L’ultima chiamata di Zelensky, il caso dell’immunità a Trump America-Cina del 12 dicembre

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Martedì 12 dicembre 2023
L’ultima chiamata di Zelensky
editorialista di matteo castellucci

È il giorno di Zelensky alla Casa Bianca e al Congresso. Quello del presidente ucraino, arrivato in America ieri, è un ritorno: è la terza visita dall’inizio della guerra. La seconda è stata questo settembre, la prima poco più di un anno fa, con il discorso in Parlamento. L’atmosfera è cambiata, a causa dell’irrigidimento dei trumpiani che bloccano gli aiuti in un anticipo dell’isolazionismo che potrebbe tornare, anche quello, alla Casa Bianca, ma a gennaio 2025. Per questo, quella di Zelensky suona come un’ultima chiamata al più importante dei suoi alleati.

Sempre negli Stati Uniti, la Corte suprema si esprimerà sull’immunità a cui vorrebbe aggrapparsi Donald Trump nei processi. In tribunale la National Rifle Association, invece, si fa difendere dai progressisti. Gli aggiornamenti sul conflitto in Medio Oriente e i russi fuggiti dall’altra guerra (e dalla mobilitazione). Xi va in Vietnam con la moglie, ed è un segnale dell’importanza che riveste per lui quella missione. In Turchia, Erdogan prova di nuovo a liquidare — per via giudiziaria — un rivale, il sindaco di Ankara. E poi un esordio che emoziona un padre con una «legacy» ingombrante, i licenziamenti di un colosso dei giocattoli tradizionali e la sconfitta di Google a Fortnite, anzi contro la casa di videogames che lo produce. Buona lettura!

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1. Contatti segreti in Europa e i missili degli Houthi
editorialista
di guido olimpio

Fronte di Gaza. Gerusalemme ostenta fiducia: le operazioni a Gaza procedono come previsto, sarebbero ampie le perdite nei ranghi di Hamas e delle altre fazioni palestinesi.

imageFumo dopo un raid israeliano su Gaza (Epa)

  1. Tre i punti di pressione: Jabaliya, Shajaiye e Khan Younis, quest’ultima è la roccaforte nel sud della Striscia.
  2. Fonti ufficiali hanno confermato che almeno 13 soldati israeliani sono morti per fuoco amico durante i combattimenti. Una conseguenza delle posizioni ravvicinate, di un’area di conflitto composta da case e spazi ristretti. Il coordinamento tra le unità non è sufficiente ad evitare questo rischio.
  3. Indiscrezioni sui media parlano di contatti segreti in Europa tra funzionari del Qatar e inviati del Mossad: si lavora — tra smentite e distinguo — al rilascio di altri ostaggi. Sarebbero circa 137 i prigionieri ancora nelle mani dei guerriglieri ma non è escluso che alcuni di loro siano deceduti.

Gli Houthi mantengono le promesse minacciose. Nella giornata di ieri i guerriglieri sciiti yemeniti hanno colpito con un missile la petroliera norvegese Strinda. L’attacco è avvenuto vicino allo stretto di Bab el Mandeb, porta meridionale del Mar Rosso. Il movimento appoggiato dall’Iran aveva annunciato che avrebbe aperto il fuoco su qualsiasi unità in rotta verso Israele. La nave, partita da Singapore e diretta in Italia, avrebbe dovuto fare uno scalo nel porto di Ashdod.

2. Gilad Sharon: «I due Stati? Ora è impossibile»
editorialista
di Davide frattini
inviato a Tel Aviv

A destra come il padre Ariel — che gli arabi ritengono colpevole per i massacri commessi dai falangisti libanesi nel campo rifugiati palestinese di Sabra e Shatila a Beirut e una commissione israeliana «indirettamente» responsabile fino a spingerlo alle dimissioni da ministro della Difesa — in questi anni di vicinato con Hamas, la fattoria è a pochi chilometri da Gaza, Gilad Sharon si è spinto forse ancora più in là.

