Ex Ilva alla stretta finale con Mittal: l’ipotesi dello Stato al 60%

Ex Ilva alla stretta finale con Mittal: l'ipotesi dello Stato al 60% Ex Ilva alla stretta finale con Mittal: l’ipotesi dello Stato al 60%

L’accordo c’è già, ma andrebbe rispolverato. Risale a poco più di tre anni fa — a dicembre 2020 — quando, però, il contesto politico italiano era molto differente da quello attuale: con Giuseppe Conte premier, l’allora governo definì il ritorno della mano pubblica nell’ex Ilva stabilendo — d’accordo con l’azionista privato ArcelorMittal — anche un successivo passaggio in maggioranza del veicolo Invitalia, società all’epoca guidata da Domenico Arcuri.

Lo Stato in maggioranza

Quell’intesa non è mai stata depennata. Ma neanche mai attuata, per una serie di motivi: ultimo dei quali, la contrarietà alla maggioranza pubblica del ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, titolare del dossier ex Ilva. Adesso, però, dopo che negli ultimi due mesi del 2023 l’assemblea dei soci non è riuscita a trovare intese su come risollevare Acciaierie d’Italia, l’ipotesi di incremento della quota di Invitalia dall’attuale 38 al 60% torna attuale. Ben vista dai sindacati, di certo si fa preferire a un’altra delle tre ipotesi rimaste in campo, quella del ricorso all’amministrazione straordinaria. La terza ipotesi è quella che si è tentato, invano, di perseguire a novembre e dicembre: l’iniezione di nuove risorse secondo le quote attuali dei soci di Acciaierie d’Italia: 62% ArcelorMittal e 38% Invitalia.

Il vertice Mattarella-Otradovec

Da oggi all’8 gennaio — data ultima per trovare un’intesa così come annunciato a fine 2023 dal ministro delle Imprese Adolfo Urso — ogni giorno è buono per rispolverare l’accordo di tre anni fa. Soltanto se l’intesa tra i due azionisti sarà ritrovata, l’8 gennaio un esponente della famiglia Mittal (il padre Lakshmi o il figlio Aditya) verrà a Roma per siglare il nuovo accordo. Perciò i contatti preliminari di questi giorni saranno fondamentali. A cominciare da quello in calendario il 4 gennaio tra l’amministratore delegato di Invitalia Bernardo Mattarella e il responsabile fusioni e acquisizioni di ArcelorMittal e componente del cda di Acciaierie d’Italia Ondra Otradovec.

L’aumento di capitale

Il passaggio di Invitalia in maggioranza (tecnicamente potrebbe avvenire con la conversione in capitale del finanziamento da 680 milioni di un anno fa, rimandando il cambio di governance alla prossima primavera) non è l’unico nodo da sciogliere. C’è da capire, e anche in fretta, l’entità dell’aumento di capitale: 320 milioni — che servono per le esigenze di breve termine — o 1,320 miliardi di euro, considerando anche la copertura dell’investimento da effettuare per rilevare gli impianti da Ilva in amministrazione straordinaria. Invitalia propende per quest’ultima soluzione, ArcelorMittal per la prima, preferendo aspettare la quantificazione del prezzo di congruità che verrà stabilito per gli impianti, da rilevare entro maggio. Anche in questo caso va stabilita la ripartizione dell’impegno: secondo le quote attuali o quelle che probabilmente si concretizzeranno a breve?

Le prossime scadenze

Di certo Acciaierie d’Italia ha bisogno di risorse subito, tanto che la tolda di comando Lucia Morselli (ad) -Franco Bernabè (presidente) avrebbe fatto capire che andrebbe bene anche qualcosa di meno (250 milioni, come se entrambi i soci si fermassero al 40%) purché arrivi subito. Anche perché a Taranto la situazione si sta surriscaldando (gli autotrasportatori dell’indotto sono in presidio davanti alla portineria C dello stabilimento siderurgico in segno di protesta contro i ritardi nei pagamenti delle fatture) e la tregua stabilita dal Tar sul taglio delle forniture del gas non pagato ha i giorni contati: scade il prossimo 10 gennaio.

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