Non si capisce se sia per una sopravvenuta stanchezza o solo per un sussulto di prudenza, ma quel formidabile rimbalzo delle borse scattato a fine ottobre s’è come congelato. Nelle ultime 10 sedute, l’indice S&P 500 ha guadagnato sì e no lo 0,5%, e lo Stoxx 50 d’Eurozona l’ha seguito come un’ombra. «Vendi il rally (rialzo) sopra il 4.500 punti dell’S&P», aveva dichiarato oltre un mese fa Michael Hartnett, capo strategist di BofA. E quelle parole sembrano aver echeggiato come una profezia. Hartnett è un moderato pessimista e l’invito a diffidare dei rimbalzi l’aveva ripetuto almeno tre volte (e a ragione) nel corso dell’anno. Ma dello stesso parere sono stati anche i moderatamente ottimisti operatori di Goldman Sachs: dapprima manifestando scetticismo sulla diffusa euforia d’inizio mese e poi, qualche giorno fa, dichiarando che questo rally aveva i giorni contati: cinque per la precisione, e sarebbero scaduti venerdì primo dicembre. Due settimane fa, anche i trader di JPMorgan, pur dichiarandosi «tatticamente bullish» (rialzisti), avevano avvertito che la molla del rialzo era ormai a fine corsa. Con un ragionamento analogo ai colleghi di Goldman si faceva notare che gli acquisti record di azioni proprie da parte delle aziende (buyback) si stavano esaurendo, che le gestioni computerizzate avevano ampiamente coperto le posizioni al ribasso e ora sarebbero piene di titoli, e che anche i fondi pensione sono tornati in sovrappeso sulle azioni americane. «Ancora 5 sedute e questo rimbalzo si tramuterà in ribasso», hanno sentenziato lunedì scorso gli uomini di Goldman.
L’effetto dei tassi (fermi) e l’attesa per le prossime mosse di Fed e Bce
A comprare titoli, un po’ per inerzia e un po’ in ossequio al presunto assioma del «rally di fine anno», sarebbero rimasti solo i piccoli investitori. Ma anch’essi senza troppa convinzione. Il rimbalzo dei mercati azionari era iniziato a fine ottobre sulle ali di un semplice ma razionale ragionamento: l’inflazione stava calando oltre le attese e sarebbe scesa in tempi abbastanza brevi all’obiettivo del 2% indicato dalle banche centrali. Ne consegue che la stagione delle strette monetarie è finita e pertanto i tassi d’interesse scenderanno in maniera decisa: almeno di un punto percentuale entro dicembre 2024 in America, al 4,25-4,5%, secondo le scommesse dei mercati al CME (FedWatch), e di una misura altrettanto ampia anche in Eurozona, secondo le stime degli operatori. Rendimenti dei titoli di stato decennali, calati di circa 70 centesimi (al 4,3%) negli Usa e di oltre 50 centesimi in Eurozona (Bund al 2,4%), sarebbero pertanto appropriati a questo scenario. Resta da vedere se anche la Fed e la Bce condivideranno le aspettative dei mercati. Per ora le due banche centrali s’atteggiano a «falchi», sostenendo che la lotta all’inflazione non è affatto vinta e il futuro è denso d’incognite.
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Come può riprendere il rally
Al di là di ogni considerazione sulla presunta sopravvalutazione dei mercati azionari, un rialzo di Wall Street di oltre il 10% dai minimi relativi di ottobre, con l’indice tornato sui massimi (relativi) di luglio, appare comprensibile; e giustificabile risulta pure il recupero del 9% dello Stoxx 50, pur in presenza di condizioni economiche e andamento degli utili societari ben più critici. Ma, scontati il forte calo dei rendimenti obbligazionari e i prospettati tagli ai tassi d’interesse, cos’altro potrebbe sostenere le borse nei prossimi mesi? La risposta più ovvia è l’economia. Qui le incognite sono talmente tante che ogni previsione ha il sapore della scommessa. Negli Stati Uniti, gli economisti (delle banche d’investimento) si sono messi in testa che non ci sarà alcuna recessione e, alla peggio, un soft landing, ossia un atterraggio morbido, cosicché la crescita del pil dal 2,4% del 2023 si ridurrà all’1,4% nel 2024 (secondo BofA) o all’1,9% (per Goldman Sachs): numeri in ogni caso piuttosto lusinghieri e forse tali da non giustificare quei drastici tagli ai tassi d’interesse immaginati dai mercati. In Europa l’economia è già quasi a terra: a detta di BofA, dovrebbe chiudere il presente anno con un modesto rialzo del pil di circa lo 0,5% e proseguire allo stesso, stentato modo anche nel 2024, con una recessione, ovviamente «tecnica», in questo e nel prossimo trimestre. Un po’ più generose sono le stime di S&P Global che prevede un pil allo 0,6% quest’anno e in crescita dello 0,8% il prossimo, con un’inflazione pressoché dimezzata al 2,9%.
Recessione sì o no?
Gli utili societari per i titoli dell’S&P 500 salirebbero di oltre l’11% (consenso Refinitiv) e quelli dello Stoxx tra il 6-7%. Non è certo una condizione idilliaca, ma quantomeno permetterebbe di tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Ma quale pericolo? Quello di una recessione ovviamente. Data quasi per certa un anno fa in Europa e in America, declassata a soft landing già nella tarda primavera, è stata ora ridotta (per lo meno negli Usa) a semplice rallentamento economico, nonostante le condizioni dell’economia, segnalate dagli indici sull’attività manifatturiera e dei servizi, dal mercato immobiliare, dal forte aumento delle insolvenze sui debiti contratti da famiglie e imprese (specie negli Usa), siano nel complesso peggiori di quelle registrate un anno fa: con in più un mercato del lavoro, un indicatore assai ritardato, che inizia a mostrare qualche segno di cedimento. L’ipotesi di una recessione rientra solo negli scenari estremi dipinti da alcune grandi banche d’investimento: più per non precludersi una eventualità lontana, magari provocata da fattori esogeni, ossia da quelle tensioni geopolitiche alle quali le borse sono rimaste quasi sempre del tutto indifferenti. Per questo l’atteggiamento degli investitori più accorti sembra essere quello di aspettare e guardare lo svolgersi degli eventi. Per l’economia s’intende. Il prezzo dell’oro (a 2.063 $), risalito ai livelli record dell’agosto 2020, è un inequivocabile segnale di prudenza.
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05 dic 2023
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