L’eclissi di sole, le bacchette e i sorrisi di Yellen a Pechino America-Cina dell’8 aprile

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
testata
Lunedì 8 aprile 2024
Oggi il sole si oscura
editorialista di michele farina

L’eclissi di sole in Nord America, la missione di Janet Yellen a Pechino e quella di Fumio Kishida a Washington, il ritiro di Israele dal Sud di Gaza, lo spettro delle armi chimiche in Ucraina, Trump DJ assordante, un naufragio in Mozambico, il maratoneta che ha attraversato l’Africa, la novantenne Nonna Joy che fa il giro del pianeta, due mondi paralleli (in uno cala l’inflazione dei prodotti alimentari), tre storie di immigrazione, il premier britannico Sunak re Mida al contrario, i ciliegi giapponesi in fiore a Berlino, la finale di un pazzo mese di basket negli States. E in fondo, la cinquantottesima puntata della nostra serie Segreti del Sud-Ovest.

Buona lettura.

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1. Per Janet Yellen bacchette e sorrisi a Pechino
editorialista
di guido santevecchi

L’Amministrazione americana e il Partito comunista cinese hanno deciso di circondare con una esibizione di stabilità diplomatica il loro rapporto di mutuo sospetto strategico e i molti contenziosi commerciali e industriali. Dopo la telefonata del 2 aprile di Joe Biden a Xi Jinping è toccato alla segretaria al Tesoro Janet Yellen proseguire e consolidare la ripresa del dialogo. La signora ha concluso oggi una missione di quattro giorni, seguita con simpatia anche dal popolo cinese dei social, che l’ha elogiata come «professionista nell’uso delle bacchette a cena»: un video di Yellen in un ristorante di cucina cantonese è diventato virale sul web mandarino ed è stato ripreso anche dalla tv statale. Xi e i suoi uomini considerano la signora «la poliziotta buona» della squadra di Biden. Yellen ha portato diversi messaggi.

imageSocial e stampa cinese hanno sottolineato la maestria di Janet Yellen nell’uso delle bacchette a cena

  • Yellen ha utilizzato gli incontri con il vicepremier He Lifeng e il premier Li Qiang soprattutto per discutere il dossier dei rapporti industriali. E anche su questo fronte ha messo sul tavolo dei moniti: gli Stati Uniti non staranno a guardare mentre la Cina scarica il suo eccesso di capacità produttiva sul mercato americano. Il nuovo fronte sono i sussidi statali cinesi che spingono le auto elettriche e l’«energia verde» in genere. Yellen ha citato l’industria dell’acciaio, «decimata negli Stati Uniti e in Occidente dall’ondata di produzione cinese a prezzi in perdita» e ha detto che Washington non accetterà la stessa tattica nel settore «green». Però, l’inviata di Biden ha seminato sul suo percorso cinese una serie di segnali positivi.
  • Ha concordato di istituire un dialogo tecnico per favorire «una crescita equilibrata» (vale a dire un controllo sull’eccesso di produzione cinese) e ha osservato che la soluzione del problema è semplice: costruire una domanda interna in Cina «dato che la Cina è troppo grande perché il resto del mondo possa assorbire la sua enorme capacità produttiva». Pechino risponde che «le accuse americane ed europee sul nostro eccesso di produzione sono senza fondamento e le barriere contro le auto elettriche cinesi rivelano la solita politica protezionista dell’Occidente». Comunque, Yellen ha concluso la missione dicendo che i rapporti tra le due superpotenze «sono su un piano più stabile ora rispetto a un anno fa e si sono fatti grandi passi». La segretaria al Tesoro ha seguito il vecchio insegnamento del presidente Teddy Roosevelt: «Parla a bassa voce e porta un grosso bastone».
2. Fumio Kishida: appuntamento alla Casa Bianca
editorialista
di samuele finetti

La scorsa estate, a metà agosto, Joe Biden aveva accolto a Camp David – la residenza presidenziale sui monti del Maryland – il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol e il premier giapponese Fumio Kishida per il primo, storico trilaterale tra i leader dei tre Paesi. Un altro, storico trilaterale sull’asse Usa-Asia è in programma giovedì alla Casa Bianca: ci saranno sempre Biden e Kishida, raggiunti questa volta dal presidente delle Filippine, Ferdinand Marcos jr. Come anticipa il Financial Times, Biden parlerà dei sempre più frequenti atti ostili della Cina nel mar Cinese meridionale nei confronti delle navi filippine, esprimendo «seria preoccupazione» per quello che avviene ormai con costanza attorno alla Sierra Madre.

