Nuovi guai per Hunter (e Joe) Putin si ricandida in Russia America-Cina dell’8 dicembre

America-Cina Il Punto | La newsletter del Corriere della Sera
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Venerdì 8 dicembre 2023
Nuovi guai per Hunter (e papà Biden)
editorialista di Matteo castellucci

Una nuova incriminazione, per evasione fiscale, per Hunter Biden, il figlio del presidente americano. Joe, invece, schiva il sindaco di New York, venuto a incontrarlo nella capitale, perché l’immigrazione è un tema problematico con l’ostruzionismo «borders first» dei repubblicani che blocca gli aiuti — già in flessione — all’Ucraina (e a Israele) al Senato. In Russia, Vladimir Putin ufficializza quello che già si sapeva: correrà alla presidenziali di marzo.

Una storia da film, su montagne di banconote da recuperare nel nord di Gaza, e una vita che ne meriterebbe un altro: Juanita Castro (già personaggio di una commedia di Andy Warhol del 1965). A differenza del pallone aerostatico cinese su Taiwan, non era una spia Free Johan Floderus, il diplomatico svedese tenuto in ostaggio dall’Iran.

In Europa, siamo all’ultimo miglio delle trattative sulla riforma del patto di stabilità (un duello tra Francia e Germania) e dell’AI Act, la proposta di regolamento sull’intelligenza artificiale. Dopo il calcio, l’Arabia Saudita cerca di sottrarre i talenti in un altro sport, il golf: è «green washing» anche quello. Se questa newsletter vi fosse arrivata con qualche minuto di ritardo, consolatevi: in Inghilterra una cartolina è arrivata al mittente (che non abitava più lì) 42 anni dopo essere stata spedita.

La newsletter America-Cina è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

1. La seconda incriminazione di Hunter

imageJoe Biden con il figlio Hunter (Afp)

(Irene Soave) Prostitute e droga, hotel di lusso e auto stravaganti, vestiti eleganti, «in breve, tutto tranne le tasse». Così si legge nelle cinquantasei pagine con cui il procuratore speciale David Weiss incrimina Hunter Biden per nove reati fiscali. Per l’accusa è stato coinvolto per quattro anni in uno schema fraudolento per non pagare circa 1,4 milioni di dollari in tasse federali dovute per gli anni 2016-2019 e da gennaio 2017 fino al 2020, e per eludere l’accertamento delle imposte per l’anno fiscale 2018». E ha speso milioni di dollari per pagare le spese di cui sopra: «tutto, tranne le tasse».

  • La notizia ovviamente ha un impatto sulla corsa del padre Joe Biden alla Casa Bianca: da cinque anni i repubblicani tentano di trovare nelle indagini del dipartimento di Giustizia a carico del figlio Hunter una «pistola fumante» che possa fare scattare un impeachment.
  • Gli spunti sembrano molti: il lavoro per l’azienda ucraina Burisma, i rapporti con gli oligarchi, gli affari in Cina, l’acquisto di un’arma senza permessi, e anche le tasse non pagate nel 2017 e 2018. Nulla però prova che dalle condotte del figlio siano nati profitti per il padre.

Ora l’accusa della procura: il figlio del presidente, si legge negli atti, «ha guadagnato dal 2016 al 2020 più di 7 milioni di dollari lordi, ma ha rifiutato scientemente di pagare le tasse nel 2016, 2017, 2018 e 2019, pur potendoselo permettere». Lo stesso ha fatto con gli alimenti per l’ex moglie, che le rifiutava dicendo di «non poterseli permettere».

Nel frattempo, spese pazze: 188 mila dollari di «intrattenimento per adulti», 683 mila dollari di «pagamenti a varie donne», 151 mila dollari in vestiti. Il suo avvocato, Abbe Lowell, parla di «processi politici: se il cognome di Hunter non fosse Biden, nessuna di queste accuse sarebbe stata sollevata». E a fine 2020 Hunter Biden, con un prestito del suo avvocato, ha ripianato tutti i debiti. Dal padre, al solito, nessun commento.

