Un ospite per Biden (e uno per Xi Jinping) America-Cina del 10 aprile

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
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Mercoledì 10 aprile 2024
Un ospite per Biden (e uno per Xi Jinping)
editorialista di michele farina

Un ospite per Xi Jinping e uno per Joe Biden, l’Arizona che a proposito di aborto torna nell’anno 1864, la Casa Bianca mai così dura con Bibi Netanyahu, un incrocio di armi tra Medio Oriente e Ucraina, un italiano premiato a Berkeley, elezioni sul filo in Sud Corea, il giovane Taoiseach irlandese, il mistero del mostro di Nantes (ultima puntata), la corrotta ministra nigeriana anti-Povertà, Putin che si paragona a Gesù «pescatore di uomini», i Rohingya prima braccati e poi arruolati dai generali birmani, standing ovation per le nonne del clima in Svizzera.

Buona lettura.

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1. Prima volta di un leader di Taiwan a Pechino
editorialista
di guido santevecchi

Non era mai successo, da quando nel 1949 Chiang Kai-shek si era rifugiato nell’isola con i resti del suo esercito e del suo governo sconfitti dall’Armata di liberazione popolare di Mao. Oggi l’ex presidente di Taiwan Ma Ying-jeou è stato ricevuto da Xi Jinping nella Grande sala del popolo davanti alla Città proibita. Certo, non sta scoppiando la pace tra Pechino e Taipei, però l’evento è comunque storico e politicamente interessante. Arriva dopo anni di tensioni crescenti nello Stretto e pochi giorni prima dell’insediamento a Taipei del nuovo presidente William Lai del Partito democratico progressista, con il quale Pechino non vuole discutere accusandolo di essere un indipendentista (separatista).

imageLa stretta di mano nella Grande sala del popolo di Pechino tra Xi e Ma, trasmessa dalla tv taiwanese

  • Ma Ying-jeou invece è del Kuomintang, il vecchio partito nazionalista di Chiang Kai-shek che ha mantenuto rapporti con la Repubblica popolare cinese. La stretta di mano di oggi con Xi è stata seguita in diretta dalla tv taiwanese. Il leader cinese ha ripetuto una delle sue frasi preferite: «I taiwanesi sono compatrioti, sono cinesi». Ha aggiunto che «nessuna interferenza esterna» potrà fermare la riunificazione. «Le differenze tra i nostri sistemi (politici, ndr) non possono cambiare il fatto oggettivo che apparteniamo allo stesso Paese e alla stessa nazione». Nessuna concessione, nessuna apertura dunque rispetto all’obiettivo finale del Partito comunista cinese di riprendere il controllo di Taiwan. Xi ha detto che «non c’è rancore che non possa essere risolto all’interno di una famiglia». Il problema è che i taiwanesi oggi non si sentono né compatrioti né famiglia con i cinesi.
  • Secondo i sondaggi d’opinione il 62% degli isolani si dichiara solo taiwanese; il 30% sia taiwanese sia cinese, il 2% cinese. E l’88% vuole mantenere lo status quo: l’indipendenza di fatto. L’ex presidente del Kuomintang ha risposto al leader cinese che le tensioni tra le due sponde dello Stretto mettono a disagio molti taiwanesi: «Una guerra sarebbe insopportabile per il popolo cinese», ha detto, usando «popolo cinese» per riferirsi al ceppo etnico piuttosto che alla cittadinanza. Ha concluso che «la gente dalle due parti dello stretto ha abbastanza saggezza per gestire pacificamente le controversie ed evitare di sprofondare in un conflitto». Secondo i politologi di Taipei, l’onore di un colloquio a Pechino accordato da Xi a Ma ha lo scopo di mandare un doppio messaggio.
  • Il primo: nessun dialogo con gli indipendentisti come Tsai e il nuovo presidente Lai, ma nessuna chiusura nei confronti del Kuomintang. Il secondo sarebbe rivolto a Joe Biden: la Cina al momento non ha intenzione di scatenare una nuova guerra nello Stretto. Ma Ying-jeou è stato presidente a Taiwan dal 2008 al 2016 e nel novembre 2015 a Singapore era stato protagonista di un primo incontro con Xi Jinping. A quel tempo Ma era a fine mandato e la sua stretta di mano davanti alle telecamere nel campo neutro di Singapore, cronometrata in ottantuno secondi, era stata preparata per lasciare in eredità un dialogo. Le cose sono andate diversamente, perché Xi ha tagliato i contatti politici con Taipei nel 2016, quando fu eletta presidente Tsai Ing-wen del Partito democratico progressista, accusata di indipendentismo. E ora il popolo taiwanese ha votato come nuovo presidente un altro esponente del Partito democratico, William Lai, che entrerà in carica il 20 maggio.
  • In realtà, Tsai e Lai non hanno mai pensato di dichiarare l’indipendenza, sanno che significherebbe guerra, ma difendono lo status quo, vale a dire la democrazia taiwanese e il suo rifiuto di assoggettarsi al Partito comunista cinese. Da anni ormai gli unici incontri ravvicinati tra le due parti dello Stretto sono tra i cacciabombardieri e le navi cinesi e le unità dell’aviazione e marina taiwanesi schierate in difesa.
2. L’Arizona rispolvera la legge anti-aborto del 1864
editorialista
di massimo gaggi
da New York

