Ragaini (Aipb): un patto tra generazioni per valorizzare la ricchezza delle famiglie
di Marco Sabella
Di aziende perdute è lastricata la storia moderna d’Italia. Tra le altre c’è Magneti Marelli, prodotti e sistemi ad alta tecnologia per l’industria automobilistica. Nata nel 1994 su radici poste nel 1891 dall’operaio-imprenditore Ercole Marelli, conosciuta in tutto il mondo, fu ceduta nel 2019 da Mike Manley, allora amministratore delegato di Fca, l’odierna Stellantis, presieduta da John Elkann. A comperarla fu la giapponese CK Holdings che fa capo a Kkr, lo stesso fondo americano in corsa per la rete di Tim.
Ne ripercorre la storia Ferruccio de Bertoli che sull’Economia del Corriere della Sera, in edicola lunedì gratis con il quotidiano, esprime un rammarico: avere perso un pezzo dell’industria italiana di qualità, senza percorrere strade alternative. E sottintende un auspicio: che non succeda ancora. Intanto si dibatte sulla sorte dei 229 addetti all’impianto Marelli di Crevalcore (Bologna), la cui chiusura è stata annunciata e poi sospesa. «Nell’immaginario collettivo — scrive de Bortoli — Marelli è ancora il cuore italiano dell’industria dell’auto». Ed «Ercole Marelli rimane saldo nell’immaginario della quotidianità milanese, se non altro perché dà il nome a una fermata della metropolitana rossa». La domanda è: ma su quest’azienda, che «ancora oggi è un’eccellenza mondiale», si potevano fare scelte diverse? De Bortoli ricorda il tentativo di Carlo Calenda, allora ministro dello Sviluppo, di frenare la cessione. E l’ipotesi Bombassei. «Rimase senza seguito la possibilità di valutare l’offerta alternativa di una cordata italiana che era possibile organizzare, con Cdp, intorno a Brembo».
Morale: «Se il gruppo bergamasco fosse stato coinvolto, si sarebbe potuto creare un grande gruppo della componentistica nazionale». Un’azienda che in Italia è invece cresciuta e rimasta è la Epta della famiglia Nocivelli, che con i sistemi di refrigerazione è arrivata l’anno scorso a 1,37 miliardi di ricavi, con 60 milioni di utile. La copertina di questa settimana è dedicata a Marco Nocivelli, presidente e amministratore delegato del gruppo. Che dice: «Le istituzioni diano fiducia alle imprese». E propone il modello industriale delle aggregazioni: «Può rivelarsi un vantaggio competitivo».
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La formula «l’unione fa la forza» è seguita anche da Casalasco, il consorzio italiano del pomodoro che ha, fra l’altro, i marchi Pomì e De Rica. Cresce per acquisizioni e il ceo, Costantino Vaia, non ha dubbi: «La filiera è un valore aggiunto per la crescita».Altro personaggio della settimana è Marco Schiavon, ceo del Caffè Borbone. Fondata e partecipata da Massimo Renda, la società ha per azionista anche la Italmobiliare di Carlo Pesenti. Va verso i 300 milioni di ricavi e spinge sul mercato americano.
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26 nov 2023
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