2. Il sindaco di New York a Washington (ma il presidente non lo riceve)
editorialista
di viviana mazza
Inviata a Washington

All’ora di pranzo, davanti al Congresso, un gruppetto di giornalisti aspettava fuori al gelo. Abbiamo aspettato con loro, per vedere chi arrivava: era il sindaco di New York Eric Adams. Adams era a Washington ieri per chiedere aiuto e soldi per la crisi dei richiedenti asilo a New York, mentre i sondaggi vedono la sua popolarità crollare al 28%. I giornalisti lo aspettavano perché volevano sapere come mai «l’uomo che tiene i cordoni della borsa» — per citare la tv Cbs — ovvero il presidente Biden non aveva voluto incontrare Adams (che ha visto invece un consigliere del presidente, Tom Perez, e poi al Congresso i leader dei democratici al Senato e alla Camera, entrambi newyorkesi: Chuck Schumer e Hakeem Jeffries).

«Ogni volta che vengo a Washington vorrei incontrare il presidente. Vorrei sedermi con lui e parlare della situazione», ha ammesso il sindaco. Non è strano che non voglia incontrarlo, visto che l’immigrazione è un problema enorme per Biden al momento, su cui deve trattare con i repubblicani al Congresso per ottenere lo sblocco dei fondi per l’Ucraina.

imageAdams a Washington

  • I newyorchesi sono arrabbiati: secondo l’ultimo sondaggio, il 60% non approva la sua gestione del crimine, il 52% critica le sue politiche scolastiche, il 66% storce il naso alle sue capacità di gestire il bilancio, il 66% scuote la testa sulla situazione dei migranti, con oltre 140mila arrivi e 65mila persone da ospitare in città (il suo staff ricorda, tuttavia, il tasso di approvazione di Michael Bloomberg a questo punto del suo primo mandato: 31%, e poi fu rieletto)
  • La città ha ricevuto 160 milioni di dollari di fondi federali ma a novembre Adams ha annunciato tagli al bilancio: New York ha speso due miliardi nella crisi. «I newyorchesi sono arrabbiati e lo sono anche’io», ha detto il sindaco ai giornalisti. «Serve una strategia di decompressione — continua Adams — che spinga davvero per il diritto dei richiedenti asilo a lavorare»

A Washington il sindaco ha chiesto anche che il Texas non possa usare fondi federali per mettere sui bus i migranti diretti a New York. La sua visita era un recupero di un precedente viaggio nella capitale interrotto bruscamente dopo un raid dell’Fbi a casa della responsabile della sua raccolta fondi, prima che fossero perquisiti anche i suoi telefonini: il bureau sta investigando per capire se la campagna elettorali di Adams nel 2021 prese illegalmente soldi dal governo turco in cambio di favori come spingere il dipartimento dei vigili del fuoco per accelerare l’apertura di un nuovo consolato in città.

Alla fine il sindaco si è rifugiato in auto augurando Buon Natale e Felice Kwanzaa a tutti.

3. Putin si ricandida alle presidenziali

Ufficialmente non era ancora in campo. Arrivata la data del voto — il 17 marzo 2024 — è arrivata alla fine anche la (ri)candidatura del presidente russo Vladimir Putin per un quinto mandato. Lo dicono le principali agenzie di stampa russe, l’annuncio sarebbe arrivato parlando con i soldati che hanno combattuto in Ucraina. Nel 2020 Putin aveva fatto approvare una riforma della costituzione per poter restare al potere altri 12 anni, fino al 2036.

4. La flessione degli aiuti a Kiev e il sorpasso europeo
editorialista
di giuseppe sarcina

Negli ultimi mesi, dal primo agosto al 31 ottobre, gli aiuti militari e finanziari all’Ucraina sono crollati dell’87% rispetto allo stesso periodo del 2022. È il punto più basso da quando è cominciata l’aggressione putiniana, il 24 febbraio 2022. La frenata più netta è quella degli Stati Uniti. La sindrome di abbandono vissuta dagli ucraini si riflette nelle statistiche elaborate dal Kiel Institute for the world economy (Ifw).

