Le grandi ambizioni di J.D.Vance «il convertito»: ereditare la Casa Bianca e cavalcare fino al 2037 l’onda populista
È un personaggio brillante, ambizioso e dalle molte facce che si è fatto da solo e ha portato dalla parte repubblicana i Big della tecnologia
MILWAUKEE - Implacabile coi nemici, Trump si è concesso un’eccezione facendo di un uomo che disse cose brutali su di lui il candidato vicepresidente e, quello che più conta, il suo potenziale erede politico: JD Vance — che aveva paragonato Trump a Hitler, lo aveva definito «eroina culturale», «molestatore sessuale seriale», idiota insensibile alle sofferenze della gente — potrebbe prolungare la stagione trumpiana dell’America fino all’inizio del 2037, ben oltre la fine del secondo mandato di The Donald (se, come probabile, verrà eletto) e, forse, anche oltre la fine della sua vita.
Normalmente nelle convention c’è un giorno nel quale il numero due del ticket presidenziale è la star assoluta. Lunedì, invece, l’investitura di Vance è stata oscurata dall’arrivo al Fiserv Forum del Trump ferito, accolto come un martire. Ma è lui, adesso, l’uomo del futuro: The Donald non ha scelto un vice che lo aiutasse a recuperare voti dalle donne, dagli afroamericani, dagli ispanici o dai moderati. Ha puntato su un giovane — 39 anni, primo millennial al vertice della politica Usa — di grande abilità dialettica, oggi l’interprete più determinato della linea Trump: populismo, tendenziale isolazionismo, abbandono dell’Ucraina al suo destino, lotta dura all’immigrazione clandestina, no all’aborto. Per certi versi Vance appare perfino più duro di Trump: ha dato pieno appoggio alla rivoluzione conservatrice del Project 2025 della Heritage Foundation, dicendo che tutti quelli con ruoli significativi nella macchina amministrativa delle Stato vanno cacciati e sostituiti con «our people», «i nostri». Eppure l’ex presidente ha preso (ma forse solo per esigenze tattiche) le distanze dal piano del think tank della destra radicale.
Avvocato uscito dall’accademia elitaria di Yale, militare nei marines, finanziere, narratore della misera esistenza dei forgotten men dell’Appalachia, senatore dell’Ohio, JD Vance è un personaggio brillante, ambizioso e dalle molte facce che si è fatto da solo, reagendo con tenacia alle disavventure di un’infanzia difficile. Un uomo che ha al suo fianco una moglie — Usha Chilukuri Vance, avvocatessa figlia di immigrati indiani — che lui stesso descrive come tostissima: ha lavorato per il presidente della Corte Suprema, John Roberts, e per il giudice ultraconservatore Brett Kavanaugh. «Mi incalza continuamente», racconta Vance, «riportandomi ai fatti e alla logica delle cose».
Sarà questa la coppia presidenziale del 2028? E resterà fedele al trumpismo? L’ex presidente dice di essersi convinto che «nessuno è più devoto di un convertito». Ma il processo non è stato breve né facile. Vance deve tutto al miliardario della tecnologia Peter Thiel del quale fu dipendente. Quando, tre anni fa, decise di candidarsi come senatore dell’Ohio, Thiel finanziò totalmente la sua campagna elettorale. Ma, soprattutto, lo portò da Trump, che ovviamente lo detestava, avviando la ricucitura. Un processo lungo e non facile: Trump ha superato gradualmente la diffidenza e poi si è invaghito degli occhi azzurri di Vance, del suo viso telegenico, di una retorica che funziona bene con gli elettori.
Ma l’ambizioso e magnetico Vance ha saputo fare di più che riconquistare Trump: ha fatto divenire suoi fan i figli del leader conservatore e il conduttore televisivo ultraconservatore Tucker Carlson, ascoltatissimo dall’ex presidente: ieri ha dichiarato che Trump lo ha scelto perché è l’unico che lo ama mentre tutti gli altri candidati considerati per la vicepresidenza lo odiano segretamente. E poi Vance ha portato dalla sua parte, oltre a Thiel, anche altri big della tecnologia, a partire da Elon Musk e dal finanziere David Sacks che ancora lunedì mattina hanno chiamato Trump per accertarsi che non ci fossero ripensamenti sulla scelta del senatore dell’Ohio.
Che sarà uomo di Trump, ma potrebbe anche risentire dell’influenza ideologica dei «capitalisti autoritari» alla Thiel. Il quale vede nel nazionalismo l’antidoto ai fallimenti della globalizzazione e giudica libertà e democrazia incompatibili: «È inevitabile che la politica interferisca nella vita dei cittadini senza il loro consenso».