per il 2024 ci sarebbero quasi tutti. Orbán, intanto, starebbe proponendo di slegare i fondi dal bilancio Ue e di affidare ai singoli Paesi la scelta di fornire o meno aiuti a Kiev.

Altro capitolo è quello politico, ossia l’ok ai negoziati per l’adesione alla Ue, il vero oggetto del contendere con Budapest. Gli ucraini temono che se salterà a metà mese, la discussione sarà rinviata di un anno, causa elezioni europee. Ma qualcuno a Bruxelles comincia a proporre di avviare, intanto, il rituale “screening” che di solito comincia dopo l’avvio dei negoziati. Insomma, di non lasciare Kiev con la sensazione di un totale abbandono e di andare avanti con l’esame delle sette raccomandazioni imposte all’Ucraina. Una sorta di via libera politico in attesa che arrivi quello formale: un po’ come si fece nel 2020 con l’Albania e la Macedonia.

La priorità è quella di non lasciare Kiev con la sensazione di essere stata abbandonata. Intercettato da Repubblica, il consigliere di Zelensky, Michajlo Podolyak, definisce «una catastrofe» l’’ipotesi che la Ue e gli Stati Uniti neghino gli aiuti a Kiev. «La condizione economica dell’Ucraina è ora molto peggiore di quella precedente all’invasione del febbraio 2022», spiega. «L’Ucraina non può raccogliere sul mercato interno il denaro necessario per il bilancio, per gli obblighi sociali verso la popolazione, per gli investimenti nella produzione militare. La mancanza di aiuti peggiorerà drasticamente la condizione economica dell’Ucraina. E ciò influenzerà l’umore della società». Per Podolyak «gli ucraini penseranno di essere lasciati soli con la Russia».
Un dettaglio importante, però, è che ieri sera Orbán era atteso a Parigi per una cena con Emmanuel Macron. E chi lo conosce bene sa che il presidente francese è l’unico leader europeo di cui l’autocrate magiaro si fidi. Ma ieri si è mosso anche il presidente ucraino Volodomyr Zelensky. Il suo capo di gabinetto Andriy Yermak, che è attualmente a Washington per importanti colloqui con l’amministrazione americana, ha fatto sapere di aver chiamato il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijarto per «discutere della possibilità di un incontro» tra Zelensky e Orbán.

Oggi comincia la discussione alla Rada, il parlamento ucraino, della legge a tutela delle minoranze, un tassello importante per risolvere la disputa tra Budapest e Kiev e per esaudire le condizioni chieste da Bruxelles. Tra le novità fondamentali, la possibilità per gli ungheresi di frequentare le scuole nella lingua madre (a parte 4 materie). Manca, tra le minoranze tutelate, quella russa. Ma, puntualizzano da Kiev, «la reintegreremo dopo la guerra». Adesso è «impensabile visto che la tutela delle minoranze russe è stata una delle scuse di Putin per invadere l’Ucraina».