Mes, cosa succede dopo il no dell’Italia: le conseguenze in Ue e il rischio isolamento

Mes, cosa succede dopo il no dell'Italia: le conseguenze in Ue e il rischio isolamento Mes, cosa succede dopo il no dell’Italia: le conseguenze in Ue e il rischio isolamento

L’altro ieri c’è stato il via libera al Patto di Stabilità europeo e si è raggiunta l’intesa sui migranti e sull’asilo. Ieri sono arrivate altre due decisioni che fanno molto discutere. Il no del Parlamento al Mes, il fondo salva-Stati, che conferma l’eccezione dell’Italia, unico Paese a non ratificare la riforma del patto e dunque a bloccarlo. E lo stop all’«abuso di posizione dominante» da parte della Uefa, deciso dalla Corte europea, che apre la strada alla Superlega. Decisioni diverse, complesse, spesso collegate, che hanno a che fare con equilibri politici, ma che vanno spiegate perché hanno conseguenze non irrilevanti sulla vita di tutti. E che soprattutto dimostrano come la dimensione nazionale non basti più, se mai è bastata, perché tutto è interconnesso, soprattutto in Europa. Mes, la Camera respinge la ratifica L’Italia era rimasto l’unico Paese dell’Unione europea a non aver ratificato la riforma del Mes, il fondo salva-Stati (e banche). Ed è rimasto tale, perché ieri l’Aula della Camera ha respinto l’autorizzazione con 184 voti contrari, 172 a favore e 44 astenuti.

Governo spaccato

Il governo ha deciso di non decidere, delegando la scelta finale al Parlamento. Dove si sono spaccate sia la maggioranza sia l’opposizione. Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro la ratifica mentre Forza Italia e Noi moderati si sono astenuti. L’opposizione ha detto sì alla ratifica, ma non i 5 Stelle.

La Lega

Il no è stato fortemente voluto dalla Lega, che rivendica, a ragione, una coerenza di fondo: «Sono dieci anni che diciamo no». E no anche stavolta. Matteo Salvini esulta: «Pensionati e lavoratori italiani non rischieranno di pagare il salvataggio delle banche straniere. Siccome l’Italia ha messo dei soldi in questo istituto, visto che non ci serve possiamo anche chiederli indietro questi soldi». A margine, resta la sconfessione di Giancarlo Giorgetti che, come sottolinea l’opposizione, aveva una linea molto diversa da quella di Salvini. Tesi tutte respinte: Giorgetti, dicono nella Lega, aveva ripetuto che avrebbe deciso il Parlamento. E nella maggioranza le posizioni diverse sarebbero state prese «di comune accordo».

Come funziona il Mes

Il meccanismo europeo di stabilità è un trattato firmato nel 2012 che consente, ai Paesi che sono in difficoltà, di accedere a un prestito, con condizioni di rientro che consistono in un piano di riforme, sorvegliate dalla Commissione europea, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale. Non c’è nessun obbligo, naturalmente, di chiedere gli aiuti finanziari. La ratifica era solo un modo per renderlo disponibile al Paese che ne avesse bisogno e per fare entrare in vigore la riforma. Il nuovo Mes prevede anche un Fondo di risoluzione unico, pensato per aiutare le banche europee in difficoltà e finanziato dalle stesse banche.

Le ragioni del no

Per mesi l’opposizione si è concentrata sul rischio paventato di ristrutturazione del debito o di applicazione di qualche forma di commissariamento dell’Italia. Il no alla ratifica è motivato però non da queste ragioni di merito, comunque le si valutino, ma da ragioni di metodo: si dice, cioè, che non è previsto nella riforma un meccanismo di coinvolgimento del Parlamento nella scelta eventuale di attivare il Mes. Fonti del governo poi spiegano: «Così com’è il Mes non ci soddisfa. Se salvabanche deve essere, serve un controllo, una governance davanti al Parlamento europeo, e non la totale discrezionalità degli organi direttivi. E in più, se si tocca il settore bancario, allora va fatto nel suo complesso, a partire dall’unione bancaria. Così com’è non va».

La via di uscita

Mario Monti, nell’editoriale, propone una via d’uscita al governo, che fa perno proprio sulla motivazione addotta per il no, cioè il mancato coinvolgimento del Parlamento nel meccanismo decisionale: «Basterebbe che nella proposta di legge del governo per la ratifica, oppure in un ordine del giorno presentato contestualmente in Parlamento, figurasse un articolo del seguente tenore: “Il governo si impegna (oppure “Il Parlamento impegna il governo”) a non richiedere l’attivazione del Mes, senza specifica autorizzazione del Parlamento”»

Il contagio

Per capire meglio perché il Mes è uno strumento che può essere utile a tutta l’Europa, bisogna leggere Federico Fubini. Che in buona sostanza spiega che siamo tutti sulla stessa barca e che se un Paese o un grande istituto bancario sono in difficoltà, salvarli e aiutarli conviene a tutti (basti pensare all’americana Silicon Valley Bank). Perché il contagio finanziario è un meccanismo che conosciamo bene e che rischia di travolgere tutti, anche gli egoismi nazionali.