  • Lo scenario generale conferma l’allarme di Volodymyr Zelensky e della Casa Bianca: l’impegno dei Paesi occidentali si è drasticamente affievolito. Gli analisti tedeschi hanno esaminato le mosse di 42 Stati, i principali sostenitori di Kiev: solo 20 di questi hanno annunciato ulteriori forniture o altri fondi, per un valore complessivo di 2,11 miliardi di euro: la soglia minima registrata finora

Nel complesso l’insieme dei Paesi europei, compresi Norvegia e Regno Unito, hanno quasi raggiunto il valore delle forniture americane. L’Unione Europea, trainata da Germania e dal Nord, ha addirittura superato gli Usa nel settore degli armamenti pesanti. (continua a leggere su Corriere.it)

5. I reduci, ex galeotti graziati, che terrorizzano la Russia
editorialista
di fabrizio dragosei

Non è frequente che la Duma critichi quello che è stato deciso in alto e indichi ciò che invece bisognerebbe fare. Probabilmente per questo Nina Ostanina, presidente della Commissione per la famiglia, le donne e i minorenni, è stata particolarmente cauta: «Nessuno ha abolito il controllo su questi cittadini… non vedo nulla di grave nel fatto che gli organismi di pubblica sicurezza siano chiamati a verificare periodicamente questi ragazzi».

I «ragazzi» sono tanti, decine di migliaia di criminali tornati dall’«Operazione speciale» in Ucraina (qui tutti gli aggiornamenti di oggi) dopo aver ottenuto la grazia. E in molti villaggi e cittadine della Russia non si parla che di questi individui che si aggirano spavaldi atteggiandosi a eroi e terrorizzando la popolazione (continua a leggere su Corriere.it)

6. La missione per recuperare una tonnellata di banconote a Gaza Nord
editorialista
di Irene soave

imageUna filiale della Bank of Palestine distrutta in un raid israeliano a Gaza City durante uno dei primi giorni di guerra (Epa/Mohammed Saber)

Non che i soldi, a Gaza, valgano più moltissimo. La fame la fa da padrone, il cibo è spesso irreperibile, non c’è latte, il prezzo delle uova è triplicato, quello della farina decuplicato, sono scomparsi dal mercato latte in polvere, sale, lievito. Ma la tregua della settimana scorsa a Gaza è servita a un’insolita missione: quella di recuperare una tonnellata di banconote da 200 shekel (50 euro) rimasti nelle casseforti di due edifici della Banca di Palestina a Gaza Nord, bloccati dai bombardamenti. Totale: 45 milioni di euro, circa 900 mila banconote.

  • Una colonna di blindati — con appoggio dell’Onu, autorizzazione di Israele, guardie armate — è andata a recuperarli e a distribuirli in ciò che resta della rete di bancomat della Striscia, dove c’è una crisi di contanti e nessuno riesce a pagare più nulla con carte e Bancomat. Il Financial Times ha ricostruito come.

Mentre i missili piovevano su Gaza per gran parte degli ultimi due mesi, il personale della banca ha guidato auto private verso le filiali chiuse, ha rimosso contanti dai depositi e ha rifornito i bancomat per mantenerli in funzione, anche se con frequenti interruzioni. «Lo abbiamo fatto presso sportelli bancomat e filiali in aree relativamente sicure», ha detto un funzionario della Banca di Palestina, sottolineando che solo sei sportelli bancomat BoP erano operativi nel sud e nel centro di Gaza.

I contanti non si trovano quasi più; anche ridistribuirli, pure nel caos della guerra, è una missione umanitaria. (qui tutti gli aggiornamenti sulla guerra)

7. Un pallone cinese sopra Taiwan

(Monica Ricci Sargentini) Un pallone meteorologico è passato sopra la città portuale settentrionale di Keelung, nello stretto di Taiwan, giovedì poco prima di mezzogiorno e poi ha proseguito verso est prima di scomparire. A lanciare l’allarme il ministero della Difesa di Taipei che in un primo tempo aveva parlato di un oggetto di sorveglianza militare. Nel Paese la tensione è alta, a un mese dalle elezioni presidenziali del 13 gennaio, la Cina ha intensificato la sua attività militare: le forze armate di Taipei, infatti, hanno dato conto di 26 aerei (tra cui uno da ricognizione e un drone, 12 jet da combattimento e un aereo da trasporto) e 10 navi dell’Esercito popolare di liberazione cinese attivi intorno all’isola nelle 24 ore alle 6 locali (23 di giovedì in Italia).

imageLa presidente taiwanese Tsai Ing-wen visita la base di addestramento dell’aeronautica a Kaohsiung (Epa)

È importante sottolineare che sette jet cinesi sono stati dispiegati in un volo notturno giovedì proprio quando a Pechino i vertici Ue, la presidente della Commessione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Charles Michel, ribadivano di aver espresso al presidente Xi Jinping la contrarietà «a qualsiasi tentativo di cambiare lo status quo con la forza» nello Stretto di Taiwan. Quasi una provocazione. Negli ultimi anni la Cina ha intensificato le pressioni militari e politiche su Taipei che rivendica come parte «inalienabile» del suo territorio da riunificare anche con la forza, se necessario.