Incubo aborto per Donald Trump. L’ex presidente è convinto di tornare alla Casa Bianca: i sondaggi sono quasi tutti a suo favore mentre Joe Biden, nonostante il buon andamento dell’economia e l’occupazione a livelli record, fatica a recuperare terreno. Anche perché l’onda dell’immigrazione clandestina e il sostegno a Israele nella guerra di Gaza gli fanno perdere consensi.

imageI giudici della Corte Suprema dell’Arizona

  • Ma è l’aborto che toglie il sonno a The Donald. Quella che ha sbandierato a lungo come la sua principale vittoria da presidente – la nomina di tre giudici costituzionali decisivi per il capovolgimento della sentenza Roe v. Wade che per mezzo secolo ha garantito in tutta l’America il diritto di interrompere la gravidanza – è diventata anche per molti conservatori motivo di dissenso: repubblicani moderati e libertari indignati perché, una volta cancellata la protezione federale dell’aborto, diversi Stati hanno varato leggi assai severe (...).
  • Ieri un’altra tegola: la Corte Suprema dell’Arizona – uno degli Stati decisivi per le presidenziali, di tendenza conservatrice ma conquistato per un soffio da Biden nel 2020 e ora forse di nuovo orientato a destra – ha deciso di considerare pienamente in vigore una legge del 1864 che, di fatto, vieta ogni tipo di aborto salvo quando la vita della donna incinta è in pericolo. Dunque una norma antica, varata quando l’Arizona non faceva ancora parte degli Stati Uniti, ma che non era stata più applicata dal 1973 per via della sentenza della Corte Suprema che aveva introdotto il diritto ad abortire in tutti gli stati dell’Unione.
  • Quando, due anni fa, la Roe v. Wade è stata cancellata, in Arizona è stata subito varata una legge statale che limita l’aborto alle prime 15 settimane di gravidanza. I democratici stanno cercando di organizzare in questo e in altri Stati che hanno introdotto normative altrettanto severe, come la Florida, un referendum per inserire nella costituzione dell’Arizona il diritto ad abortire fino alle prime manifestazioni di vitalità del feto (dopo circa 24 settimane). Ma se in Florida, dove i repubblicani hanno un ampio vantaggio, non basteranno le battaglie per i diritti delle donne per capovolgere la situazione, nel testa a testa in questa terra del West può succedere di tutto. Per questo i repubblicani dello Stato hanno cercato di sdrammatizzare lo scontro. Ma ora la Corte Suprema, decidendo che la legge del 1864 prevale su quella di due anni fa, incendia di nuovo gli animi.
  • Le autorità promettono che la vecchia norma, anche se tornata in vigore, non verrà attuata, ma la decisione dei giudici supremi porta acqua al mulino di chi vuole il diritto ad abortire nella Costituzione (qui l’articolo completo).
3. I regali del Giappone alla Casa Bianca

Il premier giapponese Fumio Kishida, in visita ufficiale negli Stati Uniti, è stato accolto ieri alla Casa Bianca dal presidente Joe Biden. Dopo una foto ufficiale, i due leader e le rispettive first lady — Yuko e Jill — hanno cenato in un ristorante di Washington, prima del vertice e degli incontri in programma oggi alla Casa Bianca.

imageAssaggio: la chef della Casa Bianca Cris Comerford mostra alla stampa i piatti che saranno serviti alla cena di gala questa sera, ospite il premier giapponese (Susan Walsh/Ap)

4. Biden: «Un errore la politica di Netanyahu»

La politica del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu su Gaza «è un errore, non sono d’accordo con il suo approccio». Lo ha detto il presidente Joe Biden in un’intervista alla rete americana in lingua spagnola Univision (registrata la settimana scorsa), esortando Israele a chiedere un cessate il fuoco. Mai prima d’ora Biden aveva usato parole così dure ed esplicite nei confronti di Netanyahu.