Ritiene la soluzione dei due Stati ormai inapplicabile — «nella Striscia abbiamo dato loro una nazione di fatto, l’hanno trasformata in una base per terroristi» — e sostiene che questo conflitto debba finire con una perdita territoriale: «Non puoi attaccare Israele in modo devastante e dopo riavere la stessa situazione. Almeno a Nord deve essere ritagliata una zona cuscinetto». Una posizione in totale contrasto con gli americani — Gilad riconosce il sostegno «enorme ed empatico» del presidente Joe Biden — che premono per ritornare ai negoziati di pace e ribadiscono di non poter accettare la cattura di territori palestinesi (l’intervista completa su Corriere.it).

3. Trump può avere l’immunità?
editorialista
di viviana mazza
corrispondente da New York

Il procuratore speciale Jack Smith e il dipartimento di Giustizia hanno chiesto ieri alla Corte Suprema di decidere rapidamente sull’istanza d’appello presentata da Donald Trump, che chiede di vedersi riconoscere l’immunità penale in quanto ex presidente nel caso federale per aver tentato di sovvertire l’esito del voto nel 2020. Il processo federale a Washington dovrebbe iniziare il 4 marzo e in passato gli esperti hanno detto che potrebbe essere l’unica delle quattro incriminazioni di cui potremmo vedere un verdetto prima delle elezioni del novembre 2024. Ma la data è a rischio: l’appello di Trump che potrebbe rallentarne l’inizio.

  • La Corte suprema ieri ha accettato di esaminare il caso, ordinando a Trump di rispondere alle argomentazioni presentate da Smith entro la prossima settimana.
  • Un verdetto della Corte suprema potrebbe porre fine al lungo dibattito sulla questione se i presidenti siano immuni da accuse relative ad azioni commesse durante il loro mandato alla Casa Bianca

imageLa Corte suprema a Washington (Afp)

I precedenti. Il dipartimento di Giustizia afferma che i presidenti non possono essere incriminati mentre sono in carica, perché «non si può permettere di minare in questo modo le capacità dell’esecutivo». La Corte suprema, con il verdetto Nixon v. Fitzgerald, ha affermato che gli ex presidenti non possono essere perseguibili in casi civili che riguardano azioni commesse come parte dei loro doveri ufficiali, anche se, separatamente, con il verdetto Clinton v. Jones, ha deciso che gli ex presidenti possono essere citati in casi civili per azioni commesse durante il loro mandato. Ma la Corte non si è espressa finora su un possibile processo penale contro un ex presidente.

Trump ha fatto ricorso alla corte d’Appello dopo che la giudice di Washington Tanya Chutkan — la stessa cui è stato assegnato il caso federale contro di lui per aver tentato di sovvertire l’esito del voto nel 2020 — ha negato l’immunità. Chutkan afferma che gli ex inquilini della Casa Bianca non hanno «il diritto divino dei re di evadere le responsabilità penali che si applicano ai loro concittadini». Altri giudici di corti federali e d’appello hanno sentenziato che i casi civili contro Trump per il presunto incitamento alla rivolta del 6 gennaio 2021 possono andare avanti, perché il tentativo di rovesciare l’esito del voto non fa parte dei compiti di un presidente (l’articolo completo su Corriere.it).

4. La NRA si fa difendere dai progressisti
editorialista
di Massimo Gaggi
da New York

La National Rifle Association (NRA), la lobby delle armi, organizzazione tra le più odiate dalla sinistra americana (forse battuta solo dal Ku Klux Klan) verrà difesa in tribunale dai progressisti della Lega per i Diritti civili? Detta così sembra una storia da “Scherzi a parte”, ma è proprio quello che sta succedendo nell’America del Primo Emendamento (quello che tutela l’assoluta libertà d’espressione) che non smette mai di alimentare sviluppi sorprendenti: dallo scontro sulla libertà di diffondere anche fake news nelle reti sociali a quello sulla citazione del genocidio degli ebrei negli slogan scanditi nei campus universitari.

imagePistole esposte in uno stand alla conferenza annuale della RNA, lo scorso aprile (Ap)