L’accelerazione al voto

Ma perché c’è stata questa accelerazione improvvisa del voto? Secondo le opposizioni, si tratterebbe di una reazione al varo del patto di Stabilità. Scrivono Marco Cremonesi e Paola Di Caro: «Raccontano che il senso della decisione della premier sia stato chiaro: un eventuale sì al Mes poteva essere un’arma negoziale per ottenere condizioni più favorevoli all’Italia sul nuovo patto di Stabilità. Di fatto, non lo è stato. “Ognuno ha fatto i propri interessi, ogni Paese ha pensato a sé stesso, tutti”, è il ragionamento fatto a Palazzo Chigi. E siccome all’Italia è andata “discretamente, è meglio questo che niente” ma certo non è arrivato tutto quanto si sperava, e Germania e Francia “hanno pensato ai loro problemi”, così come altri Paesi hanno fatto i propri interessi, allora anche noi facciamo i nostri».

L’attacco di Conte

Giuseppe Conte attacca la premier: «Meloni ha detto che il Mes è passato col sangue degli italiani, senza dibattito parlamentare, col favore delle tenebre: se oggi siamo qui vuole dire che non è vero, che Giorgia Meloni ha mentito al Parlamento». La premier lo aveva accusato di aver dato l’ok alla riforma del Mes «alla chetichella». Un’accusa che ha prodotto la richiesta dell’attivazione del gran giurì alla Camera da parte dei Cinque Stelle.

La posizione di Schlein

La segretaria del Pd attacca il governo: «Hanno perso ieri nel negoziato sul Patto e dopo quella bruciante umiliazione hanno pensato di fare una ritorsione. Ma il messaggio ritorsivo danneggia la credibilità dell’Italia perché erano gli impegni che l’Italia aveva preso. Non si stava chiedendo l’attivazione del Mes in Italia ma perché impedire a tutta l’Europa di andare avanti sulle modifiche concordate?». Quanto a Giorgetti, «ha subito una colossale smentita, dovrebbe dimettersi».

Bruxelles delusa

Il voto italiano delude Bruxelles, anche per il timing. Il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe ha espresso «rammarico» è spiega che è «deplorevole» che non sia stato possibile istituire il «backstop» (il paracadute), ulteriore elemento di sicurezza nel caso i fondi a disposizione non bastino. Inoltre, il «paracadute» è «un’importante pietra miliare per il completamento dell’Unione bancaria nell’Ue». Scrive Francesca Basso: «La mossa di Roma ha stupito in molti a Bruxelles e nelle capitali per diversi motivi, primo fra tutti per la tempistica. Il governo italiano in più occasioni ha detto pubblicamente che legava la ratifica del nuovo Mes alla conclusione della riforma del Patto di stabilità, proponendo una strategia a “pacchetto”. A Bruxelles, invece, i due dossier sono stati sempre considerati separati per il fatto che la riforma del Mes è stata chiusa nel 2021 con la firma di tutti i Paesi partecipanti (dopo trattative lunghe e complesse), mentre il nuovo Patto di stabilità andava ancora negoziato. Ma la convinzione con cui la premier Giorgia Meloni ha legato le due partite ha creato a Bruxelles l’aspettativa che una volta raggiunta l’intesa sul Patto sarebbe arrivata la ratifica del Mes. Più interlocutori parlano di “credibilità compromessa” di Roma ai tavoli negoziali».

Sintetizza Roberto Gressi: «La stagione del populismo, che tanti danni ha fatto e pareva morta e sepolta, trova nuova linfa. Lega e Cinque Stelle ritrovano nella rissa le ragioni che li avevano portati a governare insieme, e trascinano con sé Fratelli d’Italia, che per non subire danni in vista delle elezioni europee, si mette in qualche modo alla guida dello strappo con Francia e Germania». E ancora Gressi, sulla «fiera dell’ambiguità», sull’affidabilità dell’Italia e su un’Europa che per la Lega resta «matrigna»: «Il governo, dopo quattordici mesi, affronta la prima, pesante spaccatura, con Forza Italia e il raggruppamento di Maurizio Lupi che si astengono solo per evitare il rischio di una lacerazione più profonda, che metterebbe in dubbio lo stesso proseguimento della legislatura. Ma se le toppe tamponano il buco, almeno in chiave interna, si apre nel continente un punto interrogativo gigantesco sull’affidabilità dell’Italia. Difficile, per i partner europei, sfuggire alla sensazione di essere caduti in una trappola, con l’Italia che finge di voler perseguire una strada comune, ottenendo risultati, pur parziali, dopo un’estenuante trattativa, e poi si sgancia, facendo prevalere considerazioni sovraniste ed elettorali».

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