Iran, Pezeshkian scrive agli elettori su X (che è vietato): «Non vi lascerò soli»
Il leader ha superato al ballottaggio di venerdì il candidato conservatore Saied Jalili con il 53,6% dei voti validi a suo favore. L’avrebbero scelto circa 16 milioni di iraniani sui 30 milioni di votanti. Ma non sono numeri verificabili
«Caro popolo dell’Iran, ora che le elezioni sono finite, arriva la parte più difficile. Giuro sul mio onore che non vi lascerò soli. Anche voi non abbandonatemi». Sono le prime parole del neo eletto presidente iraniano Masoud Pezeshkian. Generiche, commosse e solenni il giusto, come avrebbe potuto pensarle qualsiasi politico vittorioso in ogni angolo del mondo. Solo che l’Iran è un posto diverso da ogni altro e le sfide di questo cardio chirurgo diventato presidente sono difficili come poche. Un esempio? Il messaggio è stato recapitato agli elettori su X, l’ex Twitter, che in Iran è ufficialmente vietato. In pratica, il primo atto del presidente nel suo nuovo ufficio ha consistito nell’infrangere la legge. Significativo di come non funzionano le cose nella Repubblica Islamica.
Pezeshkian ha superato al ballottaggio di venerdì il candidato conservatore Saied Jalili con il 53,6% dei voti validi a suo favore. L’avrebbero scelto circa 16 milioni di iraniani sui 30 milioni di votanti, la metà dei 61 aventi diritto. Ma bisogna aggiungere «più o meno»: si tratta di numeri in libertà. Senza osservatori internazionali bisogna fidarsi dei calcoli del regime. Le opposizioni clandestine e gli analisti all’estero valutano che la partecipazione sia stata attorno al 20%, qualcuno dice anche meno. Anche questi calcoli non hanno basi concrete. Più realistico è osservare il grande quadro e trarne le conseguenze. In Iran le elezioni sono un esercizio di democrazia con i paraocchi. Per avere la possibilità di candidarsi bisogna essere ammessi da un Consiglio di nomina clericale. In queste elezioni su 80 aspiranti ne erano stati selezionati solo 6 poi auto ridottisi a 4 alla vigilia del primo turno del 28 giugno. Al ballottaggio di venerdì sono giunti così necessariamente due candidati allo stesso modo graditi dal regime.
Come ha detto in un’intervista al Corriere il professore Pejman Abdolmohammadi, «in questo voto non conta la volontà dei cittadini. Serve solo alla Repubblica Islamica per affrontare i prossimi anni con una dirigenza politica adeguata». Più che elezioni una sorta di rinnovo del Consiglio d’Amministrazione.
Il racconto promosso dall’Iran attorno a questo voto ripercorreva gli schemi di anni passati: conservatori contro riformisti. Serviva a ridare un po’ di speranza ai contestatori del movimento Donne Vita Libertà, richiamare elettori in carne e ossa ai seggi e aprire una porta di dialogo con l’Occidente. L’Iran ne ha bisogno come l’aria sia per alleggerire le sanzioni sia per richiamare investimenti stranieri.
La linea tenuta dal predecessore di Pezeshkian, il presidente Raisi morto in maggio in un incidente d’elicottero, andava più verso lo scontro frontale che verso una mediazione. Il mese prima di morire, sotto la presidenza Raisi, l’Iran aveva per la prima volta attaccato direttamente Israele. Vero che l’ha fatto in modo «prudente», annunciando l’arrivo dei suoi missili così che non facessero troppi danni, però la tensione con l’Occidente resta altissima su svariati fronti dal Libano a Gaza, dallo Yemen all’Iraq e alla Siria. Se in novembre a Washington venisse rieletto Trump, la Repubblica Islamica avrebbe da aspettarsi ancora più tensione. Da qui la scelta di puntare su una figura come Pezeshkian.
Cardiochirurgo, 69 anni, Pezeshkian è anello di congiunzione tra i «riformisti» storici alla Khatami o alla Moussavi, emarginati dalla vita pubblica o addirittura agli arresti domiciliari, e il cerchio magico della Guida Suprema Ali Khamenei, vero dominus della Repubblica assieme ai Pasdaran, i militari «guardiani della Rivoluzione».
In campagna elettorale Pezeshkian ha promesso di eliminare le restrizioni su Internet, ridurre le pattuglie della morale che picchiano e arrestano le donne «mal velate», abbassare l’inflazione che ormai veleggia attorno al 40%. Come farà se non può e non vuole inimicarsi i veri vertici del potere? Su Internet potrebbe essere facile perché i divieti, come dimostra il suo messaggio su X, sono quasi inutili vista la capacità degli iraniani di aggirare i divieti. Sul problema del velo potrebbe adottare la tattica dei suoi predecessori riformisti: non eliminare l’obbligo del velo, ma fingere di non vedere chi lo trasgredisce. Sull’economia, più difficile perché Pezeshkian non ha né esperienza economica e né in materia di sicurezza. Nella sua pluridecennale esperienza da parlamentare ha al massimo ricoperto la carica di ministro della Sanità. Ad aiutarlo almeno nei rapporti con l’Occidente potrebbe esserci l’ex ministro degli Esteri Zarif che ha fatto campagna elettorale al suo fianco. Mohammad Javad Zarif è l’uomo che riuscì a firmare l’accordo nucleare con gli Usa salvo poi vederselo strappare in faccia dal presidente Trump. Potrebbe riprovarci.
Pezeshkian farà quel che Guida Suprema e Pasdaran consentiranno a lui di fare. Una volta lo si è visto in Parlamento con la divisa delle Guardie della Rivoluzione, più volte ha espresso totale «devozione» a Khamenei. Non ci sono dubbi sulla fedeltà del neo presidente al sistema iraniano. Per questo è stato ammesso alla competizione elettorale, per questo gli è stato consentito di vincere.