  • Il caso nasce nel 2018 dopo la strage di Parkland, in Florida: 17 persone uccise da un killer con armi da guerra. Maria Vullo, sovrintendente del dipartimento dei Servizi finanziari dello Stato di New York, invita banche e compagnie assicurative a rescindere i rapporti d’affari con la NRA, rea di aver minimizzato questo massacro (come anche tutti quelli precedenti) sostenendo che non dipende dall’enorme diffusione di micidiali armi semiautomatiche.
  • La lobby delle armi denuncia la Vullo per abuso di potere. La Corte d’Appello di New York dà torto alla NRA: riconosce che la funzionaria può aver interferito col diritto della lobby di esprimere liberamente i suoi giudizi, anche se sono cinici, ma aggiunge che un dipendente pubblico ha il diritto di denunciare questioni che ritiene possano avere un impatto negativo sui cittadini. La NRA decide di rivolgersi ai giudici costituzionali denunciando una violazione del suo diritto d’espressione garantito dal Primo Emendamento della Costituzione.
  • E quando la Corte Suprema accetta di esaminare il caso, William Brewer, uno dei legali dell’associazione, escogita una strategia temeraria ma non priva di logica che spiega così al New York Times: la NRA ha la bandiera del Secondo Emendamento della Costituzione, la libertà di armarsi, ma quella del Primo è nelle mani dell’ACLU, l’American Civil Liberty Union. Perché, allora, non farsi difendere da loro, visto che dichiarano di voler tutelare tutti, senza discriminazioni? La mossa temeraria ha funzionato: l’ACLU, accusata negli ultimi anni di difendere soprattutto le cause di libertà care alla sinistra, ha sempre rifiutato questa caratterizzazione.

Ora il caso NRA la mette alla prova. L’organizzazione per i diritti civili ha accettato una sfida difficile da spiegare ai suoi sostenitori progressisti. Certo, è indigesta la difesa di qualcuno che consideri il tuo nemico, ma l’ACLU non può discostarsi dal suo principio fondante: «Possiamo dissentire totalmente dalle tue idee, ma difenderemo fino alla morte il tuo diritto di esprimerle». La decisione dell’ACLU è stata molto criticata a sinistra e le polemiche continueranno per mesi, visto che la Corte suprema non affronterà il caso prima di marzo. Ma David Cole, avvocato dei diritti civili, spiega che non ci saranno ripensamenti perché, in caso di sconfitta davanti ai giudici, la mossa di Maria Vullo contro la NRA potrebbe essere ripetuta da tanti: un’authority del Texas contro gli immigrati o anche un Donald Trump desideroso di consumare vendette nei confronti di chi lo ha osteggiato.

5. La differenza di vedute tra Zelensky e gli alleati americani

imageIl Congresso americano (Afp)

(Guido Olimpio) Al centro del grande consulto tra il presidente Zelensky e gli americani ci sono due piani, concorrenti.

  1. Il Pentagono ha suggerito all’alleato di migliorare le proprie difese, stabilizzare le linee, riorganizzare le forze per diversi mesi. Una strategia per impedire che i russi guadagnino nuove porzioni di territorio.
  2. Nel frattempo, l’Occidente dovrebbe spedire altro materiale, sempre che riesca a superare ostacoli politici e tecnici. Kiev, invece, non ha rinunciato all’idea di nuove offensive, vuole dimostrare di essere ancora in grado di rilanciare la propria spinta nonostante le perdite. Ed avrebbe pensato a manovre più creative o agili.

Possibile che si arrivi ad una soluzione intermedia. La differenza di vedute tra Washington e l’Ucraina non è recente, gli Usa hanno spesso lasciato trapelare la contrarietà per alcune scelte della resistenza. In particolare, la scelta di lanciare in estate attacchi su fronti multipli invece di concentrarsi sul settore meridionale.