imageIl premier giapponese con Joe Biden

  • Si tratta di una vecchia nave militare statunitense che le Filippine, dopo averla acquistata, arenarono alla fine degli anni Novanta a circa 200 chilometri dalle proprie coste, nei pressi di un piccolo atollo disabitato. Da allora, la nave è utilizzata da Manila come avamposto per evitare che la Cina trasformi quell’atollo in una base navale – come ha fatto in diverse isole del mar Cinese meridionale, pur non avendone il diritto secondo un arbitrato della Corte permanente di arbitrato dell’Aia. Biden sarà molto chiaro: la Sierra Madre rientra» nel trattato di mutua difesa tra Washington e Manila, come ha ricordato direttamente a Xi Jinping in una conversazione telefonica la scorsa settimana. Come abbiamo scritto il 4 aprile, Manila sta anche discutendo con Tokyo circa la possibilità che truppe nipponiche vengano inviate nel Paese del Sudest asiatico.
  • Una decisione che rientra nel processo di rafforzamento difensivo giapponese su cui Kishida è impegnato da tempo (l’obiettivo è aumentare la spesa in difesa fino a raggiungere il 2% del Pil nel 2027). In una intervista alla Cnn, il premier giapponese ha sottolineato che «il mondo è a un punto di svolta» e che il Giappone ha di conseguenza «deciso di aumentare in misura significativa le proprie capacità difensive». In questo contesto è «fondamentale» l’alleanza con gli Stati Uniti (i leader dei due Paesi dovrebbero annunciare questa settimana «il rilancio più significativo» dell’alleanza in più di mezzo secolo).
  • In questa dinamica rientra anche l’ipotesi che il Giappone – che fa già parte del Quad, l’alleanza strategica che coinvolge anche Usa, India e Australia – venga ammesso all’Aukus, il patto di sicurezza tra Usa, Australia e Regno Unito lanciato nel 2021. Oggi i ministri della Difesa dei tre Paesi daranno il via ai colloqui per lanciare il secondo «Pilastro» dell’accordo, che riguarda la collaborazione su capacità di difesa sottomarine e produzione di missili ipersonici (il primo «Pilastro» era l’acquisizione di sottomarini a propulsione nucleare da parte dell’Australia). C’è già chi ha coniato la nuova sigla in caso di allargamento: Jaukus. Ma Londra e Canberra finora si sono mostrate scettiche, sottolineando che Tokyo non ha a disposizione i sistemi di sicurezza informatici necessari per proteggere adeguatamente informazioni militari altamente riservate.
3. I ciliegi giapponesi fioriti a Berlino
editorialista
di mara gergolet
corrispondente da Berlino

Non c’è solo Tokyo che in questi giorni fiorisce con le sue vie coperte di ciliegi, e dove andare a osservarli è una tradizione (hanami). Succede anche a Berlino, dove è un hobby recente ma amato. E il motivo ha a che fare proprio con il Giappone. Dopo la caduta del Muro, un reportage di una troupe della tv Asahi mostrò le vie di Berlino Est con le sue lunghe distese desolate. Il servizio colpì la sensibilità nazionale, e la prefettura di Tokyo poi aiutata da una colletta popolare regalò a Berlino 9 mila alberi di ciliegio, per animare quelle strade con il miracolo della primavera. I primi ciliegi furono piantati sulla Gleniecke Brücke, il «ponte delle spie» di Spielberg, dove venivano scambiati gli ostaggi durante la Guerra Fredda.

  • Oggi ci sono parchi alberati e lunghe vie a Prenzlauerberg che sembrano dei tunnel fioriti, sotto i quali ieri passeggiava una folla enorme (un’italiana-berlinese ha commentato: «Sembra di stare a Rimini, meglio tornarci domani»). Complice di questa scoperta collettiva, forse anche il film di Wim Wenders, Perfect Days, che ha fatto rinnamorare molti del Giappone.
  • P.S. Un po’ c’entra, va detto, anche il bel tempo. In Germania c’è una primavera incredibile. A Ohls Bach, nella valle del Reno, ieri sono stati toccati 30,1 gradi, è la prima volta che si superano i 30 gradi a inizio aprile (che per la legge tedesca è già «ondata di calore»). Mai una temperatura così alta fu raggiunta così presto.
4. Trump e le minacce ai familiari dei giudici
editorialista
di massimo gaggi

Sabato sera Donald Trump, mentre nella cena di Palm Beach per super ricchi organizzata dal miliardario John Paulson, batteva, doppiandolo, il record di maggior evento di fundraising elettorale della storia appena segnato da Biden con 26 milioni di dollari (lui ne ha racconti addirittura 50), in un post per la sua piattaforma Truth Social ha sfidato nuovamente i giudici che gli impongono di non attaccare le persone chiamate a giudicarlo e i loro familiari: «Se devo finire in prigione perché dico ovvie verità, considererò un onore essere arrestato, sarò un nuovo Nelson Mandela».