8. È morta la sorella di Fidel (che lavorò per la Cia)
editorialista
di monica ricci sargentini

imageFoto di Gaston de Cardenas/EPA

A Cuba la chiamavano la «desertora», Juanita Castro, la sorella di Fidel e Raul che appoggiò i primi passi in politica dei due fratelli maggiori ma poi diventò una delle più strenue oppositrici del regime tanto che arrivò persino a lavorare con la Cia. Ieri è morta a Miami all’età di 90 anni. La Florida era diventata la sua casa dopo la fuga da Cuba quasi 60 anni fa. Ad annunciare la sua morte su Instagram è stata la giornalista Mara Antonieta Collins che nel 2009 aveva scritto con lei «Fidel and Raul, i miei fratelli. La storia segreta».

Il suo distacco dalla rivoluzione cubana è avvenuto quando si rese conto nel 1959 che Fidel era diventato un comunista intransigente a tal punto da buttare fuori dal governo chi non era d’accordo con lui. Nonostante le perplessità Juanita rimase sull’isola fin quando la madre, Lina Ruiz, era viva, convinta che questo la proteggesse dalla piena ira del Lider Maximo, ma dopo la sua morte, nel 1963, fuggì da Cuba per non rischiare la vita. Raul la aiutò a ottenere un visto per il Messico e da allora non ha mai più rivisto i suoi fratelli. «I miei fratelli hanno fatto di Cuba un’enorme prigione circondata dall’acqua. Il popolo è inchiodato su una croce di tormento imposta dal comunismo internazionale», disse al suo arrivo in Messico (continua a leggere su Corriere.it).

9. Free Johan Floderus, 600 giorni

(Matteo Castellucci) Si chiama Johan Floderus. È un diplomatico dell’Eeas, il Servizio europeo per l’azione esterna, e da 600 giorni è tenuto prigioniero in Iran. È accusato, pretestuosamente, di essere una spia, come — da un altro regime, quello russo — il reporter del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, di cui martedì è ricorso il 250esimo giorno in cella. Floderus, 33 anni, è stato arrestato il 17 aprile 2022, ma solo a settembre di quest’anno Teheran ha confermato la sua identità. Prima, dagli ayatollah, brandelli di verità: sulla nazionalità svedese (aprile 2022), sulle accuse (luglio 2022). Con ogni probabilità, gli iraniani intendono usarlo in uno scambio di prigionieri.

imageFoto della campagna Free Johan Floderus

La liberazione, la sua e quella di altri ostaggi europei, rientrava nella missione a Teheran, a settembre, dell’inviato speciale dell’Ue per il Golfo persico: una vecchia gloria della politica nostrana, Luigi Di Maio. «Esprimere l’indignazione morale va sicuramente bene, ma questo non ha la capacità miracolosa di risolvere il problema», ha detto, difendendo il lavoro sottotraccia per il rilascio, l’Alto rappresentante Josep Borrell. I giorni erano 500 allora, oggi sono cento di più, e la famiglia e gli amici di Johan continuano a battersi perché il suo caso non venga dimenticato.

Ogni mattina aggiornano il calendario, sul sito della loro campagna ci sono i manifesti da stampare, foto e ricordi perché «Johan non diventi solo un’altra statistica». Aveva da poco adottato un cane, Wilfred; oppure faceva la spesa ai colleghi infortunati. A novembre il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione per chiedere il suo rilascio. Si trova in una cella senza letto e dove la luce è accesa sempre, anche di notte, ha raccontato oggi suo padre Matts intervistato dal Guardian. Per poter telefonare ai genitori, Floderus ha dovuto fare lo sciopero della fame. «Pensiamo che il processo inizierà a breve».