  • Il Papa, al termine dell’udienza generale di questa mattina, ha rinnovato il suo appello per la pace. «Il mio pensiero va alla martoriata Ucraina e alla Palestina e ad Israele. Che il Signore ci dia la pace. La guerra è dappertutto», ha detto il Papa con dolore.«Non dimentichiamo il Myanmar. Chiediamo al Signore la pace e non dimentichiamo questi nostri fratelli e sorelle che soffrono tanto in questo posto di guerra. Preghiamo sempre insieme per la pace» (qui tutti gli aggiornamenti in diretta sul conflitto in Medio Oriente).
5. Incrocio di armi tra Ucraina e Medio Oriente
editorialista
di guido olimpio

Ucraina e Medio Oriente, le guerre si incrociano anche se i combattenti sono diversi. Gli Stati Uniti hanno deciso di inviare in Ucraina 5 mila fucili d’assalto tipo Kalashnikov, 500 mila proiettili, lanciagranate RPG e altro materiale leggero sufficiente ad equipaggiare una brigata. Sono armi iraniane destinate agli Houthi nello Yemen, carichi intercettati dagli americani a bordo di piccoli cargo. Non è la prima volta che si parla di queste triangolazioni, anzi erano già uscite indiscrezioni su forniture simili.

imageUna donna al cimitero di Rafah, Striscia di Gaza, nel primo giorno di Eid al-Fitr quando i musulmani celebrano la fine del Ramadan

  • Altro fronte: gli americani hanno varato un pacchetto da 138 milioni di dollari necessario a riparare e aggiornare le batterie missilistiche antiaeree Hawk in dotazione a Kiev. La vendita «d’urgenza» è una piccola goccia. Gli ucraini hanno un disperato bisogno di sistemi per contrastare i pesanti raid dei russi, incursioni dove hanno un ruolo i droni kamikaze ceduti da Teheran a Mosca.
  • Ieri erano solo indiscrezioni, oggi abbiamo le dichiarazioni ufficiali. Il ministro degli Esteri israeliano Katz ha affermato che il suo Paese colpirà in Iran nel caso vi sia una rappresaglia nemica contro lo Stato ebraico. A sua volta, l’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema della Repubblica islamica, ha ribadito che Israele «sarà punito» per aver ucciso alcuni alti ufficiali dei pasdaran a Damasco.
6. Putin pescatore di uomini?

Apparendo da remoto all’inaugurazione di un centro per l’infanzia fuori Mosca, Vladimir Putin ha cominciato a fare citazioni dalla Bibbia. Il Cremlino pone molta attenzione ai piccoli russi: a sei anni possono unirsi ai Piccoli Ottobristi (di rivoluzionaria memoria), a 9 passano nei Giovani Pionieri e a 14 nel Komsomol. Un percorso che ricorda quello delle giovani generazioni al tempo dell’Unione Sovietica, con in più un’iniezione di afflato religioso.

  • Il Times di Londra oggi fa riferimento a un recente incontro con pubblici ufficiali dove lo zar ha citato il Vangelo, l’incontro di Gesù con i futuri apostoli Pietro e Andrea: «Ricordate quando Gesù arriva sulle rive del Mare di Galilea e incontra i pescatori? Uno sta pescando, l’altro ripara le reti. E dice loro: “Seguitemi, e io vi farò pescatori di uomini”. Ecco, questo vale più che mai oggi, mentre dobbiamo difendere i nostri valori tradizionali». Putin pescatore di uomini o di salmoni in Siberia?
7. Un premio a un italiano

(Massimo Gaggi) Paolo Taticchi, giovane docente di Strategia e Sostenibilità presso la School of Management dell’University College London (UCL), ha ricevuto ieri dall’università di Berkeley, in California, il Premio Stefan A. Riesenfeld Memorial, assegnato a studiosi che hanno portato contributi significativi nel diritto internazionale e in altre discipline, influenzando il cambiamento sociale su scala internazionale.