6. La freddezza di Francia e Germania sull’ingresso dell’Ucraina nell’Ue

(Matteo Castellucci) Nella settimana del Consiglio europeo chiamato a esprimersi sull’avvio della procedura di adesione dell’Ucraina all’Ue, un traguardo che potrebbe saltare per il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán, un sondaggio dello European Council on Foreign Relations (Ecfr) documenta le divisioni in sei Stati membri. Tra quelli della rilevazione ci sono due Paesi fondatori, Francia e Germania; la Danimarca che ha aderito all’Europa nel 1973, l’Austria (1995), Polonia e Romania, entrate negli allargamenti del 2004 e del 2007. In metà di questi, i cittadini intervistati sono contrari a un ingresso di Kiev nell’Unione ora.

Si osserva, fa notare l’Ecfr, una divaricazione nelle risposte tra i membri «storici» e quelli più recenti dell’Ue. In generale, considerando la media nei 6 Paesi, il 44 per cento di chi riscontra conseguenze negative nell’accesso ucraino è comunque a suo favore, mentre è contrario il 27 per cento. Tradotto: i timori, nei vari campi dell’indagine, non precludono un futuro europeo. Se Danimarca (50%) e Polonia (47%) fanno registrare i livelli più alti di consenso, è in Austria che si assiste alla maggiore ostilità: è contrario all’ingresso ucraino metà del campione (su Corriere.it l’articolo con tutti i grafici).

8. I ragazzi dell’ostello Putin

(Clara Valenzani) «Lunedì mi sono laureato, martedì sono fuggito». Anatolij ha accantonato la corona di alloro, infilato i suoi vestiti in una valigia e preso in fretta un volo di sola andata. Quella valigia si trova ora al Wanderlust Hostel Riverside di Almaty, Kazakistan, in un dormitorio misto da dieci persone in cui la sera fa caldo, ed entra anche qualche zanzara. Quando inizia a raccontare la sua storia Anatolij è in sala, su una poltroncina di velluto color antracite, il viso inaspettatamente sereno. «Da studente, non potevo essere reclutato. Per questo sono partito quando ho terminato la facoltà di informatica».

imageAdesivi contro Putin a Tbilisi, in Georgia, e il messaggio sulla porta di un ostello che dice «Siete i benvenuti se siete d’accordo che Putin è un criminale di guerra»

  • Il reclutamento di cui parla è la mobilitazione parziale indetta da Putin il 21 settembre 2022: tutti i cittadini tra i 18 e i 60 anni che hanno prestato servizio militare devono andare in Ucraina, a combattere.
  • Un decreto vago, che sommato allo scoppio della guerra ha generato il più grande esodo russo dai tempi della Rivoluzione d’Ottobre: da 200 mila a forse un milione di espatriati, solitamente sotto i 40 anni.

La maggior parte si è diretta nei Paesi russofoni dell’ex Urss, riempiendo gli ostelli per settimane, mesi: gli appartamenti costano troppo, o vengono chieste garanzie. Si è costretti a convivere con coinquilini che non si scelgono, a condividere le cucine, a bussare prima di entrare nei bagni (leggi le storie su Corriere.it).

9. L’Europa rischia di essere invasa dal fentanyl?
editorialista
di Francesca basso e viviana mazza
Europe Matters

Lo scorso mese siamo stati a San Francisco, per l’incontro tra Joe Biden e Xi Jinping. Abbiamo attraversato il centro di San Francisco, le strade occupate da senza fissa dimora, spesso con problemi di droga e, in particolare, di fentanyl. La sola San Francisco ha registrato 1.360 morti per overdose da fentanyl negli ultimi due anni: oltre il doppio del totale di morti per Covid nello stesso periodo. Il fentanyl sta suscitando preoccupazione anche nel nostro Continente, al punto che ce ne siamo occupati anche in un podcast di Corriere Daily.

  • Era il 7 luglio quando su Twitter la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson ha lanciato l’allarme: «È chiaro che i criminali stanno producendo fentanyl nell’Ue, anche se non ancora su larga scala come negli Stati Uniti — ha scritto —. Dobbiamo prepararci. Quest’anno la polizia lettone ha sequestrato 5 chili di fentanyl durante un raid».

