Il tracollo di Gazprom, così Putin sta perdendo la guerra dell’energia. Meno 41% di ricavi nel 2023, 10 miliardi di euro persi dal colosso russo del gas
«Proprio nel momento in cui la Russia sta vincendo la guerra della propaganda sulla stanchezza dell’Occidente, sta drammaticamente perdendo la guerra dell’economia. Il Cremlino presto dovrà fare qualcosa per Gazprom, che è letteralmente devastata e non sa più cosa fare, oltre che diversificare al massimo verso il petrolio, anziché il gas». Ma anche il petrolio è assai colpito dal “price cap” imposto dalle sanzioni.
Le parole di un alto dirigente italiano che ha lavorato 35 anni nell’oil e gas con la Russia descrivono quello che, nel mondo dell’energia, non è più un segreto: Putin sta vedendo crollare la principale leva del suo potere, interno e esterno. Ossia appunto Gazprom. Naturalmente ha molti modi per supplire, compresi interventi forzosi sulle ricchezze degli oligarchi, resta il fatto che Gazprom, ma anche l’oil, non solo il gas, stanno precipitando.
Secondo un rapporto del Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (CREA), la Russia ha perso 34 miliardi di euro in proventi dalle esportazioni di gas e oil dopo che i paesi occidentali hanno introdotto un tetto massimo sui prezzi del petrolio russo e l’entrata in vigore del divieto di importazione via mare nei paesi dell’Unione europea. Una cifra immensa, paragonabile alla spesa di tutto il bilancio russo per la sicurezza prevista per il 2024, che ammonta a 3,4 trilioni di rubli (ossia un terzo di tutte le spese previste per la difesa, che sono 10,4 trilioni di rubli, cioè 105,5 miliardi di euro).
Le sanzioni - introdotte peraltro tardivamente, il 5 dicembre 2022 – hanno ridotto i ricavi delle esportazioni russe del 14%. Nella prima metà del 2023 la Russia ha perso 180 milioni di euro al giorno, a causa delle sanzioni (anche se nella seconda metà dell’anno – con una serie di strategie tra cui l’uso di una flotta di petroliere ombre, turche e degli Emirati arabi – Mosca ha ridotto le perdite a 50 milioni di euro al giorno, cifra comunque notevole).
Secondo i dati del Servizio fiscale federale, i ricavi di tutte le aziende russe nella prima metà del 2023 sono dimezzati: nel periodo gennaio-giugno ammontavano a 342,2 trilioni di rubli (contro i 694mila miliardi del 2022). La Banca di Russia giovedì scorso nell’analisi (molto cupa) sulla stabilità finanziaria ha affermato che le entrate dei maggiori esportatori di petrolio e gas sono diminuite del 41% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. E qui veniamo alla situazione specifica di Gazprom.
Attraverso le cifre raccolte da “The Ins”, nel 2007 Gazprom era al terzo posto nella lista delle aziende con maggior valore del mondo. Quindici anni dopo, si trova in bilico tra.il quarto e il quinto centinaio. In dollari, la capitalizzazione è crollata di oltre sette volte.
Prima dell'invasione di Putin in Ucraina, Gazprom forniva all'Europa circa 150 miliardi di metri cubi di gas all’anno, attraverso diverse rotte: il Nord Stream 1 (55 miliardi di metri cubi, verso la Germania), il Yamal-Europe (33 miliardi di metri cubi, verso la Polonia), il sistema di gasdotto in Ucraina (40 miliardi di metri cubi), il Turkish Stream (20 miliardi di metri cubi, verso l’Europa meridionale). Il Nord Stream 2 (che avrebbe dovuto trasportare altri 55 miliardi verso la Germania) era in attesa di certificazione da parte dell’autorità di regolamentazione tedesca, ma come sapete quel gasdotto è saltato in aria.
Così, stando ai dati dell’dell’Oxford Institute for Energy Studies, le esportazioni di gas russo in Europa sono scese a 63 miliardi di metri cubi (da 150), e a fine 2023 si prevede che saranno appena 22 miliardi. La Russia è ormai al livello di Azerbaigian e Algeria, la Norvegia è diventata il principale fornitore di gas dell’Europa. la Cina, che è diventata il principale importatore di gas di Gazprom, paga estremamente meno: Europa e Turchia per mille metri cubi di gas russo pagavano, nel 2022, 984 dollari: la Cina pagava miseri 277 dollari (fonte Bloomberg). «Ciò significa che Pechino dà a Mosca meno di un terzo di quanto potevano pagare insieme i paesi europei, ossia principalmente Germania e Italia». All’inizio della guerra il prezzo di mille metri cubi di gas russo in Europa era salito oltre i 3800 dollari (circa 20 volte la media degli anni precedenti): ma quella situazione, incredibilmente favorevole a Mosca (e celebrata nei talk show propagandistici italiani), è rapidamente finita. Attualmente mille metri cubi di gas russo costano in Europa circa 500 dollari e il prezzo medio dell’anno potrebbe scendere ancora, sostiene Fitch.
Gasprom regge ancora solo grazie a Gazpromneft: ma in assenza di altre strategie, non resta a Mosca che posare nuovi tubi in giro per il mondo, ossia verso est, verso la Cina. Il gasdotto Power of Siberia nel 2022 ha fornito 15,5 miliardi di metri cubi a Pechino. Entro il 2025, Putin spera di arrivare a 38 miliardi: ma è comunque nulla, rispetto ai 150 miliardi di metri cubi persi con l’Europa (e, come detto, la Cina paga quel gas meno di un terzo). Mosca spera nella costruzione di un nuovo gasdotto verso la Cina, il Power of Siberia 2. Ma la Cina nel frattempo sta già diversificando verso il gas naturale liquido, e è alquanto difficile che si appenda mani e piedi alla Russia, come fecero Germania (con il cancelliere Schroeder) e Italia (con Silvio Berlusconi). Nel frattempo continuano e se possibile aumentano commesse lucrose alle aziende “posa-tubi” degli amici di Putin, dai Rotenberg ai Kovalchuk e Timchenko, senza che però siano più coperte dai ricavi immensi di Gazprom.
La revisione fatta dalla Banca centrale russa è niente meno che drammatica: i ricavi delle più grandi compagnie petrolifere e del gas in Russia sono diminuiti del 41% nel periodo gennaio-settembre 2023. «Ciò è dovuto al deterioramento del contesto dei prezzi e alla diminuzione dei volumi delle esportazioni di petrolio a causa dell’inasprimento delle sanzioni, della ristrutturazione delle catene di approvvigionamento e dei flussi finanziari». I guadagni vanno ancora peggio, perché la quota di dollaro nei ricavi delle esportazioni si è dimezzata (ora è al 24%), e alla fine il volume delle vendite di valuta estera in borsa è crollato del 58%.
In questa “revisione” terrificante, Gazprom fa la parte del leone in negativo: dopo aver interrotto le forniture alla maggior parte dei clienti nell’Unione europea nella misura che abbiamo descritto, l’azienda ha subito perdite nette per oltre un trilione di rubli (10 miliardi di euro), e è ormai costretta a ridurre la produzione di un quarto rispetto al periodo prebellico. Rosneft – che sopravvive meglio – ha comunque registrato un calo dei ricavi dell’8% per i primi nove mesi del 2023, a 6.612 trilioni di rubli. Tutto questo sembra lievemente contraddire i cantori della situazione meravigliosa della “guerra di Putin”.