imageTrump con la moglie Melania sabato sera a Mar-a-Lago

  • Non solo il paragone con Mandela è ridicolo (non, però, per il popolo dei fan che lo seguono con fervore religioso), ma gli attacchi di Trump ai familiari dei giudici dei suoi processi e, perfino, a semplici impiegati dei tribunali, non svelano verità sconcertanti. Sono, invece, manovre studiate a tavolino: parola dei magistrati e di suoi ex avvocati. Con un duplice obiettivo: delegittimare i giudici dei suoi processi togliendo credibilità ai procedimenti nei suoi confronti e mandare un avvertimento a chi potrebbe tentare di metterlo di nuovo sul banco degli imputati.
  • «Ora chiunque pensa di poter essere coinvolto, anche parzialmente, nei processi contro Trump, sa che dovrà preoccuparsi non solo della sua sicurezza, ma anche di quella dei suoi cari» ha scritto Juan Merchan, giudice del procedimento per il pagamento con fondi elettorali del silenzio della pornostar Stormy Daniels. Un processo che inizierà tra una settimana. Non è certo l’unico a pensarla così: che ci sia una strategia dietro le invettive di Trump contro i familiari dei giudici lo dichiara anche Ty Cobb che fu avvocato di Trump alla Casa Bianca, ma poi ha preso le distanze dall’ex presidente ed è diventato un suo critico severo. Negli ultimi sei mesi Trump ha lanciato invettive a raffica contro persone implicate nei suoi processi e relativi familiari, spingendo i giudici di tre casi diversi a ordinargli (con appositi gag order) di smetterla con gli attacchi personali intimidatori.
  • Setacciati i social media, l’ex presidente ha accusato Arthur Engoron, il giudice del processo per i reati finanziari e fiscali della Trump Organization, di odiarlo. Poi ha attaccato la moglie per i contenuti di un sito che lei non riconosce come suo. Stessa cosa col giudice Merchan: Trump ha preso di petto, accusandoli di odio, lui e anche sua figlia. Tanya Chutkan, che a Washington dovrebbe giudicare l’ex presidente per l’assalto al Congresso del gennaio 2021, è, invece, finita nel tritacarne di The Donald con l’accusa di «provenire da una famiglia marxista».
  • Non si è salvato nemmeno Jack Smith: per Trump sua moglie e la sua famiglia lo disprezzano più di quanto lo disprezzi lo stesso superprocuratore nominato dal ministro della Giustizia per sovraintendere in modo indipendente alle indagini sui possibili crimini federali di Trump. «In quale mondo, in quale sistema giudiziario» si chiede, sconsolata, la Chutkan, «un imputato può impunemente attaccare le famiglie dei giudici?». Non sono solo preoccupazioni teoriche. Magistrati e giurati dei processi di Trump sono subissati da mesi di minacce di morte. La notte prima della conclusione del suo processo, il giudice Engorn è stato svegliato dall’arrivo di una squadra dell’antiterrorismo, allertata da minacciose telefonate anonime. E Scott McAfee, il giudice chiamato a stabilire se la procuratrice Fani Willis può continuare a condurre l’accusa nel processo a Trump per il tentativo di alterare i risultati delle elezioni in Georgia, sottoposto a minacce di ogni tipo, ha rinviato la sentenza fino a quando i suoi familiari non sono stati messi sotto protezione con una scorta permanente.
5. DJ-T assorda i suoi ospiti

(Massimo Gaggi) I residenti e gli ospiti del resort di Donald Trump a Mar-a-Lago, in Florida, vivono giornate scandite da una colonna sonora scelta dallo stesso padrone di casa. Che, quando è presente, si diverte, dal suo tavolo, a cambiare canzoni e ad alzare e abbassare il volume usando un iPad. Quello della scelta dei brani da far ascoltare ai commensali è un rito al quale gli ospiti sono ormai abituati. Tanto che hanno affettuosamente soprannominato il loro padrone di casa «DJ-T». Quando è nella sua residenza, Trump scende per cena, accolto dall’applauso degli ospiti. Finito di mangiare accende l’iPad e spara le sue canzoni, a vote a volume così alto che la gente ai tavoli non riesce a parlare.

imagePavarotti con James Brown

  • Il sito Axios, che ha studiato a fondo il fenomeno, sostiene che le scelte musicali di Trump sono basate su due regole fisse: interpreti celebri e canzoni che tutti riconoscono. Tra i suoi favoriti, Elton John, i Rolling Stones, Lionel Ritchie, Guns N’ Roses’, i duetti di Luciano Pavarotti e James Brown. E poi, ancora, REM e i motivi dei grandi musical, dal Fantasma dell’Opera a Jesus Christ Superstar.
6. «Trump come mio nonno Mandela?»

Mandla Mandela, il nipote che guida la famiglia di Madiba nella regione natale dell’Eastern Cape in Sudafrica, ha definito «delirante» il paragone che Donald Trump ha voluto fare con il Nobel per la Pace: «Mio nonno è stato 27 anni in galera perché lottava per la liberazione del suo popolo — ha detto il capo villaggio di Mvezo al Times di Londra — il signor Trump è imputato per motivi completamente diversi».

imageNelson Mandela con il nipote Mandla, figlio di Makgatho, il secondogenito morto di Aids nel 2005

  • Mandla ha stigmatizzato anche il fatto che il presidente Joe Biden in più di un’occasione durante la campagna elettorale del 2020 avesse sostenuto di essere stato arrestato dalla polizia bianca negli anni Settanta mentre cercava di incontrare Mandela in carcere. Più tardi la squadra di Biden spiegò che Joe si riferiva in realtà al tentativo di dividerlo dai suoi collaboratori di pelle nera al suo arrivo all’aeroporto di Johannesburg.
7. Mondi (quasi) paralleli: diminuisce l’inflazione dei prodotti alimentari
editorialista
di danilo taino