10. La Danimarca approva il divieto di bruciare il Corano

Il Parlamento danese ha approvato la legge che vieta di bruciare (o danneggiare) i testi sacri. La Bibbia, la Torah e, soprattutto, il Corano dopo alcune manifestazioni della scorsa estate, anche in Svezia, in cui il libro sacro dell’Islam era stato dato alle fiamme, suscitando forti proteste nel mondo arabo. La crisi diplomatica aveva portato i governi, a Copenaghen e a Stoccolma, a valutare soluzioni per impedire altri episodi simili in futuro.

imageIl politico di estrema destra Stram Kurs brucia una copia del Corano davanti all’ambasciata turca di Copenhagen, il 27 gennaio 2023 (foto di Olafur Steinar Gestsson/Epa)

L’esecutivo danese l’ha presentata come una misura «di sicurezza» e la difende, sostenendo che non restringerà la libertà di critica: si limiterebbe, invece, a prescrivere un divieto specifico. La norma prevede pene fino a due anni di carcere. Due partiti dell’opposizione chiedono un referendum.

11. L’ultimo miglio della riforma del patto di stabilità
editorialista
di Francesca basso
corrispondente da Bruxelles

L’ultimo miglio è sempre il più difficile da percorrere, in tutte le trattative, perché si deve cedere qualcosa. I ministri finanziari dei 27 Paesi Ue hanno affidato a una cena al termine dell’Eurogruppo la fase finale del negoziato sulla riforma del Patto di stabilità e crescita nel tentativo di arrivare a un accordo all’Ecofin di oggi. Cena «fredda», primo giro di tavolo che si è concluso alle 21.40, incontri bilaterali della ministra spagnola Nadia Calviño per oltre due ore e ripresa della discussione a mezzanotte.

Sul tavolo il documento della presidenza spagnola che ha fissato i sette punti controversi della riforma, frutto della lunga mediazione, partendo dalla proposta presentata dalla Commissione europea a fine aprile, che prevede che ogni Paese prepari un piano di risanamento del debito tenendo in considerazione la spesa pubblica netta, da concordare con l’esecutivo comunitario sulla base dell’analisi di sostenibilità condotta da Bruxelles.

  • Fin dall’inizio è stato chiaro che il negoziato sarebbe stato in mano a Berlino e Parigi. E giovedì mattina lo ha ribadito il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire, spiegando che con il collega tedesco Christian Lindner sono «al 90% d’accordo sulle grandi linee della riforma del Patto» e che «la Francia ha fatto passi significativi verso la posizione tedesca». Ma poi Le Maire ha aggiunto che «rimane una linea rossa che la Francia non oltrepasserà».

Parigi ha chiesto una «flessibilità dello 0,2%», una novità, in caso di procedura per deficit eccessivo per gli Stati membri che fanno riforme e investimenti per la transizione verde, la sicurezza, l’innovazione tecnologica: in pratica il ritmo di riduzione annuo del deficit dovrebbe essere dello 0,3% del Pil e non dello 0,5% come invece è previsto ora. In cambio accetterebbe che l’aggiustamento si misuri in termini di saldo strutturale come chiedono i tedeschi e non di saldo primario (esclusi gli interessi sul debito) come preferito dagli italiani (leggi l’articolo completo su Corriere.it).

12. ...e quello dell’AI Act
editorialista
di Paolo ottolina

imageL’immagine postata su X da Thierry Breton, commissario Ue per il Mercato interno

Una trattativa infinita e alla fine una pausa, con rinvio alle 9 di oggi per la ripresa dei lavori. L’Europa non è ancora riuscita a partorire l’AI Act, la prima regolamentazione internazionale, estesa e completa, sull’intelligenza artificiale. Dopo 22 ore di negoziati a Bruxelles, i legislatori e i governi dell’Unione Europea hanno comunque, secondo le indiscrezioni, concordato i termini su alcuni punti chiave come quello che riguarda i modelli fondativi, alla base dei sistemi più complessi di intelligenza artificiale, tra cui l’ormai notissimo chatbot ChatGpt di OpenAI e i suoi concorrenti come Bard di Google.

«Sapremo oggi se l’Europa avrà mantenuto un primato mondiale: quello di essere capace di regolare mercati, aziende con lo scopo di proteggere i cittadini, senza frenare l’innovazione», scrive Daniele Manca. Secondo un documento circolato tra i legislatori, visionato tra gli altri dall’agenzia Reuters, la Commissione europea ha mantenuto all’interno delle regole la presenza di un elenco di modelli di IA ritenuti a «rischio sistemico» (continua a leggere su Corriere.it).