  • Tra i vincitori precedenti del premio figurano personaggi come Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace, Louise Arbour, ex Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, e Alejandro Jara, ex Vice Direttore Generale della World Trade Organization (WTO). Il premio è stato consegnato durante il simposio internazionale annuale intitolato alla memoria dello stesso Stefan A. Riesenfeld, grande giurista di Berkeley.
8. Pattini e voti in Sud Corea
editorialista
di clara valenzani

Tra cipollotti banditi (ne abbiamo parlato ieri) e stranezze pre-elettorali, oggi in Corea del Sud si è votato per il nuovo Parlamento: un momento critico per il presidente Yoon Suk-yeol (conservatore del Partito del Potere Popolare – PPP), che finora ha avuto a che fare con un’Assemblea guidata dall’opposizione (a capo del Partito Democratico – DPK – c’è il suo avversario Lee Jae-myung).

imageYoon Suk-yeol e il suo rivale Lee Jae-myung, finti pattinatori in un video per la campagna elettorale (via Bbc)

  • I sondaggi condotti a Seul mostravano preferenze miste e risultati con numeri ravvicinati per i due candidati. Yoon non sta godendo di grande popolarità: l’inflazione e i prezzi dei generi alimentari (vedi i suddetti cipollotti) sono in aumento, i dottori scioperano per l’alto numero di ammissioni alle facoltà di medicina, e sua moglie era stata accusata di corruzione per aver accettato in regalo una borsa Dior da 2 mila euro. Dall’altra parte, anche la fazione di Lee non è estranea a controversie e scandali, ma se vincesse renderebbe la vita politica di Yoon ancora più complicata per il resto del suo mandato: «Gli ultimi due anni sono stati difficili per lui con l’opposizione a guidare il Parlamento. Se le cose non cambieranno dopo le elezioni, l’ultimo anno sarà ancora peggio», ha dichiarato Lee Jun-han, professore di scienze politiche all’Università di Incheon.
  • La preoccupazione principale dei cittadini resta però quella relativa al costo della vita: «Speriamo che chi sarà al potere collaborerà per lo sviluppo del Paese. I prezzi stanno impattando fortemente sulla quotidianità», sono stati i preoccupati commenti raccolti nella capitale. Erano 44 milioni i sudcoreani chiamati a esprimere la loro preferenza su chi far sedere nei 300 posti dell’Assemblea Nazionale (così è definito il Parlamento) dalle 6.00 alle 18.00 ora locale (fino alle nostre 11 del mattino), anche se molti hanno colto la possibilità di votare in anticipo sabato e domenica.
9. L’Irlanda ha un giovane Taoiseach (col ciuffo)
editorialista
di matteo castellucci

L’Irlanda ha un nuovo Taoiseach, cioè «primo ministro» in gaelico. Simon Harris, che ieri ha ottenuto la fiducia in Parlamento con 88 voti a favore e 69 contro, a 37 anni è il più giovane a ricoprire la carica. È stato scelto, dopo le dimissioni un po’ a sorpresa di Leo Varadkar il 20 marzo, dai tre partiti al governo: il suo, Fine Gael di centro-destra; i centristi di Fianna Fáil e i Verdi. Ha promesso un «nuovo contratto sociale», di risolvere la crisi abitativa facendo costruire 250 mila nuove case, ma non ha molto tempo: entro marzo 2025 si tornerà a votare e in mezzo ci sono le elezioni europee.

imageSimon Harris lascia il Parlamento dopo aver ottenuto la fiducia (Foto Afp/Oireachtas)

  • Harris è già soprannominato «TikTok Taoiseach» perché dal 2021 è attivo sulla piattaforma (dove ha quasi 2 milioni di likes) e, in generale, si muove bene nella comunicazione sui social. È cresciuto a County Wicklow, sulla costa a sud di Dublino, figlio di un tassista e di un’insegnante di sostegno. Da adolescente ha fondato un ente benefico per la sensibilizzazione sull’autismo. Nel 2002, a 15 anni, intervistato dalla tv pubblica Rté disse di essere stato ispirato a fare qualcosa dal fratello autistico. Nel 2008 lascia l’università, dove studiava Giornalismo e Francese, per lavorare come assistente della leader dell’opposizione al Senato dell’epoca, Frances Fitzgerald, e da lì inizia la sua ascesa politica.
  • A 22 anni viene eletto consigliere provinciale, a 24 entra alla Camera (la Dáil Éireann). Nel 2018 ha sostenuto il referendum (vincente) sulla depenalizzazione dell’aborto. Più volte ministro, l’ultima volta all’Innovazione e la Ricerca, Harris ha scelto un motto che, secondo la leader dei laburisti Ivana Bacik, sembra uscito da Guerre Stellari: «Una nuova energia». Mary Lou McDonald, a capo dei nazionalisti di Sinn Féin, chiede invano nuove elezioni. Nei sondaggi il partito storicamente a favore della riunificazione con l’Irlanda del Nord, dove ora è parte dell’esecutivo, è primo come nel 2020: alle prossime elezioni, a differenza di allora, però potrebbe avere abbastanza seggi per governare. In quei grafici Fine Gael ristagna, ma con il nuovo premier, un millennial col ciuffo brizzolato, spera di rilanciarsi.
10. Il mostro di Nantes, ultimo avvistamento