In certi momenti si ha l’impressione di vivere in due mondi paralleli, che si sfiorano ma non si toccano. In uno, ci sono guerre, minacce, terrorismo, conflitti tra Paesi, protezionismi, la pandemia, navi che non possono attraversare il Mar Rosso. Un caos notevole. Nell’altro, le economie crescono, le Borse toccano livelli record, l’intelligenza artificiale promette, la ricerca medica fa passi avanti; l’ultimo dato che racconta questo mondo riguarda l’inflazione dei prodotti alimentari, la quale si è abbassata ai livelli precedenti l’invasione russa dell’Ucraina. Naturalmente non è così, non siamo in mondi paralleli: tutto avviene sullo stesso pianeta. Per molti versi, non è nemmeno una novità: anche durante le guerre mondiali la vita andava comunque avanti; solo che questa volta lo sdoppiamento sembra più netto.

  • Nei 38 Paesi industrialmente più avanzati, quelli che sono monitorati dall’Ocse (l’organizzazione delle economie ricche o quasi ricche), l’inflazione dei prodotti alimentari è stata del 5,3% in febbraio – ha riportato il quotidiano Financial Times. È l’aumento più basso dall’ottobre 2021.
  • I prezzi di questi generi erano aumentati a tassi a due cifre in conseguenza delle distruzioni alle catene di fornitura provocate dalla pandemia da Covid-19, di casi estesi di siccità e poi dalla guerra in Ucraina, Paese tradizionalmente centrale nella produzione di derrate agricole esportate in tutto il mondo. Ora, la logistica è stata più o meno ristabilita, Houthi a parte. E Kiev ha riconquistato uno spazio di agibilità nel Mar Nero grazie al quale ha ripreso a esportare i suoi prodotti agricoli, anche se non ancora nella quantità precedente l’attacco subito da Mosca. Il risultato è che, se non succederà altro, la disinflazione da cibo probabilmente continuerà, nei Paesi ricchi e anche in quelli in via di sviluppo.
  • Il problema: non è affatto detto che non succeda altro. Il disordine globale è un dato di fatto ed esalta attori statali e non statali, i quali nella realtà spesso caotica vedono l’opportunità di raggiungere obiettivi ai quali, in un mondo a una dimensione ordinata e regolata da leggi, non avrebbero nemmeno immaginato di potersi avvicinare. A un certo punto, le due realtà potrebbero incrociarsi, come è già successo in più casi negli ultimi anni.
  • C’è però un’altra considerazione da fare, forse più interessante. Sotto gli attacchi di forze distruttive, il mondo sta mostrando una resilienza straordinaria. Milioni e milioni di persone, nei Paesi ricchi e in quelli meno ricchi, continuano a produrre, a commerciare, a innovare, a fare avanzare la scienza e la medicina, a pensare al futuro. Nonostante la brutalità della geopolitica degli Stati. È in fondo grazie a loro che i prezzi aumentano un po’ meno nei supermercati.
8. Israele, il retroscena del ritiro da Gaza Sud
editorialista
di davide frattini
corrispondente da Gerusalemme

A sfogliare l’agenda di Benjamin Netanyahu durante i primi due mesi di questa guerra risaltano più i vuoti dei pieni, non solo i buchi neri degli incontri secretati e quindi oscurati prima di rendere pubblici i documenti. A colpire sono le giornate poco dense, mentre su Israele si sono addensati i pericoli peggiori, giornate che partono lente, l’arrivo in ufficio alle 10 del mattino e perfino a mezzogiorno. «Queste pagine — commenta il quotidiano Haaretz — confermano le rivelazioni anonime emerse dai consiglieri: all’inizio il primo ministro appariva sotto choc, quasi paralizzato».

  • A sei mesi dalla mattanza del 7 ottobre, 1.200 israeliani massacrati dai terroristi palestinesi, le operazioni militari sembrano finite nello stesso «limbo», come lo definisce l’editorialista Barak Ravid. Perché il ritiro delle truppe dal Sud della Striscia significa che per ora quella «vittoria totale» proclamata da Netanyahu non è imminente quanto nei suoi slogan... (qui l’articolo completo).
9. Quando colpirà l’Iran?
editorialista
di guido olimpio

Israele scruta l’orizzonte nel timore di una rappresaglia iraniana, tante le ipotesi come i pareri non sempre convergenti. Un alto ufficiale israeliano ha ipotizzato un attacco missilistico contro un sito strategico (come un impianto petrolifero), altri pensano sempre ad una ambasciata. Al tempo stesso resistono opinioni improntate alla cautela: Teheran reagirà quando lo riterrà opportuno e al momento propende per la «pazienza strategica».

