Stipendi, Italia al palo: dal 1991 sono cresciuti solo dell’1% (nei Paesi Ocse del 32,5%)

Stipendi, Italia al palo: dal 1991 sono cresciuti solo dell'1% (nei Paesi Ocse del 32,5%) Stipendi, Italia al palo: dal 1991 sono cresciuti solo dell’1% (nei Paesi Ocse del 32,5%)

Se è vero che nel terzo trimestre 2023 la disoccupazione è calata al 7,6%, mentre sono aumentati gli assunti a tempo determinato (ma solo tra gli over 50), c’è comunque poco da stare allegri: tra il 1991 e il 2022, infatti, i salari reali in Italia sono rimasti sostanzialmente al palo, con una crescita di un misero 1% a fronte del 32,5% in media registrato nell’area Ocse, che conta 38 Paesi membri e non solo europei (vi rientrano anche nazioni come la Colombia e il Costa Rica).

Inapp: «Forti dubbi sulla tenuta di questo modello»

Secondo quanto emerge dal Rapporto Inapp, presentato il 14 dicembre, questo tremendo dato italiano è sostanzialmente legato alla bassa produttività del lavoro, che è - come sappiamo - comunque cresciuta più delle retribuzioni. Insomma, nella distribuzione del reddito lungo la Penisola, si vede una caduta crescente della quota dei salari sul Pil, mentre cresce la quota dei profitti: per il Rapporto sono ormai stabilizzate su valori rispettivamente del 40% e del 60%. E qui l’Inapp, il cui presidente Sebastiano Fadda ha presentato il Rapporto dell’Istituto alla Camera dei Deputati, lancia l’allarme: ci sono «forti dubbi - si legge nel documento- sulla tenuta di tale modello nel lungo periodo». In oltre 30 anni, i salari sono rimasti pressoché invariati, ma, in particolare, nel solo 2020 (terzo nell’anno della pandemia da Covid-19) si è registrato un calo in termini reali del 4,8%. In quell’anno si è registrato anche il dislivello più ampio con la crescita dell’area Ocse: -33,6%.

I problemi (ormai cronici) dell’Italia

Certo, dopo la crisi generata dalla pandemia il mercato del lavoro italiano ha ripreso a crescere, ma questo percorso appare, secondo Inapp, troppo condizionato dalle criticità strutturali che lo caratterizzano. Come detto, accanto al problema delle retribuzioni, negli anni è aumentato anche il problema della scarsa produttività: a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività nel nostro Paese è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%. Ma accanto a bassi salari e crisi della produttività, l’Italia registra anche poca formazione (il labour shortage, la difficoltà delle imprese a coprire i posti vacanti, è in crescita) e un welfare che fatica a proteggere tutti i lavoratori. Restano, infatti, senza “paracadute” oltre 4 milioni di lavoratori non assunti a tempo indeterminato, quelli che vengono definiti “non standard”: parliamo degli autonomi, di chi è stato licenziato o è ancora alla ricerca di un’occupazione, passando per i lavoratori della gig economy fino ai cosiddetti working poors.

L’analisi di Sebastiano Fadda

«Dopo la crisi pandemica - ha spiegato Sebastiano Fadda – le dinamiche del mercato del lavoro hanno ripreso a crescere ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, dal conflitto bellico alle porte dell’Europa, alla crescita dell’inflazione e della crisi energetica, ma anche a fattori interni, come il basso livello dei salari che si lega alla scarsa produttività, alla poca formazione e agli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati, se pensiamo che più della metà delle imprese (il 54%) dichiara di aver assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14% sostiene di aver utilizzato almeno una delle misure previste dallo Stato. Occorrono quindi degli interventi mirati e celeri capaci di indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che non può prescindere dalla rivoluzione tecnologica e digitale che sta modificando i processi produttivi».

Come sarà il 2024?

Tornando a quanto scritto all’inizio di questo articolo e alle celebrazioni di queste ultime ore su alcuni media rispetto all’aumento degli occupati nel terzo trimestre 2023, il saldo attuale è vero che è positivo rispetto a gennaio 2020 (+550 mila), ma le nuove assunzioni nel 2022 - ultimo dato completo - sono state in calo rispetto al boom di fine pandemia. Il numero di assunzioni l’anno scorso è infatti peggiorato rispetto al 2021: 414 mila nuove attivazioni nette nel 2022 a fronte di 713 mila nel 2021. Vedremo il prossimo anno come sarà andato davvero il 2023 rispetto al 2022.

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