Ex Ilva, l’assemblea infinita: è ancora scontro tra ArcelorMittal e Invitalia

Ex Ilva, l'assemblea infinita: è ancora scontro tra ArcelorMittal e Invitalia Ex Ilva, l’assemblea infinita: è ancora scontro tra ArcelorMittal e Invitalia

Ancora un nulla di fatto nell’assemblea di Acciaierie d’Italia. Lo scontro tra i due soci — i privati di ArcelorMittal che hanno il 62% e la pubblica Invitalia, al 38% — che si protrae dallo scorso 23 novembre, non troverà soluzione almeno fino al prossimo 22 dicembre, data in cui si è aggiornata l’assemblea che così resterà aperta quasi fino a Natale. A chiedere il rinvio è stato il socio pubblico, dopo che il privato ha continuato a manifestare l’indisponibilità a intervenire finanziariamente per l’azienda che si trova in uno stato di grave difficoltà: servirebbero subito 320 milioni per poter proseguire l’attività, ma per il rilancio occorrerebbero 1,5 miliardi (che in 8 anni diventano 4,6 miliardi, con la decarbonizzazione).

Ex Ilva, l’ipotesi della nazionalizzazione

Poco più di due settimane che serviranno al governo per capire che strada intraprendere, visto che ArcelorMittal continua a non voler intervenire, evidenziando in assemblea lamentele — con una memoria legale — su quanto il governo avrebbe potuto fare e non ha fatto, come la mancata formalizzazione sulle risorse relative alla decarbonizzazione (tra l’altro l’appalto Dri sarebbe di fatto saltato perché, dopo il taglio dal Pnrr non c’è alcuna certezza del finanziamento attraverso altri fondi). La soluzione, per Invitalia, potrebbe essere quella di passare in maggioranza, dall’attuale 38 al 60%, con conseguente cambio di governance così come era già previsto in precedenti accordi. Del resto il finanziamento sottoscritto a inizio 2023 da Invitalia per 680 milioni è tecnicamente convertibile in capitale. E poi c’è la soluzione estrema, quella che prevede che un socio pubblico che ha almeno il 30% di una società strategica possa richiedere l’amministrazione straordinaria dopo segnalazione al cda del ricorrere della legge Marzano.

La rabbia dei sindacati

Per Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, si tratta di «una vicenda tragica che rasenta l’inverosimile. Come è possibile che il governo continui a tenere in piedi un’assemblea con un socio di maggioranza che continua a fermare gli impianti e si permette di presentare il conto, anziché prendere atto della sua gestione fallimentare? L’abbiamo capito da tempo che l’obiettivo è fermare gli stabilimenti e richiedere il risarcimento danni». «L’ennesimo rinvio dell’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia — fa eco suona il segretario nazionale Fim Cisl Valerio D’Alò — suona come una beffa al governo». La soluzione? La stessa che auspica Michele De Palma, segretario generale della Fiom-Cgil: «Il governo non si faccia più tenere in ostaggio da Arcelor Mittal e intervenga per prendere il controllo e la gestione dell’azienda».

Il nodo dell’altoforno

La giornata di ieri è stata anche quella dello sciopero di 48 ore dei lavoratori dell’area Altoforni controlo stop dell’impianto Afo2. Mentre l’azienda confermava che «tutti i 70 lavoratori previsti nei primi due turni hanno regolarmente prestato servizio», le Rsu ricevevano una lettera da parte proprio di Acciaierie d’Italia in cui si spiega che le condizioni attuali «non possono consentire, per ragioni di sicurezza, il differimento della sospensione della produzione di ghisa dell’Altoforno 2». La sospensione dell’impianto già decisa da Acciaierie d’Italia comporta l’utilizzo del solo Altoforno 4, essendo già fermi l’Afo5 e l’Afo1. Lo spegnimento della fabbrica continua.

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