imageAbdel Malik, capo degli Houthi dello Yemen

  • L’esercito israeliano ha avviato esercitazioni nella zona nord del Paese, manovre presentate come prevenzione in caso di un conflitto con l’Hezbollah libanese: anche qui siamo a metà tra rischi concreti e scenari incerti. Nel frattempo, è stato ucciso da un raid Ali Ahmed Hasin, un comandante dell’unità speciale Radwan, reparto di punta del movimento sciita.
  • Sempre bellicosi gli Houthi. Il loro leader Abdel Malik ha tracciato un breve bilancio: nell’ultimo mese la milizia avrebbe condotto 34 operazioni usando 125 tra droni e missili, ordigni sparati in direzione delle navi in Mar Rosso o contro il territorio dello Stato ebraico. I toni della fazione pro-Iran restano sempre alti, minacce accompagnate purtroppo da gesti concreti.
10. La legge della sofferenza
editorialista
di etgar keret

Qualche giorno fa ho seguito il monologo di apertura di Rami Malek al Saturday Night Live. Nel suo discorso, l’attore ha invocato la libertà per il popolo palestinese e la fine dei combattimenti, e gli astanti hanno risposto con un fragoroso applauso.

imageStriscia di Gaza: a Khan Younis, ieri, dopo il ritiro israeliano (afp)

  • Da israeliano scafato, ho giudicato il pubblico che esultava come un insieme di liberali filo-palestinesi di New York, ma subito dopo, quando Malek ha chiesto il rilascio immediato di tutti i rapiti, gli spettatori hanno applaudito altrettanto forte. E in quel momento mi sono reso conto che, a differenza della fin troppo chiara cronologia della mia pagina Facebook, che si divide in sostenitori e odiatori di Israele, il resto del genere umano è, principalmente, umano.
  • Quando vede una ragazza spaventata rapita a Gaza, vuole che venga rilasciata, e quando vede una famiglia palestinese affamata rannicchiata sotto un telo di plastica che piange per un lutto, vuole che questo dolore finisca. Lo so, molti si affretteranno a spiegarmi che non è possibile paragonare la sofferenza palestinese a quella israeliana o la sofferenza israeliana a quella palestinese, che c’è una parte che è colpevole e un’altra che semplicemente non ha altra scelta. Ma al di là di tutte le spiegazioni, che siano esposte con furore o meno, resta una verità: la sofferenza è sofferenza ed è umano volerle mettere fine, rapidamente... (qui l’articolo completo).
11. Ucraina, lo spettro di armi chimiche
editorialista
di lorenzo cremonesi
inviato a Kiev

«L’utilizzo da parte dell’esercito russo di agenti chimici pericolosi sta diventando sistematico su tutta la linea del fronte», denunciano in un comunicato le forze armate ucraine.

  • «Armi chimiche»: un fantasma che è stato sollevato molte volte dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022 e si aggiunge alla minaccia sempre presente della guerra atomica prospettata di continuo da Putin e gli altri dirigenti a Mosca. A loro volta anche i russi hanno accusato nel passato gli ucraini di avere usato armi chimiche... (qui l’articolo completo).
12. Naufragio in fuga dal colera

Naufragio al largo delle coste del Mozambico. Almeno 90 persone sono morte ieri quando l’imbarcazione sulla quale si trovavano si è rovesciata ed è affondata nei pressi di Nampula, nel nord del Paese. Secondo quanto riferito dai media locali, a bordo del peschereccio convertito in traghetto, che poteva portare al massimo 100 persone, se ne trovavano 130, in fuga da un’epidemia di colera, la peggiore degli ultimi 25 anni. La barca era salpata da Lunga ed era diretta all’Isola di Mozambico.

  • «Altri cinque corpi sono stati trovati nelle ultime ore, quindi parliamo di 96 morti», ha detto Silverio Nauaito, amministratore della piccola isola al largo della provincia settentrionale di Nampula, dove è avvenuta la tragedia. La maggior parte dei passeggeri stava cercando di fuggire dalla terraferma a causa del panico causato dalla disinformazione sul colera, ha detto il segretario di stato Neto.
  • Il Paese dell’Africa meridionale, uno dei più poveri al mondo, ha registrato quasi 15.000 casi di colera e 32 decessi da ottobre, secondo i dati del governo. Nampula è la regione più colpita, con un terzo di tutti i casi.
13. Storie di immigrazione: dal Salvador alla Nuova Zelanda (passando per il Sudafrica)
editorialista
di clara valenzani

Tre Paesi, tre modalità diverse di rapportarsi all’immigrazione: dal Sud America alla Nuova Zelanda, passando per il Sudafrica, stranieri e nomadi digitali (più o meno voluti) impattano sullo sviluppo economico e l’inflazione degli Stati «adottivi».