13. Il vero «green washing» di Riad: la geopolitica del golf
editorialista
di Federico thoman

Terremoto nel mondo del golf. Lo spagnolo Jon Rahm, 29enne stella del circuito che quest’anno ha vinto il prestigioso torneo Augusta Masters e nel 2021 lo US Open, passa alla lega LIV, la creatura saudita che sta lentamente ma inesorabilmente picconando il potere economico e d’immagine dei circuiti PGA (americano) e DP World Tour (europeo) al di là dell’accordo di pace dello scorso giugno dopo una guerra anche legale.

imageJon Rahm durante gli US Open (Afp)

  • Come nel caso dei suoi illustri predecessori che hanno ascoltato le sirene saudite, l’americano Phil Mickelson e lo spagnolo Sergio Garcia, anche per convincere Rahm gli emissari di Riad hanno messo sul piatto un’offerta mostruosa: un contratto da circa 500 milioni di euro che dalla prossima stagione — si parte a febbraio — farà di Rahm lo sportivo spagnolo più pagato della storia.
  • Più del pilota Fernando Alonso, del cestista Pau Gasol o del tennista Rafa Nadal. Qualcuno ha ironizzato tirando fuori frasi non troppo vecchie del golfista in cui professava la sua «lealtà più assoluta al circuito PGA» e in cui sottolineava come la lega saudita non fosse «un qualcosa di positivo per me: ti lanciano soldi per blandirti ma io voglio farmi un nome»
  • L’ingaggio di Rahm segna così un punto di svolta perché il giocatore basco, ancora giovane, è considerato il volto del presente ma soprattutto del futuro del golf. Per fare un paragone, è come se Cristiano Ronaldo non fosse andato a giocare a calcio in Arabia Saudita a 37 anni ma a 24/25, nel pieno della sua carriera

Dietro il progetto LIV c’è naturalmente l’ombra della casa reale saudita e del suo braccio armato finanziario, il fondo sovrano Pif (Public Investment Fund). Il principe Mohammed bin Salman da tempo sta investendo centinaia di miliardi di petroldollari nel promuovere una nuova immagine del suo Paese attraverso lo sport (è praticamente certo che nel 2034 l’Arabia Saudita ospiterà i mondiali di calcio maschili). Il «green washing», in questo caso, non riguarda la transizione energetica ma mazze, palline e buche.

14. L’annessione, per ora solo su carta, del Venezuela

imageAfp

Quello nella foto è Jorge Rodriguez, presidente del Parlamento venezuelano, e quella che ha in mano è una nuova mappa del Paese. Sulla cartina è già annesso l’Essequibo, una regione della Guayana, ricca di petrolio, su cui il governo di Nicolás Maduro ha celebrato un referendum. Di fronte alle minacce sul territorio conteso, Il Brasile ha militarizzato il confine e gli Stati Uniti hanno annunciato esercitazioni congiunte con le forze armate guyanesi. «Una guerra è l’ultiuma cosa di cui il Sud America ha bisogno», ha detto il presidente brasiliano Lula (approfondisci nella newsletter «Mondo capovolto»).

15. Una cartolina recapitata con 42 anni di ritardo

imageUna casella della lettere a Londra (Epa)

(Irene Soave) Un ritardo nel ritardo. «Caro Padge, non ci crederai ma ricevo solo ora la tua lettera del 6 maggio. Scusa per non essermi fatto sentire». Chissà se il messaggio sulla cartolina firmata da «Gerry» e spedita il 27 agosto 1981, così il timbro postale, era una scusa o la verità. Di certo il ritardo della lettera di «Padge» a «Gerry» è nulla in confronto a quello della cartolina di «Gerry» a «Padge»: spedita più di 42 anni fa da Sydney, in Australia, è stata recapitata ieri all’indirizzo a cui era diretta, a Elm Grove, Westgate on Sea, nel Kent britannico.

La Royal Mail britannica non sa spiegare cosa sia successo, ma rivendica alti standard di puntualità» e nota anche che l’affrancatura, 32 centesimi, era all’epoca insufficiente. Padge non abita più a Elm Grove e chissà dove è Gerry. Secondo voi si sono più risentiti?

Grazie mille per essere arrivati fino a qui e buon weekend, America-Cina torna lunedì!


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