Netanyahu al bivio tra il pressing di Biden e il “no” degli estremisti

Non è un assedio come quello a Yahia Sinwar, il capo di Hamas infrattato nei tunnel che corrono sotto Khan Younis per eludere la caccia dei soldati israeliani, ma anche il primo ministro Netanyahu a questo punto – dopo 106 giorni di guerra – è sotto assedio politico. A guidare questo assedio c’è l’Amministrazione Biden, che assieme a un gruppo di Stati arabi di primo piano, dall’Egitto all’Arabia Saudita al Qatar, ha immaginato un piano ambizioso per liberare gli ostaggi e restituirli a Israele, terminare il conflitto contro Hamas nella Striscia di Gaza, raccogliere fondi per ricostruire la Striscia devastata dai raid aerei e avviare un processo di pace che culminerà con la creazione di uno Stato palestinese smilitarizzato, vale a dire dotato soltanto di una forza di polizia.

Biden vuole che nel dopoguerra i palestinesi dell’Anp prendano il controllo anche di Gaza. Gli alleati arabi vogliono che questa gestione diventi l’inizio di uno Stato palestinese. Uno Stato arabo influente come l’Arabia Saudita è stato chiaro: se ci sarà lo Stato palestinese riconosceremo Israele e normalizzeremo le relazioni diplomatiche con gli israeliani (e garantiremo finanziamenti per ricostruire Gaza). Netanyahu risponde no a ripetizione. Giovedì ha detto che «Israele deve controllare l’intera area a Ovest del fiume Giordano, non soltanto a Gaza ma anche in Giudea e in Samaria», che è un respingimento secco dell’idea di Stato palestinese – e rovescia in modo simmetrico lo slogan di molte manifestazioni filopalestinesi, “dal mare al fiume la Palestina sarà libera”. Ha aggiunto anche: «Il primo ministro d’Israele dev’essere capace di dire no anche al migliore dei nostri amici».

Sottinteso: agli Stati Uniti. Venerdì c’è stata una telefonata fra Biden e Netanyahu, per chiarire la cosa e il presidente Usa davanti ai giornalisti ha detto che il premier israeliano non è contrario ai due Stati. Ma con una mossa irrituale, perché è stata fatta durante il sabato ebraico, l’ufficio di Netanyahu ha risposto con una nota di chiarimento che ribadisce: «Il primo ministro ieri nella conversazione con Biden ha ripetuto la posizione che sostiene da anni: dopo la distruzione di Hamas, Israele deve mantenere il pieno controllo della sicurezza a Gaza e questo si scontra con la richiesta di sovranità palestinese».

Sul New York Times l’editorialista Tom Friedman, che parla con Biden, riassume così l’offerta del presidente a Netanyahu: puoi essere ricordato come il leader israeliano che ha fallito e ha permesso l’attacco del 7 ottobre oppure come quello che ha trovato una soluzione di pace con i palestinesi e inaugurato la normalità con gli Stati arabi.

La destra estrema israeliana protesta molto contro questa visione americana. Il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir dice: «Respingo l’esistenza di uno stato palestinese. Per sempre!». E un altro alla destra della destra, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, risponde che «ogni spinta verso uno Stato palestinese è una spinta verso il prossimo massacro». Al centro Benny Gantz e Gadi Eisenkot, che fanno parte come ministri del gabinetto di guerra, per ora tacciono in modo tattico sullo Stato palestinese – è una grana di Netanyahu – e attaccano il primo ministro in modo diretto sulla questione degli ostaggi. Eisenkot, l’ex generale che gode di un capitale politico enorme perché ha perso un figlio e un nipote in guerra a dicembre, accusa Netanyahu di essere responsabile del 7 ottobre e di “raccontare favole” sugli ostaggi nelle mani di Hamas: in realtà, sostiene, possono essere liberati soltanto con un accordo. Con lui ci sono migliaia di manifestanti che da tre giorni protestano davanti alla casa di Netanyahu e vogliono fare un sit-in permanente davanti alla Knesset.

Il commentatore Ariel Kahana, sul giornale conservatore Israel Hayom, dice che è possibile che Netanyahu abbia lasciato capire a Biden che potrebbe accettare “uno Stato palestinese” soltanto perché è uno che sa sgusciare in mezzo ai negoziati, ma che in realtà pensa a uno Stato palestinese con molte condizioni: senza esercito, che non incita all’odio contro Israele, non paga le famiglie dei terroristi e riconosce Israele come Stato ebraico.

«Uno Stato palestinese sulla luna», per usare la sintesi efficace dell’ex ambasciatore americano David Friedman. Biden però ha bisogno che Netanyahu ceda, non può accettare di fare la figura di uno che si fa rispondere sempre no da Israele durante un anno elettorale, mentre il suo partito e i suoi elettori gli chiedono conto dell’appoggio incondizionato alla guerra – e una percentuale è pronta ad abbandonarlo per questo motivo – e mentre c’è un accusa di genocidio contro il governo israeliano al Tribunale internazionale di Giustizia.