imageIn Nuova Zelanda

  • Partiamo dall’Ovest: El Salvador ha bisogno di dare una spinta all’economia. La soluzione prospettata dal presidente Nayib Bukele su X è regalare 5.000 passaporti (il che significa offrire la piena cittadinanza salvadoregna, incluso il diritto di voto) a lavoratori stranieri altamente qualificati. Scienziati, ingegneri, dottori, artisti, filosofi… sono quindi incoraggiati a partire: lo Stato coprirà anche i costi del trasloco riguardanti equipaggiamento, software, proprietà intellettuali. Non è la prima volta che El Salvador mette in atto politiche di questo tipo: l’anno scorso, il Congresso aveva approvato una legge per garantire la cittadinanza ai non-salvadoregni che avrebbero investito nei bitcoin (diventati valuta legale nel 2022).
  • Situazione incerta invece in Sudafrica: a Cape Town, i locali si dividono tra chi apprezza l’arrivo dei nomadi digitali, e chi no. Se da un lato stanno aiutando la crescita economica, dall’altro favoriscono l’inflazione, soprattutto quella relativa agli affitti immobiliari: più richieste significano costi più alti, e le spese non sempre sono sostenibili da chi riceve un salario in valuta locale. «Nei bar si sente parlare tedesco, francese, olandese, americano» dicono gli stessi espatriati, attratti dal clima e dal costo della vita. A seconda della nazionalità, possono ottenere un visto fino a 90 giorni (e il Paese ne sta studiando uno apposito per i lavoratori da remoto). Il forte afflusso preoccupa i capetoniani: rispetto al 2022 i prezzi degli affitti sono aumentati del 4%, e i nomadi digitali possono permettersi di pagare di più o in anticipo. «Stanno rendendo la città invivibile», si lamentano i locali sui social media, «Il governo non dovrebbe solo attirare lavoratori, ma anche tutelare i residenti».
  • Ultima fermata in nuova Zelanda: qui, il numero di stranieri è così in crescita da essere definito addirittura «insostenibile». Il governo ha quindi deciso di restringere i criteri per l’emissione del visto lavorativo, aggiungendo limitazioni di lingua, qualifica e tempo di permanenza (almeno tre anni): l’obiettivo è «incrementare l’impiego locale ed evitare di lasciare i neozelandesi senza lavoro», annuncia il ministro dell’Immigrazione Erica Stanford. I lavoratori esteri avevano infatti creato un effetto a catena, causando la fuga nell’anno passato di 47 mila neozelandesi emigrati, ad esempio, in Australia. Ora, si proverà a invertire la tendenza, facendo dichiarare ad ogni azienda che assume stranieri la «mancanza e disponibilità di neozelandesi» per quel ruolo e la motivazione per il respingimento dei locali che avevano avanzato richiesta.
14. Sunak, re Mida alla rovescia
editorialista
di luigi ippolito
corrispondente da Londra

Il bacio della morte di Rishi Sunak rischia di sotterrare anche le Adidas. L’impopolare primo ministro britannico è comparso in un video a Downing Street con ai piedi un paio di Samba, le scarpe del momento: ma è stato subito ridicolizzato sui social e adesso la stessa sorte potrebbe toccare alle amatissime calzature, che hanno di colpo perso la loro aura «cool».

  • È l’ennesimo tentativo del premier di apparire normale e vicino alla gente, lui che è un nababbo multimilionario che una volta si è presentato su un cantiere con un paio di mocassini di Prada da 600 euro ai piedi: ma come al solito l’approccio si è rivelato un boomerang. Il video dell’intervista è stato messo su Instagram giovedì scorso e subito si sono scatenati i commenti: quelle Adidas appaiono così nuove e scintillanti che sembrano appena tirate fuori da una scatola e messe ai piedi sul momento solo per fare bella figura... (qui l’articolo completo).
15. Febbre da eclissi

(Samuele Finetti) Ci voleva giusto un’eclissi per «eclissare» il Super Bowl, l’evento televisivo più seguito d’America. Ben 123,7 milioni di spettatori hanno seguito quello giocato lo scorso 11 febbraio, un’audience che però verrà superata ampiamente da quella che assisterà al vero evento dell’anno negli Usa: l’eclissi solare totale che sarà visibile questa mattina (la serata italiana) dal Texas al Maine – oltre che in Messico e Canada – e ha scatenato una vera e propria «febbre da eclissi» in Nord America.

  • Gli Stati Uniti sono stati «baciati» dalla fortuna, perché l’ultima eclissi totale visibile dagli States risale al 2017 (mentre la prossima è prevista per il 2044). Allora alzarono gli occhi 154 milioni di americani: quest’anno si stima saranno molti di più, perché lungo il percorso dell’eclissi abitano quasi 300 milioni di persone. L’evento durerà in tutto un paio d’ore circa e i primi ad assistervi saranno gli abitanti di Mazatlan, in Messico, dov’è stata allestita anche una postazione di rilevamento della Nasa. Si tratta del primo grande centro abitato della lunga ma sottile porzione di continente da cui si potrà ammirare l’eclissi totale, che a seconda del luogo può durare dai due a quattro minuti.
  • Un’eclissi parziale sarà comunque visibile in gran parte degli Stati Uniti orientali (a New York l’eclissi sarà del 90%), ma i veterani di questi eventi celesti assicurano che non c’è paragone. Per questo a migliaia si sono organizzati per non lasciarsi sfuggire un’occasione più unica che rara. Qualche giorno fa sui social circolava una mappa degli Stati Uniti che mostrava un boom di camere e alloggi presi in affitto lungo il percorso dell’eclissi.
  • Centinaia di scuole oggi sono rimaste chiuse, milioni di occhialini protettivi — vanno sempre indossati, unica eccezione la manciata di minuti in cui l’eclissi è totale — sono stati venduti, eventi a tema e visioni collettive non si contano. Per chi guarderà in alto da Mazatlan, la Luna inizierà a «nascondere» il Sole alle 9.51, le nostre 18.51. Lì, l’eclissi totale inizierà alle 11.07 e durerà 260 secondi. Negli Stati Uniti, invece, la fase più attesa — quella in cui il cielo si oscurerà e la temperatura si abbasserà notevolmente — è prevista dalle 14.27 locali (in Texas) alle 15.33 (nel Maine). Appassionati e curiosi d’Italia si mettano il cuore in pace: nei prossimi dieci anni, nessuna eclissi totale toccherà il nostro Paese.
16. L’Africa di corsa
editorialista
di paolo virtuani

