Risparmio, italiani un po’ più poveri (e preoccupati): «Ora alzare gli stipendi»

Risparmio, gli italiani sono un po' più poveri (e preoccupati): «È l'ora di alzare gli stipendi» Risparmio, gli italiani sono un po’ più poveri (e preoccupati): «È l’ora di alzare gli stipendi»

«Non leggi i giornali, non segui la Borsa. La moneta si svalùta. La tua si è svalutata del 30%», dice ne La malafemmena Totò a Peppino che lamentava uno strano ammanco di denaro nel salvadanaio nascosto. «Svalutazione monetaria. Inflazione», sentenzia Totò salutandolo. Gli italiani – sentenzia l’ultima «Indagine sul risparmio di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi» (l’indagine integrale qui) - oggi sono un po’ come i fratelli Capone del simpatico film: si sentono un po’ più poveri (e dunque preoccupati) e, di conseguenza, anche più consapevoli del perché: l’inflazione appunto, tornata ad affacciarsi dopo quasi 30 anni. Secondo il report, infatti sono sì salite le famiglie che si dichiarano finanziariamente indipendenti (95% contro il 93% del 2022), ma cala la percezione che il reddito sia sufficiente o più che sufficiente a mantenere un tenore di vita accettabile (sia al presente che al momento della pensione), con i giovani più preoccupati della media. Ciononostante la quota di denaro messa da parte si mantiene sui valori massimi del pre-pandemia e anche se aumenta quello messo nel porcellino, solo il 37% avrebbe qualcosa da tirare fuori per far fronte a una spesa improvvisa di 5.000 euro.

È tempo di aumentare i salari

«Vi sono le condizioni per un aumento dei salari, che costituirebbe un volano importante per sostenere i consumi delle famiglie, il cui potere d’acquisto è compromesso dalla crescita dei prezzi, e per trattenere in Italia le risorse più qualificate», afferma Gregorio De Felice, capo economista e responsabile della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. «Occorre trovare il giusto mix tra contratti nazionali di lavoro e politiche salariali a livello d’impresa, per tenere conto della elevata eterogeneità che vi è oggi nelle performance delle imprese in termini di produttività e in generale di competitività».

L’inflazione premia i ricchi

De Felice poi ricorda come l’impennata dei prezzi abbia «peggiorato la distribuzione dei redditi, svantaggiando i più fragili. Recentemente, il rapporto Inapp ha sottolineato come l’Italia abbia perso 13 posizioni nella graduatoria dei salari reali tra i Paesi Oecd. Dal 1992 al 2022, l’incremento salariale in Italia è stato pari ad appena l’1% a fronte del +32,5% della media dei Paesi Ocse. Nel periodo 2019-22 i salari reali hanno continuato a scendere nonostante l’incremento di produttività del lavoro. La profittabilità delle imprese si è peraltro mantenuta buona e in molti casi è cresciuta».

Risparmio e conti correnti: le distorsioni dell’inflazione

Tornando allo studio, De Felice evidenzia la consueta virtù prudenziale degli italiani, «per cui la sicurezza storicamente rappresenta l’obiettivo primario degli investimenti, emerge dall’Indagine la difficoltà ad orientarsi in uno scenario da tempo non più familiare. Non è una sorpresa – continua -: per oltre trent’anni, con l’ingresso del nostro Paese nell’Unione Monetaria, l’inflazione non è più rientrata tra le preoccupazioni degli italiani: ciò spiega la reazione prudente ed incerta nelle scelte di investimento e di allocazione del risparmio». Tra gli investimenti finanziari dei risparmiatori italiani salgono le obbligazioni, che raggiungono il 28% dei portafogli di chi le detiene e assorbono in parte la flessione del risparmio gestito.

I prezzi non tornano indietro

Il dato più preoccupante – sottolinea l’analisi - è che oltre un terzo del campione (che sale al 41% se si escludono coloro che non hanno risposto alla domanda) fuggirebbe l’inflazione «dalla parte sbagliata», cioè mantenendo il denaro liquido e/o in titoli a tasso fisso. Il 12% ritiene opportuno non far nulla e aspettare tempi migliori.Beppe Facchetti, presidente del Centro Einaudi, per spiegare questo comportamento si allaccia al recente studio del Censis che ha definito gli italiani «sonnambuli». «È l’atteggiamento di un risparmiatore imbambolato, distratto, anche se non travolto dalla paura: cammina sul filo del rasoio e coi propri risparmi si comporta in maniera vaga, perché l’inflazione che rientra lo rende passivo, sonnambulo appunto».
Oggi ,venerdì 15 dicembre, l’Istat ha certificato un rallentamento del caro prezzi: a novembre una diminuzione dello 0,5% su base mensile e un aumento di 0,7% su base annua, da +1,7% nel mese precedente, tornando così a livelli prossimi a quelli del febbraio 2021 (+0,6%). «Nella prima parte del rialzo dei prezzi, gli italiani hanno attinto al conto corrente, convinti di potercela fare, forti anche dei risparmi Covid. L’inflazione poi ha colpito in modo asimmetrico, favorendo il risparmio dei più ricchi — riflette Facchetti con il direttore del Centro Einaudi Giuseppe Russo—. Poi l’inflazione è rientrata, ma i prezzi non tornano indietro e c’è la paura di perdere il proprio tenore di vita quindi risparmio di più e spendo in consumi dove ancora posso permettermelo, lo abbiamo visto con i viaggi. Ora i consumi però rallentano e occorre che segua un aumento dei redditi».

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