In un discorso alla Convenzione europea dei capi di polizia, a fine settembre, Johansson è tornata sul tema, spiegando che «dobbiamo assicurarci che il presente dell’America non diventi il futuro dell’Europa». L’Ue è un produttore ed esportatore di droghe sintetiche. In un solo anno, nel 2021, le polizie europee hanno smantellato oltre 400 laboratori in cui si producevano soprattutto metanfetamine, ma anche fentanyl (continua a leggere Europe Matters).

Europe Matters, un doppio sguardo su come l’Europa e gli Stati Uniti siano legati oggi più che mai. Una sintesi di ciò che unisce le due sponde dell’Atlantico o che le allontana, con al centro l’Italia e le ricadute per il nostro Paese: per iscriversi basta cliccare qui.

10. I giochi di parole (e di potenza) di Xi in Vietnam
editorialista
di guido santevecchi

imageXi e signora Peng sbarcati ad Hanoi mano nella mano (Ap)

È arrivato con la moglie al fianco Xi Jinping, per la sua prima visita in Vietnam da sei anni. Da tempo il leader cinese viaggia poco all’estero e ancora di meno la signora Peng Liyuan. Lo sbarco in coppia segnala l’importanza che il segretario generale comunista dà a questa missione di due giorni nel Paese confinante, con il quale la Cina condivide l’ideologia nominalmente comunista ma aperta al capitalismo statale, il sistema del partito unico, grandi interessi commerciali e anche un lunghissimo rapporto di amore e odio (più rancore che affetto, per la verità).

Nella storia del Vietnam sono ancora scolpiti «i mille anni di occupazione nordista», che si riferiscono al dominio dell’impero cinese e ai tributi imposti da Pechino ai tempi delle dinastie Han e poi Ming. I «nghìn nam bac thuòc», questi «Mille anni di appartenenza al Nord» (la potenza cinese) sono terminati nel 1428, ma hanno lasciato una ruggine spesso rispolverata a fini politici anche ora (l’articolo completo su Corriere.it).

11. Erdogan contro il sindaco di Ankara, che si ricandida
editorialista
di monica ricci sargentini

imageMansur Yavas (Ap)

Ci risiamo. Non sono passate nemmeno due settimane da quando il sindaco di Ankara, Mansur Yavas, ha ufficialmente presentato la sua ricandidatura per le elezioni municipali del prossimo marzo che viene fuori un tentativo di spuntargli le armi per via giudiziaria. Il ministero della Giustizia, infatti, ha presentato istanza per annullare la decisione del tribunale del 2021 di non procedere su una denuncia di diffamazione nei confronti del primo cittadino della capitale turca. A dare la notizia è stato oggi il Financial Times.

Per l’opposizione è un «tentativo di colpo di Stato» che riecheggia la débacle subita dall’Akp di Recep Tayyip Erdogan nel 2019 ad Istanbul quando non accettò la sconfitta del suo candidato Binali Yildirim e fece ripetere le elezioni consacrando così per la seconda volta, ma con un distacco di dieci punti, Ekrem Imamoglu sindaco della megalopoli. Quest’ultimo, peraltro, è anche lui nel mirino dei giudici: nel 2022 è stato condannato in primo grado per «insulto a pubblico ufficiale» e sta affrontando una nuova accusa di corruzione.

Di sicuro è il segnale che a marzo 2024 Erdogan farà di tutto per riprendere il controllo di Istanbul e Ankara, riconquistate dall’opposizione nel 2019 dopo un quarto di secolo di dominio incontrastato dell’Akp. Non è questo l’unico caso ad impensierire gli alleati occidentali della Turchia, un Paese in cui, secondo un rapporto della Ue, «il pluralismo politico continua ad essere minato dagli attacchi ai partiti di opposizione».

