Blackout delle comunicazioni a Gaza, ecco perché dal 12 gennaio i telefoni non prendono

Le comunicazioni fra Gaza e il resto del mondo non funzionano ormai dal 12 gennaio. È il più lungo periodo di blackout dall’inizio della guerra. Da ormai oltre 4 giorni, gli abitanti della Striscia non sono in grado di contattare il mondo esterno. E anche noi di Repubblica siamo impossibilitati a parlare col nostro collaboratore, Sami al-Ajrami. Dal 7 ottobre, quando all’indomani dell’attacco di Hamas in territorio israeliano sono iniziate le azioni di guerra all’interno di Gaza, ci sono già state nove interruzioni simili: nessuna è durata più di 72 ore, come conferma il gruppo di monitoraggio della sicurezza informatica NetBlocks che ora denuncia il silenzio della Striscia.

Da giorni, due milioni di persone sono dunque impossibilitate a parlare coi loro parenti e col mondo esterno, mentre il blackout delle comunicazioni ostacola enormemente il lavoro delle organizzazioni umanitarie e anche degli operatori d’emergenza: le ambulanze, i medici e coloro che cercano di recuperare persone ancora vive da sotto le macerie.

Il silenzio di Gaza è anche un ulteriore bavaglio al lavoro dei giornalisti palestinesi sul campo. Impossibilitati a raccontare le condizioni di vita laggiù.

Cosa sta causando le interruzioni?


Secondo il Washington Post - che ha parlato con Mamoon Fares, direttore di Paltel, la Palestine Telecommunications con sede in Cisgiordania che è uno dei due fornitori dell'enclave - a procurare l’attuale blackout è la rottura di cavi sotterranei in seguito a bombardamenti pesanti. Finora, le squadre di riparazione presenti sulla Striscia, non sono state nelle condizioni di raggiungere quei cavi, perché non hanno ottenuto da Israele il permesso per farlo. Trattative con l’esercito sono in corso attraverso la mediazione della Croce Rossa Internazionale e dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Ma a ora non è ancora arrivato l’ok.

Qual è la situazione della Rete?

I bombardamenti israeliani, hanno già messo a dura prova la rete di telefonia mobile locale. La maggior parte delle connessioni in fibra “sono danneggiate e devono essere riparate” dice Fares. Così come gravemente danneggiati sono anche i 550 ripetitori: “La metà è fuori uso”. Non basta: nel Sud della Striscia, la rete è appesantita dalla concentrazione di troppe persone in un’area ristretta, conseguenza dello sfollamento di 1,8 milioni di palestinesi nel Sud della Striscia che ha letteralmente sopraffatto la rete locale: “La rete poteva reggere un aumento del traffico del 15-20 per cento” ha spiegato ancora Fares. “Ma l’aumento è del 50-60 per cento”.

In che condizioni lavorano i tecnici?


La pausa umanitaria di novembre è servita a Paltel per effettuare riparazioni e ripristinare parte del servizio. “Da allora”, dice il suo direttore, “le cose sono andate di male in peggio”. La maggior parte delle riparazioni, spiega, “vengono eseguite durante i combattimenti e sotto il fuoco”. Ogni intervento è coordinato con Israele: ma spesso intorno agli operai si spara ugualmente. In più di un occasione sono stati fatti allontanare coi carri armati. Dall’inizio del conflitto già 13 di loro sono stati uccisi, due solo la settimana scorsa.

Quali sono gli interessi economici di Paltel?

Attualmente non sta realizzando profitti a Gaza. L’azienda ha attivato offerte gratuite per garantire che le persone restino in contatto fra loro e possano contattare i servizi umanitari. A novembre, afferma ancora il provider “la carenza di carburante ha però reso molto complicato continuare il servizio”. Servono 14.500 litri di benzina al giorno per far funzionare i macchinari.

Qual era lo stato della rete mobile di Gaza prima del 7 ottobre?