Russ Cook entra nella leggenda delle imprese sportive: ha attraversato tutta l’Africa correndo, dal punto più a Sud (Capo Agulhas in Sudafrica a 34° 50’ S) a quello più a Nord (Cap Angela presso Biserta in Tunisia a 37° 20’ 49” N). Il runner inglese 27enne ha corso l’equivalente di 385 maratone in 352 giorni coprendo 16.250 chilometri. All’arrivo è stato festeggiato dalla punk band Soft Play. Inoltre ha raccolto 570 mila sterline (quasi 670 mila euro) in beneficienza.

imagePrimi premi: l’abbraccio alla fidanzata, una poltrona imperiale e un daiquiri alla fragola

  • The Hardest Geezer, questo il suo soprannome (significa il vecchio bislacco più tosto), prevedeva di correre 360 maratone in 240 giorni, ma le cose si sono di molto complicate strada facendo. Il novello Forrest Gump, di Worthing nel West Sussex, aveva già attraversato nel 2019 l’Asia per arrivare a Londra correndo l’equivalente di 71 maratone in 66 giorni.
  • «A 17 anni ho dovuto combattere contro problemi mentali, alcolismo e dipendenza da gioco d’azzardo», ha raccontato Cook, che era partito per la sua impresa il 22 aprile dello scorso anno da Sudafrica. Il suo record è stato coprire 110,12 km in un giorno in Costa d’Avorio durante il 241mo giorno di corsa... (qui l’articolo completo).
17. Giro del mondo: Nonna Joy va di fretta

(Clara Valenzani) A 91 anni ha ritirato il suo primo passaporto, a 93 è diventata la persona più anziana ad aver visitato i 63 Parchi Nazionali degli Stati Uniti, a 94 sta programmando di vedere tutti i continenti (Antartide inclusa): sicuramente Joy Ryan, la nonnina forse più arzilla del mondo, non fa parte di quelle persone alle quali pesa la sveglia delle 5 del mattino per andare in aeroporto.

  • «Nonna Joy» (su Instragram con l’account da 104 mila followers @grandmajoysroadtrip) è diventata virale per le sue avventure in giro per il mondo: «Ad andare piano, non si conclude nulla», ha dichiarato la signora Ryan, che nel mentre ha fatto tappa al Banff National Park in Canada, all’Amboseli e Maasai Mara in Kenya, alle Galapagos in Ecuador. Prossima fermata: Australia. Ad accompagnarla, sempre il nipote 42enne Brad Ryan (anche lui appassionato viaggiatore): si sono riavvicinati grazie a un viaggio nel parco nazionale delle Great Smoky Mountains tra North Carolina e Tennessee. Era il settembre 2015: «Nonna non aveva mai visto dal vivo le montagne, ma se la cavò egregiamente, camminando e campeggiando senza lamentarsi, a 85 anni».
  • Per il nipote, l’età non rappresenta un ostacolo, è invece un’ulteriore occasione di arricchimento: obbligata a muoversi più lentamente, la coppia si gode ogni istante, avendo più tempo per osservare con attenzione i dettagli e per riflettere. «Il “tornerò di nuovo” non esiste», dice Brad, «quindi assaporiamo tutto ciò che il viaggio ci offre. La mia concezione di cosa significhi essere anziani è cambiata completamente: pensiamo più alle limitazioni che alle possibilità, ma Joy ci ricorda che ne abbiamo infinite. La vita è ora, e bisogna viverla senza rimpianti».
18. La finale della «follia di basket»
editorialista
di flavio vanetti

A Glendale (Arizona) nella notte italiana tra oggi e domani si disputa la finale del torneo Ncaa di basket tra la University of Connecticut, vincitrice nel 2023, e Purdue. Sarà questo l’atto conclusivo della cosiddetta March Madness, la «follia di marzo» che celebra i fasti del mese consacrato al basket universitario. Detto che tra le donne nelle Final Four di Cleveland si è imposta South Carolina, vittoriosa per 87-75 sulla Iowa di Caitlin Clark (la nuova «fidanzata d’America», però di nuovo sconfitta in finale e dunque destinata a passare alle professioniste della Wnba senza aver vinto un titolo universitario), lo showdown maschile era ampiamente previsto dai pronostici. Il campo non ha fatto altro che confermare: UConn ha piegato Alabama, mentre Purdue s’è sbarazzata di North Carolina State.