(Guido Olimpio) Il mistero che appassiona la Francia resta aperto. Atto primo. Nantes, aprile 2011, Xavier Dupont de Ligonnes uccide la moglie e i quattro figli, poi fa perdere le tracce. Strage legata a una situazione economica disastrosa, alla doppia vita dell’uomo d’origini nobili, alla crisi con la moglie.

  • Atto secondo. La polizia non esclude una fuga all’estero — forse negli Usa, Paese dove ha vissuto e che adora — ma non viene neppure scartata l’ipotesi del suicidio, tesi respinta da chi lo conosce bene. Intanto si moltiplicano le segnalazioni (anche in Italia), ad oggi quasi 1.700, tutte vane. Un uomo è arrestato in Scozia nel 2019, gli inquirenti sospettano che sia il killer e invece è un clamoroso errore di persona. Un pasticcio degli investigatori.
  • Atto terzo. A primi di marzo tre membri di una comunità religiosa a Montferrand-le-Chateau (a Est di Digione) incontrano una persona che, a loro giudizio, assomiglia al ricercato e avviseranno successivamente gli inquirenti. Ora si attendono le verifiche del DNA, con campioni prelevati nella stanza dove ha dormito l’uomo.
11. Nosferatu Zuma

(Michele Farina) L’ex presidente che ha disastrosamente guidato il Sudafrica dal 2009 al 2018 risorge per l’ennesima volta. L’ottantunenne Jacob Zuma è libero di candidarsi alle elezioni generali del prossimo 29 maggio. Lo ha deciso il tribunale elettorale del Paese, presso il quale i suoi legali avevano presentato ricorso contro la sentenza della commissione elettorale, che a fine marzo l’aveva escluso dalla competizione.

imageJacob Zuma, 81 anni, vestito di scuro

  • I precedenti penali di Zuma non sono un ostacolo alla sua candidatura. Sempre sfuggito a sentenze pesanti legate a decine di casi di corruzione, JZ era stato condannato a quindici mesi nel 2021 per essersi rifiutato di testimoniare in Parlamento. Graziato dal suo ex numero due e ora suo successore alla presidenza Cyril Ramaphosa, ma allontanato di fatto dall’African National Congress (il partito di governo), Zuma ha deciso comunque di vendicarsi diventando il portabandiera di una nuova formazione con un nome glorioso (uMkhonto we Sizwe, la Lancia della Nazione, il braccio armato dell’Anc che fu guidato di Nelson Mandela). Mk è una ulteriore spina nel fianco elettorale dell’Anc. Soprattutto nel KwaZulu Natal, il vecchio capo zulu JZ ha un grande seguito (i sondaggi lo attestano sopra il 10% a livello nazionale). Abbastanza per rendere ancora più difficile la vittoria del traballante Anc il 29 maggio.
12. Corruzione in Nigeria: la ministra della Povertà

Le hanno trovato 30 miliardi di naira (circa 22 milioni di euro) sparsi in una cinquantina di banche. Betta Edu, 37 anni, era la ministra per la Povertà e gli Affari Umanitari della Nigeria. A gennaio il presidente Bola Tinubu l’ha sospesa quando si è scoperto che aveva dirottato 640 mila dollari di denaro pubblico in un conto personale.

imageBetta Edu

  • La Commissione per i crimini economici e finanziari ha indagato per sei settimane. E questo è il risultato. La ministra a gennaio si era difesa sostenendo che quei 640 mila dollari sul primo conto corrente (non intestato a lei) riguardava un fondo «per i gruppi vulnerabili». E gli altri 21 milioni? Al momento, l’ex ministra della Povertà non risulta indagata. In Nigeria circa 90 milioni di persone vivono in condizioni di estrema indigenza, sopravvivendo con meno di 1,75 euro al giorno.
13. Corruzione in Venezuela: il ministro del petrolio