Gaza è servita da due principali operatori di telefonia mobile. Jawwal, proprietà di Paltel, lavora nei territori palestinesi nel 1997. Ooredoo, società del Qatar, è entrata nel mercato nel 2017. Mentre Israele dispone di un servizio di telefonia mobile di quinta generazione, il 5G, nei territori palestinesi la tecnologia è datata. Il servizio disponibile in Cisgiordania è il 3G; a Gaza è il 2G. D’altronde, secondo gli accordi di Oslo del 1995 che delineavano il percorso di un processo di pace tra israeliani e palestinesi – e poi una serie separata di protocolli economici - Israele ha il controllo sulle comunicazioni mobili e sulla tecnologia che i palestinesi possono realizzare. “Le telecomunicazioni e le infrastrutture sono inseparabili dal contesto politico più ampio”, spiega ancora al Washington Post, Helga Tawil-Souri, che insegna Media e Comunicazione alla New York University: “Ciò che l’Autorità Palestinese è autorizzata a trasmettere, la forza del segnale, la posizionare dei ripetitori e la loro altezza, tutto è soggetto ad approvazione degli israeliani” spiega. “Il Ministero delle Comunicazioni israeliano ha il controllo totale sulla fibra ottica e può interrompere il flusso di comunicazione su quei cavi”. Altro fattore limitante è la quantità di spettro – la radiofrequenza – assegnata alle società di telefonia mobile palestinese: finora è stato aumentato solo una volta dagli anni 90, per consentire a Ooredoo di operare in Cisgiordania. Nel 2022, il presidente americano Joe Biden si era offerto di far portare la copertura cellulare a Gaza e in Cisgiordania al 4G, ma da allora l’iniziativa è in fase di stallo. A novembre, un alto funzionario del governo americano aveva assicurato che le comunicazioni a Gaza erano state ripristinate dopo che gli Stati Uniti “avevano chiarito che dovevano essere riattivate”.

Ci sono modi per aggirare il blackout dall’interno di Gaza?


Qualcuno, specialmente giornalisti che lavorano per le televisioni, ha telefoni satellitari in grado di bypassare l’infrastruttura locale. È così che ad esempio Al Jazeera continua a coprire la guerra durante i blackout. Ma la tecnologia, costosa da acquistare, mantenere e usare, è fuori dalla portata della maggior parte delle persone. Alcuni hanno Sim di operatori israeliani che prima della guerra si acquistavano sottobanco nei negozi di cellulari e che hanno una copertura e una tecnologia migliori rispetto ai fornitori palestinesi ma attualmente funzionano poco anche quelle. Altri si sono procurati eSims, versioni digitali di carta SIMe, ma bisogna avere smartphone adeguati per poterle utilizzare. Chi ha una eSIM e riesce ad avvicinarsi abbastanza alla zona cuscinetto o al confine egiziano, può sperare di agganciare ripetitori fuori da Gaza. Molte eSim provengono da donatori e vengono configurate da remoto. La giornalista egiziana Mirna El Helbawi ha condotto una campagna per ottenere donazioni di eSIM appunto per Gaza. Un donatore può acquistare una eSIM nel proprio paese d'origine e inviare una foto del codice QR a El Helbawi che si occupa poi di farle recapitare. Su X ha scritto che la sua campagna ha finora prodotto 100mila eSim per gli abitanti di Gaza.

Che reazioni ci sono all’attuale blackout?


Funzionari dell’amministrazione Biden hanno più volte sottolineato la necessità di comunicazioni funzionanti a Gaza. "Mantenere le telecomunicazioni e garantire che siano attive, funzionanti e operative è importante affinché gli operatori umanitari, i civili e i giornalisti possano comunicare tra loro e col mondo", ha affermato il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirnby. “L’assenza di telecomunicazioni priva le persone dell’accesso a informazioni salvavita, minando anche la capacità dei primi soccorritori e di altri attori umanitari di operare e di farlo in sicurezza”. Dell’attuale interruzione, un funzionario americano dice: “Siamo in contatto con il governo di Israele e li stiamo esortando esortati a riattivare le telecomunicazioni”.