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(Matteo Castellucci) Si chiama Johan Floderus. È un diplomatico dell’Eeas, il Servizio europeo per l’azione esterna, e da 600 giorni è tenuto prigioniero in Iran. È accusato, pretestuosamente, di essere una spia, come — da un altro regime, quello russo — il reporter del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, di cui martedì è ricorso il 250esimo giorno in cella. Floderus, 33 anni, è stato arrestato il 17 aprile 2022, ma solo a settembre di quest’anno Teheran ha confermato la sua identità. Prima, dagli ayatollah, brandelli di verità: sulla nazionalità svedese (aprile 2022), sulle accuse (luglio 2022). Con ogni probabilità, gli iraniani intendono usarlo in uno scambio di prigionieri. Foto della campagna Free Johan Floderus La liberazione, la sua e quella di altri ostaggi europei, rientrava nella missione a Teheran, a settembre, dell’inviato speciale dell’Ue per il Golfo persico: una vecchia gloria della politica nostrana, Luigi Di Maio. «Esprimere l’indignazione morale va sicuramente bene, ma questo non ha la capacità miracolosa di risolvere il problema», ha detto, difendendo il lavoro sottotraccia per il rilascio, l’Alto rappresentante Josep Borrell. I giorni erano 500 allora, oggi sono cento di più, e la famiglia e gli amici di Johan continuano a battersi perché il suo caso non venga dimenticato. Ogni mattina aggiornano il calendario, sul sito della loro campagna ci sono i manifesti da stampare, foto e ricordi perché «Johan non diventi solo un’altra statistica». Aveva da poco adottato un cane, Wilfred; oppure faceva la spesa ai colleghi infortunati. A novembre il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione per chiedere il suo rilascio. Si trova in una cella senza letto e dove la luce è accesa sempre, anche di notte, ha raccontato oggi suo padre Matts intervistato dal Guardian. Per poter telefonare ai genitori, Floderus ha dovuto fare lo sciopero della fame. «Pensiamo che il processo inizierà a breve». |
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