Sholeh Pakravan:«In Iran i ragazzi prima vogliono vivere, poi penseranno alla politica»
Attrice, la cui figlia venne impiccata con l’accusa di aver ucciso chi cercava di violentarla, è rifugiata in Germania e ha fondato il movimento Madaraneh (materno) che raggruppa le madri che cercano giustizia
«Ci sono due momenti che spiegano perché gli iraniani non andranno a votare venerdì. Neppure per il candidato cosiddetto riformista Pezeshkian».
Sholeh Pakravan è un’attrice teatrale a cui hanno ucciso la figlia. Oggi è tra le voci più ascoltate dell’opposizione in esilio.
«Il primo è la repressione nelle strade del 2009. L’Onda Verde protestava contro i brogli elettorali. Allora sì che la gente aveva votato un “riformista”, ma la reazione fu spaventosa. La polizia sparò su manifestanti pacifici. Il regime aveva già ucciso, ma fino a quel momento, dietro le mura delle prigioni o dentro i campus universitari, lontano dagli occhi di tutti. Nel 2009, invece, spararono per le strada e il capo della polizia disse: “chiunque si avvicinerà alla Questura, sarà abbattuto”. Il regime aveva buttato la maschera».
E il secondo momento?
«Nel 2022, durante le proteste per l’omicidio di Mahsa Amini. Una madre che come me aveva perduto un figlio per mano del regime, Gohar Eshghi, si è tolta il velo. L’avevano già fatto le ragazze, ma lei era anziana, religiosa. “L’ho indossato per i quasi 80 anni della mia vita, ma ora lo butto perché stanno uccidendo nel nome della religione”. È stato un punto di non ritorno. L’Islam non era più una scusa per chi comanda».
Sua figlia, Reyhaneh Jabbari, venne impiccata con l’accusa di aver ucciso chi cercava di violentarla.
«L’ho implorata di firmare la confessione che cercavano di imporle con ogni tipo di tortura anche se era innocente. Io l’avrei fatto, avrei abbassato la testa. Non l’ho mai veramente capita sino a quando ho ascoltato le ragazze del movimento "Donne Vita Libertà" che andavano in piazza sapendo di rischiare la vita».
Cosa ha capito?
«Che vogliono abbattere il regime. Alle madri che chiedono loro di proteggersi in casa ragazze e ragazzi rispondono: “Come farò, alla tua età, a guardarmi indietro e capire di non aver fatto nulla?”».
Lei è un punto di riferimento per l’opposizione nella diaspora e in patria. Ha fondato il movimento Madaraneh (materno) che raggruppa le madri che cercano giustizia per i figli. E’ dovuta fuggire in Germania. Ne valeva la pena?
«Non potevo farne a meno. Dopo l’impiccagione di mia figlia sono rimasta paralizzata per 4 mesi. La vita mi era scivolata via. Poi con le altre donne che condividevano il mio dolore abbiamo cominciato a dargli un senso aiutando. Confortiamo le altre, assistiamo chi è ancora vivo in cella, lavoriamo perché nessuno debba soffrire com’è successo a noi. L’esempio erano le madri di Plaza de Mayo, avevamo anche il loro floulard bianco, ma siccome siamo iraniane e il velo da noi è un obbligo del regime, l’abbiamo buttato. Ora lotto per i figli dell’Iran, ma anche dell’Afghanistan, della Siria, del Senegal. È come se il cuore si fosse allargato. Mi sento la mamma di tutti».
Perché il movimento Donne Vita Libertà chiede solo libertà individuali, diritti umani e non di cambiare il sistema politico?
«Me lo spiego con la piramide delle necessità umane di Maslow. Prima bisogna soddisfare i bisogni primari, respirare, mangiare, poi si può pensare alla carriera e all’arte. In Iran i ragazzi chiedono di poter uscire, incontrarsi, cose normali in qualunque parte del mondo. Poi penseranno alla politica, ma prima vogliono vivere».