12. L’ultima scommessa del «dottor Sultan»
editorialista
di Sara gandolfi
inviata a Dubai

imageIl presidente della Cop28 nonché ceo della compagnia petrolifera emiratina

Aveva promesso di chiudere i lavori della Conferenza il 12 dicembre alle 11 del mattino, per festeggiare l’ottavo compleanno dell’Accordo di Parigi, pietra miliare della lotta globale al cambiamento climatico. Ha ripetuto fino alla noia parole come «ambizione», «azione», «successo». Non ce l’ha fatta (per ora). Il dottor Sultan bin Ahmed Al Jaber, ministro dell’Industria e della Tecnologia Avanzata e Presidente della Cop28 — che di nome fa Sultan ma non è un sultano, quasi tutti noi giornalisti a Dubai siamo caduti in errore — è scomparso dai radar dei media, chiuso da ore con i negoziatori che vogliono migliorare, cambiare o addirittura stracciare la sua proposta di Dichiarazione finale.

Lunedì, il presidente del summit ha annullato una serie di conferenze stampa, prima e dopo l’uscita della bozza, per comparire nella sua immacolata kandura — la lunga veste bianca degli emiratini — solo brevemente davanti alle telecamere e ammettere «C’è ancora molto lavoro da fare». Al Jaber, l’«oilman» che si è improvvisato diplomatico con l’aiuto di una buona società di consulenza internazionale, per ora ha perso la scommessa. Ma non è detta l’ultima parola: i negoziati alle Cop riservano sorprese fino all’ultimo minuto e quelle due magiche parole — «phase out» — potrebbero rientrare in scena per dare una spallata ai chi vuole ancora pompare o consumare combustibili fossili (l’articolo completo su Corriere.it).

13. Cronache messicane/La vendetta del cartello

(Guido Olimpio) Tijuana, Messico. Un gruppo di agenti locali e statali ha cercato il grande colpo derubando un network criminale di un carico di droga. Pensavano di rivendere la merce incassando una buona quota. Ma hanno sbagliato i loro calcoli. Il cartello si è subito vendicato: prima una serie di sparatorie di avvertimento, poi l’uccisione di due poliziotti sospettati di aver partecipato al furto.

Secondo i media gli stupefacenti erano gestiti dal clan del Mayo Zambada, esponente storico di Sinaloa oggi in lotta con i figli del Chapo Guzman. A far da teatro una città violenta, con una media di 2 mila omicidi all’anno. Bilancio devastante provocato dalla faida per il controllo del mercato e la contesa sui corridoi che portano verso gli Stati Uniti. Lotta strategica spesso inasprita da questioni personali. E l’episodio che vi abbiamo raccontato è solo uno dei mille che insanguinano ogni giorno il Paese.

14. Google sconfitta a Fortnite (in tribunale)

(Massimo Gaggi) Prima, storica sconfitta nei tribunali per Google, accusata da più parti di violazione delle norme antitrust. Mentre l’imponente processo intentato dal ministero della Giustizia e da decine di Stati dell’Unione che accusano il gigante di californiano di gravi comportamenti anticompetitivi, va avanti da mesi e si concluderà, ormai, nel 2024, sono bastate quattro settimane al tribunale di San Francisco per arrivare, in un secondo procedimento, alla condanna di Google per abuso della sua posizione dominante di mercato nei confronti della società Epic Games e di altri sviluppatori: tutti costretti a pagare tariffe elevate per l’accesso alla piattaforma Play dell’ app store di Google.

  • Epic Games, che si considerava taglieggiata al momento di distribuire i suoi videogiochi, soprattutto Fortnite, attraverso le piattaforme Ios di Apple e Android di Google, aveva già trascinato due anni fa in tribunale la società fondata da Steve Jobs. Ma allora Apple venne assolta.

A differenza di quel procedimento, deciso da un giudice monocratico, stavolta a San Francisco Google è stata giudicata da una giuria di nove cittadini che, dopo sole tre ore di camera di consiglio, hanno unanimemente condannato il gruppo di Mountain View su tutti gli 11 capi d’imputazione. Ora toccherà al giudice distrettuale della California settentrionale, James Donato, stabilire le sanzioni, come l’abbattimento delle tariffe d’accesso alla piattaforma Google Play. Sanzioni che verranno formalizzate nei prossimi mesi e che sicuramente non avranno rapida attuazione, anche perché la società fondata da Larry Page e Sergey Brin ha già fatto ricorso in appello contro la sentenza.

