Non solo azioni di società con fatturati medi o medio alti, ma anche obbligazioni governative emesse dal Dipartimento del Tesoro di Washington o da debitori europei che, al fine di diversificare le monete in cui indebitarsi, si rivolgono direttamene al mercato statunitense. In primo luogo, per mediare il rischio valutario e, se possibile, risparmiare sui costi di finanziamento. Anche chi investe i propri risparmi potrebbe scegliere di diversificare non solo la tipologia di emissioni cui destinare quota parte della disponibilità presente in conto corrente, ma anche la moneta, differente dall’euro, cui affidare quota parte della disponibilità. Il grado di affidabilità dell’emittente governativo d’oltre Atlantico è sui livelli massimi, anche se due Agenzie di rating lo hanno ridotto da tripla A a doppia A più. In pratica, l’affidabilità è scesa di un gradino. Le emissioni governative presenti nella tabella propongono rendimenti lordi particolarmente interessanti per le scadenze più ravvicinate, anche se, è opportuno segnalarlo, il rendimento di quella con durata di poco superiore è leggermente inferiore. Siamo tra il 5,29% e il 5,54% per il Bond che scade a maggio del 2024. Interessanti, per contro, le redditività che offrono le due banche statunitensi presenti in tabella: la Goldman Sachs 2025 offre il 6,39% e JP Morgan, a fronte di una durata quinquennale il 5,81%.
Il rischio cambio
L’acquisto dei titoli segnalati è abbastanza semplice, poiché molti degli strumenti sono quotati anche alla Borsa italiana. In ogni caso, inserire questa tipologia di strumenti obbligazionari in portafoglio risulta essere, quasi sempre, abbastanza semplice e rapido. Generalmente, il risparmiatore che si rivolge ad emissioni in moneta diversa dell’euro è depositario di un grado di propensione al rischio di medio livello. Scegliendo tipologie di strumenti obbligazionari denominati in dollari, ma il ragionamento vale per qualsiasi altra moneta diversa dalla nostra, si espone al rischio cambio. In pratica il valore di differenti monete, non solo euro o dollaro Usa, ma anche sterlina inglese o yen del Giappone o le divise del Nord Europa, corona svedese o norvegese e altre ancora, potrebbe variare giorno dopo giorno, esattamente come accade per il valore dei titoli azionari e, perché no, di quelli obbligazionari, titoli di Stato compresi. Le oscillazioni dei rapporti di cambio sono, generalmente, relativamente contenute, ma nulla esclude che vi possano essere variazioni anche sensibili, a fronte di situazioni non solo di carattere economico, ma, molto spesso, di carattere politico.
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Con riferimento al rapporto tra dollaro degli Stati Uniti e moneta unica, è interessante tenere conto che, da inizio anno, il rialzo maggiore dell’euro nei confronti del dollaro Usa è stato pari al 5,34%, 1,1224 contro 1,0655, il 19 luglio, mentre il calo maggiore dell’1,74 per cento, 1,0470 contro 1,0655, il 3 ottobre. La variazione percentuale massima ha di poco superato il 7%, fissandosi a 7,08 per cento. Si tratta di un movimento assolutamente in linea con quanto si verifica in ambito sia azionario, sia obbligazionario. Anche se, in effetti, le due variazioni, prese singolarmente, non risultano essere eccessive. Al tempo stesso, le citate variazioni del rapporto di cambio non fanno altro che incidere sulla redditività dell’investimento, sia in senso positivo, sia in senso negativo. Escludendo da questa tipologia di strategia chi ha una bassa o bassissima propensione al rischio, la quota da destinare a questo comparto del mercato obbligazionario potrebbe variare dal 10 per cento a 30% del patrimonio investito nel mercato obbligazionario. Con la raccomandazione, laddove si optasse per destinare una somma a strumenti denominati in moneta non euro, di seguire le oscillazioni. Per non essere sorpresi da eventuali variazioni importanti nel valore delle due monete, soprattutto se di segno negativo.
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25 nov 2023
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