imageIl giocatore Donovan Clingan: la mamma, scomparsa a 42 anni, era italiana

  • Gli Huskies del Connecticut sono così a una sola vittoria dal bis (il sesto di sempre), mentre i Boilermakers dell’Indiana mettono nel mirino il primo trionfo in assoluto: la finale mancava loro dal 1969, la partecipazione alle Final Four da 44 anni. In un evento completamente e tipicamente americano c’è anche un piccolo pezzo d’Italia: il centro degli Huskies è infatti Donovan Clingan, la cui madre, Stacey Porrini, mancata a 42 anni, era italiana. Anche per questo motivo la Nazionale si sta interessando a lui. Un giorno Donovan potrebbe vestire l’azzurro, ma intanto per lui si prospetta la Nba: assieme ad altri protagonisti delle F4 potrebbe/dovrebbe essere scelto nel Draft del prossimo 26 giugno. Ecco comunque un profilo delle due finaliste.
  • UConn: la squadra dell’ateneo campione in carica ha numeri a dir poco strabilianti. Ha vinto le quattro partite della «Follia di marzo» con scarti di 39, 17, 30 e 25 punti. Alabama, invece, si è accontentata di batterla «solo» di 14. Nel torneo è imbattuta da undici incontri, calcolando i sei della scorsa stagione che le avevano permesso di centrare il quinto titolo nazionale. Il back to back è possibile perché il gruppo guidato da coach Hurley (bravo di suo tra l’altro) è esperto: questo non è un fattore secondario in incontri in cui il talento conta sì ma non è da disgiungere alla freddezza e al sapere che cosa occorre fare. Gli Huskies non riescono a reclutare i migliori prospetti dei licei statunitensi, che scelgono piuttosto Duke, Kentucky, Kansas o North Carolina, ma alla resa dei conti ce la fanno a vincere tanto quanto atenei più ricercati. La squadra è affidata alla regia dell’«All American» Tristen Newton; Stephon Castle, la matricola, è il talento più intrigante in prospettiva Nba, ma l’uomo-fulcro è appunto il «nostro» Donovan Clingan: gioca centro, è un bestione enorme, decisivo in difesa nell’intimidire dalle parti del canestro e bravo in attacco ad aprire spazi ai tiratori.
  • Purdue: una delle tante università dell’Indiana, stato consacrato al basket, ha conquistato la prima Final Four dal 1980: quindi è un ritorno, dopo ben 44 anni. Deve in buona parte la qualificazione a Zach Edey, canadese di Toronto, centro di 224 centimetri già giocatore dell’anno nel 2023 e candidato al bis nel 2024. Edey sta dominando, nel torneo le sue medie sono strabilianti: 30 punti con quasi il 66% al tiro dal campo, oltre 16 rimbalzi, 1.8 stoppate. Non ci prova mai a tirare da 3 punti e non è un super atleta: dunque non produce highlights ed è meno considerato, ma fa paura. Come conformazione fisica – e anche in qualche tratto del volto – ricorda il cinese Yao Ming (oggi presidente della sua federazione), che diventò un’icona degli Houston Rockets nella Nba. Edey finirà a sua volta tra i professionisti: per lui si aspetta una chiamata di rispetto nel Draft. Coach Painter l’ha circondato di tiratori: se lo raddoppi, ti castigano loro. Purdue come Uconn è testa di serie numero 1: quindi è la finale più logica ed è anche quella che aveva le quote più basse tra gli scommettitori.
19. Segreti del Sud-Ovest/58: quel treno per Cape Horn

(Guido Olimpio) Una foto degli Anni ’50 mostra un treno partito da San Francisco e diretto a Chicago attraversa Cape Horn, sulla Sierra Nevada. Un luogo mitico, perché fu uno dei punti più duri nella costruzione della linea ferrata nel 1865. Un’opera realizzata da squadre di immigrati cinesi: alcuni erano ex minatori arrivati in Usa durante la febbre dell’oro, altri arruolati a migliaia dalle compagnie in Cina per creare il percorso. Vivevano in condizione estreme, esposti a gelo e calore, spesso discriminati. Eppure, portarono a termine l’impresa con perdite pesanti.

imageLa linea che passa da Cape Horn, sulla Sierra Nevada (da American Rails)

  • Qualcuno scrisse in seguito che gli operai venivano calati dentro delle ceste lungo il fianco della montagna e poi piazzavano la dinamite per aprire il varco. Scene raccontate anche con illustrazioni e articoli. In realtà, secondo diversi studiosi si tratta di una «leggenda» priva di fondamento oppure una versione romanzata di un sistema dove lo scavatore «scendeva» in perpendicolare «piazzato» su una sorta di sedia con corde e da questa posizione minava le rocce. Ad ogni modo un lavoro di sacrificio mai abbastanza riconosciuto.

Grazie. A domani. Cuntrastamu.

Michele Farina


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