(Matteo Castellucci) Si era dimesso a marzo dell’anno scorso, alla vigilia di una retata. Da allora Tareck El Aissami, ex potente ministro del Petrolio venezuelano, era scomparso dai radar. Il suo nome ora è ricomparso: è stato arrestato perché ritenuto coinvolto, dice il governo di Nicolás Maduro, in uno schema corruttivo che avrebbe distorto milioni di dollari di proventi dell’industria pubblica.

imageTareck El Aissami con il presidente Maduro

  • Le accuse formulate dal procuratore generale William Saab sono tradimento, riciclaggio di denaro e associazione a delinquere. Tra gli arrestati oltre a El Aissami, ritenuto un fedelissimo del regime prima di cadere in disgrazia, c’è Joselit Ramirez, a capo dell’Agenzia per le criptovalute (coinvolta nello schema) fino a marzo 2023.
14. I Rohingya non esistono (ma sono costretti ad arruolarsi)
editorialista
di paolo salom

A proposito di diritti umani. In Birmania, o Myanmar come i generali preferiscono chiamare il loro Paese, è iniziato l’arruolamento coatto dei Rohingya. La minoranza di fede musulmana vive prevalentemente nell’Ovest, vicino al confine con il Bangladesh. Finora è stata soggetta a soprusi, isolamento e repressione al punto che oltre un milione di Rohingya sono fuggiti oltre frontiera e ora vivono ammassati in campi per rifugiati.

imageUn soldato birmano

  • Ai Rohingya non è riconosciuta nemmeno la cittadinanza e, paradosso nel paradosso, le autorità birmane applicano nei loro confronti una legge che regola il servizio militare basata proprio sugli obblighi dei cittadini «regolari». Ma tant’è, le norme sono fatte per servire chi comanda. E possono essere piegate a piacimento. Così, la comunità che non esiste — almeno per la maggioranza buddhista del Paese del Sud-Est asiatico — deve fornire fino a 5 mila coscritti al mese. Chi non si adegua finisce, ancora una volta, nelle maglie dei soldati, che girano per i villaggi alla ricerca di giovani pronti a vestire la divisa. Dunque, tra false promesse di cittadinanza, arresti arbitrari, pestaggi, i Rohingya finiscono nelle fauci di Tatmadaw, l’esercito birmano, e, dopo poche settimane di addestramento intensivo (a forza di botte e privazioni) spediti al fronte, a combattere le milizie ribelli anti giunta militare. Inutile dire che sono i primi a morire. E a quel punto della cittadinanza — e dei pochi diritti che garantisce — cosa se ne fanno?
15. «Noi, tenaci nonne del clima»
editorialista
di sara gandolfi

Sono solo donne e solo anziane, domiciliate in Svizzera, dai 64 anni in su. Età media 73 anni, ma con una forza e una determinazione da fare invidia alle adolescenti. Si auto-definiscono, con molto humour, «esperte in vampate di calore» e a Strasburgo le «KlimaSeniorinnen» (le anziane del clima) hanno fatto la storia. Come dice, carica di felicità, Norma Bargetzi, sessantanovenne di Locarno, che «fin da giovane» si interessa di ecologia.

  • Vi chiamano le nonne terribili. Si riconosce in questa definizione? «Io direi piuttosto tenaci, perspicaci, con molto humour anche. Be’, abbiamo mosso tante cose. Sono felicissima e molto sollevata. È un giorno di grande gioia e di fortissime emozioni».
  • Come vi è venuta l’idea di mettervi insieme e di far causa alla Svizzera? Siete tantissime… «Siamo più di 2.500 socie, oltre ad una cerchia di più di 1.500 sostenitrici e sostenitori. Sì, siamo proprio un bel gruppo. È una lunga storia, partita da una donna che purtroppo non c’è più: Ursula Brunner, una avvocata molto impegnata nelle questioni climatiche. L’idea di adottare le vie legali in Svizzera le venne dopo la sentenza Urgenda, nel 2015 (la Corte Distrettuale dell’Aja obbligò l’Olanda ad un’ulteriore riduzione delle emissioni di gas serra rispetto a quanto preventivato dalle politiche climatiche europee nel “Pacchetto 20-20-20”, ndr). Benché la Svizzera avesse firmato gli accordi di Parigi, era molto in ritardo nelle sue politiche climatiche»... (qui l’intervista completa).

Grazie. A domani. Cuntrastamu.

Michele Farina


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