Taghi Rahmani: «L'Iran ha bisogno del sostegno dell'Occidente»

diFarian Sabahi*

L'attivista iraniano e marito dell'avvocato Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace nel 2023, parteciperà al festival «Il libro possibile» di Vieste il 23 luglio

Taghi Rahmani: «L'Iran ha bisogno del sostegno dell'Occidente»

Taghi Rahmani con i figli Kiana e Ali al ritiro del Nobel per la Pace 2023 in nome della moglie Narges Mohammadi, detenuta in Iran 

«Nelle recenti elezioni il leader supremo Khamenei è stato sconfitto: il suo candidato preferito, Mohammad Baqer Qalibaf (presidente del parlamento, ndr), non ha passato il primo turno. A mettergli i bastoni tra le ruote è stato Saeed Jalili, che ha perso al ballottaggio e non gode del favore del Rahbar perché appartiene a una fazione deviante ed è diventato indesiderabile. L’affluenza alle urne è stata inferiore al 40 per cento al primo turno e non ha raggiunto il 50 per cento al ballottaggio. Questi sono i dati ufficiali, potrebbero essere stati gonfiati. Molti iraniani non credono più al regime, ma sono andati a votare perché il candidato moderato Masoud Pezeshkian ha promesso che farà il possibile per tornare al tavolo dei negoziati con l’Occidente e alleggerire così le sanzioni che colpiscono l’economia. In questo senso, il regime ha manipolato l’opinione pubblica, cercando di aumentare l’affluenza alle urne offrendo la possibilità di votare per un candidato come Pezeshkian, non del tutto allineato, che potrebbe creare spazio per il dissenso».

È con queste parole che l’attivista iraniano Taghi Rahmani commenta le recenti elezioni presidenziali nella Repubblica islamica. Relatore del festival «Il libro possibile» di Vieste il 23 luglio (ore 21), Rahmani è il marito dell’avvocato Narges Mohammadi, la vicepresidente del Centro dei Difensori dei Diritti Umani di Teheran insignita del Nobel per la Pace 2023 per la sua battaglia contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere diritti umani e libertà per tutti. Narges Mohammadi è attualmente nel carcere di Evin, a Teheran, nella sezione femminile che ospita, in condizioni difficili, circa 70 detenute. Negli ultimi otto mesi non ha potuto ricevere visite e telefonate, nemmeno dai figli Ali e Kiana che vivono con il padre in Francia, e le sono negate le cure mediche necessarie dopo l’operazione a cuore aperto.

Secondo Rahmani, «la causa di tutti i mali è la leadership a vita di Khamenei e un sistema basato sulle discriminazioni di genere, religiose, etniche e di classe, ovvero del clero sul resto della società». «La Repubblica islamica non è riformabile» e, per questo motivo, «la resistenza del popolo iraniano continua, anche se ancora non vi è una congrua forma di collaborazione tra tutte le forze di opposizione. La vita degli iraniani è difficile a causa di queste ingiustizie e della corruzione. Il popolo chiede un cambiamento sia della Costituzione sia della struttura di potere».
Il neopresidente Masoud Pezeshkian ha dichiarato di volere riallacciare i rapporti diplomatici con i Paesi occidentali, anche con gli Stati Uniti, per alleggerire le sanzioni come previsto dall’accordo nucleare (JCPOA) firmato il 14 luglio 2015 a Vienna dai negoziatori iraniani e dai 5+1, ovvero dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania. In merito alle sanzioni, Taghi Rahmani ritiene che abbiano «colpito più il popolo che le autorità, e in ogni caso non hanno rovesciato il regime. Il presidente statunitense Joe Biden ha imposto un regime sanzionatorio meno severo rispetto al suo predecessore Donald Trump, ma questo ha rallentato la pressione solo sulle autorità, non sulla popolazione. Gli iraniani vogliono una vita normale, e per questo hanno sostenuto il JCPOA. Sono disposti a rinunciare al nucleare, perché si possono perseguire altre modalità per ottenere energia, e la corsa al nucleare è pericolosa in un Medio Oriente già in fiamme».

A proposito di conflitti, l’attivista iraniano afferma: «Il nostro popolo non vuole la guerra. Un attacco all’Iran non aiuterebbe la democrazia, di cui si fa portavoce la classe media iraniana, ma aiuterebbe il regime orientando la sua politica alla difesa del Paese. Non abbiamo bisogno di un attacco militare, ma del sostegno delle società civili occidentali e delle organizzazioni per i diritti umani. In un mondo globalizzato, le guerre in Medio Oriente colpiscono anche i cittadini del mondo occidentale. È fondamentale promuovere e incoraggiare la democrazia, ma i governi occidentali non l’hanno compreso e preferiscono acquistare petrolio a basso prezzo dai governi autoritari della nostra regione. Dobbiamo diffondere consapevolezza nelle società civili occidentali affinché facciano pressione sui loro governi e diano la priorità ai diritti umani. In caso contrario, l’Europa diventerà meno sicura a causa delle migrazioni forzate dovute a guerre, povertà e despotismi. Gli europei non hanno ancora capito che siamo tutti nella stessa barca».

*ricercatrice senior in Storia contemporanea presso l’Università dell’Insubria e delegata per gli Affari istituzionali e diplomatici presso il DISUIT

20 luglio 2024 ( modifica il 20 luglio 2024 | 09:46)

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