15. La Hasbro licenzia 1.100 dipendenti

(Viviana Mazza) Il colosso americano dei giocattoli Hasbro ha annunciato 1.100 licenziamenti, in gran parte da effettuare nel corso dei prossimi sei mesi: un numero che ammonta a circa il 20 percento dei suoi impiegati. La mossa del produttore di Peppa Pig, Transformers e Monopoly, proprio durante la stagione critica delle vendite natalizie, arriva dopo una prima serie di 800 licenziamenti annunciata nei mesi scorsi per ridurre i costi di 300 milioni di dollari l’anno entro il 2025.

Come molte aziende del settore, Hasbro che nel 1952 rivoluzionò il mercato con il suo articolo d’esordio «Mr. Potato Head» (Signor Patata), sta assistendo a vendite inferiori rispetto al periodo della pandemia, quando molti genitori compravano giocattoli e giochi tradizionali per tenere impegnati i bambini chiusi in casa.

16. Il debutto di Bronny con il padre in tribuna

imageBronny in campo, con il numero 6, e sullo sfondo il padre (secondo da destra) che fa il tifo per lui (Getty)

(Viviana Mazza) Nel mio ultimo anno giocherò con mio figlio — ha detto LeBron James—. Ovunque sia Bronny, anch’io sarò lì. Farei qualunque cosa pur di giocare con mio figlio per un anno. Non è una questione di soldi, a quel punto». LeBron lo ha promesso nel 2022, quando Bronny stava scegliendo l’università dove giocare a basket. E se c’erano dubbi, semmai, erano legati alla capacità del padre di continuare a giocare al livello più alto dopo i 39 anni.

  • Ma la scorsa estate, il figlio diciannovenne, uno dei giovani cestisti più promettenti e ricercati da tutti i college d’America, è stato colpito da un arresto cardiaco mentre si allenava con la sua squadra alla University of Southern California (USC), mettendo a repentaglio la sua vita e il suo futuro. Tutto esaurito domenica al Galen Center di Los Angeles: diecimila posti pieni di fan, giunti per vedere il debutto di Bronny, con il padre in tribuna.

Domenica il più grande giocatore di basket della sua generazione (e per alcuni il più grande di tutti i tempi) era seduto negli spalti come un papà normale, che non può far nulla per influenzare l’esito del gioco. Se la partita dei Lakers e il debutto di suo figlio fossero capitati nello stesso giorno, aveva avvertito che avrebbe rinunciato a giocare pur di andare a vederlo (l’articolo completo su Corriere.it).

17. Scapoli (e pensioni) d’oro
editorialista
di Irene soave

image(Abc)

Che cosa ci sarà di attraente negli ultrasessantenni che sulla tv americana Abc cercano l’amore in The Golden Bachelor? Non sono vecchi, fuori moda, datati, lontani dagli standard di bellezza della gioventù? Cos’hanno di attraente? Prendiamo Gerry, per esempio: 72 anni, conteso tra 22 donne sopra i 60, porta l’apparecchio acustico in bella mostra e alla fine sposerà, a gennaio, una sua quasi coetanea di nome Theresa che lo ha conquistato presentandosi in una tutina color carne in cui sembrava nuda.

Ha l’aria giovanilissima, come tutte le sue pretendenti; la sua corsa verso l’accasarsi l’hanno guardata 7 milioni di americani, più di metà dei quali under 65. Cosa ci troveranno? Risposta: i Golden Bachelors sono benestanti, hanno stipendi o pensioni da baby-boomer, le tutele sociali di quando li hanno assunti e tutto l’agio e la rilassatezza che ne deriva; stanno per smettere di lavorare, campano benissimo e comunque meglio dei trentenni, con cui non farebbero a cambio. Anche l’amore, così, è più facile da trovare.

Grazie per averci letto anche oggi! America-Cina torna domani. Ciao!


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