Borse e bond, tre strategie per investire con le banche centrali in pausa sui tassi: le ricette
di Pieremilio Gadda
Piccole e medie imprese italiane, che ora sono super scontate. E poi Italia, Europa ma anche Mercati Emergenti molto sottovalutati rispetto agli Stati Uniti. Per Luca Riboldi, direttore investimenti di Banor sim e advisor del fondo Banor sicav Mistral long short equity, questi sono i due temi di investimento più interessanti per i prossimi mesi: la contrapposizione grande/piccolo sul nostro mercato azionario domestico e quella tra Borsa Usa e resto del mondo. L’occasione per approfondire le ragioni e le opportunità di queste due idee si è creata a Milano, subito dopo l’incontro annuale della società per illustrare le prospettive dei mercati e le strategie ai clienti.
di Pieremilio Gadda
«Nei prossimi tre-cinque anni, in uno scenario che si può immaginare di relativa stabilità sia per la crescita economica che per i tassi di interesse, destinati a scendere un poco, per le piccole/medie imprese italiane ci sono grandi opportunità», spiega Riboldi. Dopo un periodo in cui sono finite sotto pressione — perché quando c’è incertezza si preferiscono le società più grandi e perché la scadenza del quinquennio fiscale per i Pir, i piani di risparmio che a azzerano le tasse a certe condizioni, ha scatenato molte prese di profitto proprio su questi titoli — secondo Banor le pmi tricolori sono una scommessa da fare. «Stiamo pensando di proporre veicoli ad hoc, con meno vincoli di quelli dei classici fondi di private equity, per investire in un numero ristretto di soggetti italiani e in qualche caso europei, cinque o sei nomi alla volta», dice ancora Riboldi. Mentre sul fronte dei Family office è molto elevato l’interesse di alcuni per la possibilità di entrare con quote rilevanti nel capitale di alcune delle pmi con grande potenziale. «Parliamo di aziende industriali, attive nella meccanica, nel digitale e anche nella finanza», dice Riboldi. Si tratta in alcuni casi di multinazionali tascabili che detengono una leadership globale, magari di nicchia. In altri casi il principale mercato di riferimento è l’area del Mediterraneo.
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Il secondo grande filone da esplorare è la partita Stati Uniti-resto del mondo. Dove però l’Europa, e il nostro Paese, possono giocare un ruolo essenziale. «Gli Stati Uniti, il mercato azionario per eccellenza, rappresentano almeno il 60% di tutti gli indici azionari globali: non è possibile pensare di ignorare la variabile americana in un portafoglio», argomenta Riboldi. Però è altrettanto vero che siamo in un momento storico in cui le valutazioni del listino statunitense sono al massimo mentre quelle dei mercati europei e più in generale di tutti gli altri non sono mai state così a sconto.
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Una situazione che in qualche modo potrebbe approdare a nuovi equilibri che gli investitori possono sfruttare. «Gli Stati Uniti sono il mercato dei capitali per eccellenza, l’Europa da questo punto di vista ha alcune lezioni da imparare per rendersi più attrattiva dal punto di vista dei flussi di denaro utili alla crescita delle aziende», dice ancora Riboldi. Ma nell’ultimo anno molte cose sono cambiate. Ora gli Stati Uniti sono molto più indebitati — anche sull’onda lunga delle politiche espansive per far fronte alla pandemia — e con una vita media del debito piuttosto breve (due anni e mezzo) che potrebbe aprire un tema di rifinanziamento a tassi non certo bassi tra poco tempo. Quindi l’economia americana si troverebbe a dover fare i conti con questa variabile che non era sul tavolo, non almeno in questi termini, fino a poco tempo fa.
Perché il tema dei tassi (e anche dell’inflazione) non avrà evoluzioni al ribasso molto importanti, «I tassi scenderanno sì, ma non troppo», dice Riboldi. Negli Stati Uniti potrebbe alla fine diventare accettabile un’inflazione al 3% e tra il 2 e il 3% in Europa. «Perché la transizione energetica, obbligatoria ma complicata, è costosa. Così come sono costose le materie prime, molte delle quali sono fondamentali per realizzare il passaggio ad un mondo decarbonizzato e meno dipendente dal petrolio e, fra qualche decennio, anche dal gas», conclude Riboldi.
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