Le mire della Cina su Taiwan passano anche dalla partita globale dei chip (e dal colosso Tsmc)
Qualcuno la chiama da tempo la «guerra dei chip», e non è soltanto una metafora. L’epicentro è Taiwan, nel mirino della Cina per le sue ambizioni di potenza, per l’eterno ritorno della Storia, ma anche per la sua manifattura ad altissimo valore aggiunto nella tecnologia dei semiconduttori. Proprio sull’isola accerchiata da Pechino (e protetta dagli americani che hanno appena approvato un pacchetto di aiuti militari in tecnologie di comunicazione) si concentrano le fonderie che producono conto-terzi chip disegnati altrove. La leader mondiale è la locale TSMC. Sui microchip da almeno quattro anni si sta conducendo una battaglia senza precedenti. Inizialmente amplificata dalla pandemia e dal progresso tecnologico trainato dal 5G che si serve di chip per gli apparati di telecomunicazioni. La carenza di semiconduttori aveva per questo portato all’Ai Act con una dotazione in Europa di circa 45 miliardi complessivi.
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La domanda decolla
D’altronde nel 2020 eravamo di fronte allo «shortage» nell’offerta di semiconduttori con dimensioni rilevanti da «incartare» l’industria dell’auto che si serve dell’elettronica e della sua componentistica. Che arriva a pesare oltre il 30% del costo del veicolo e il cui valore è destinato a salire sulla spinta degli investimenti per l’auto a guida autonoma e per i veicoli elettrici. Non tutti sanno che le auto elettriche richiedono microchip di alto livello anche per un fattore di sicurezza: un errore mentre si è alla guida sarebbe un disastro e un difetto di fabbrica replicato porterebbe a costosi richiami di milione di pezzi. Ma questi micro-cervelloni fanno girare ormai tutti i dispositivi. Con il boom dell’intelligenza artificiale generativa, che allena gli algoritmi con operazioni da miliardi di miliardi di dati al secondo, la domanda sta esplodendo e dunque Taiwan (e TSMC) sono ormai diventati il centro del mondo. Dove geopolitica ed economia s’intrecciano come forse mai nella Storia, dove il crinale di uno scontro aperto tra le due Superpotenze globali, Cina e Stati Uniti, rischia di deflagrare irrimediabilmente.
Il termometro di salute
Non è un caso che Intel e Microsoft stiano puntando sul nuovo mercato per l’intelligenza artificiale. Non vogliono lasciare spazio all’americana Nvidia (che sta macinando utili da capogiro e clamorosi rialzi in Borsa). Ma sono anche i numeri di TSMC a dare il polso della situazione. L’azienda stima che nel 2024 i suoi ricavi saliranno più del 20% rispetto al 2023. Siccome è il maggiore produttore di chip per conto terzi (al 30 settembre 2023 vantava il 59% di market share) - tra i clienti troviamo Apple, Amd o la stessa Nvidia - l’andamento delle vendite di Taiwan Semiconductor Manufacturing Company è da considerarsi un termometro del comparto. Le sue performance sono prese in considerazione (anche) per cogliere andamento generale del settore.
La mossa del Giappone
Qualche giorno fa ha inaugurato la prima fabbrica di semiconduttori in Giappone, tramite la sussidiaria Japan Advanced Semiconductor Manufacturing (JASM) di cui detiene il controllo di maggioranza. La casa taiwanese ha scelto la prefettura di Kumamoto per mettere piede in terra nipponica, dove il governo - al pari di Europa e Stati Uniti - vuole incrementare la produzione locale di chip a suon di sussidi. Il Giappone ha stanziato oltre 3,2 miliardi di dollari per la prima Fab e intende mettere altri 4,8 miliardi per l'espansione di TSMC nel Paese. «I governi di tutto il mondo competono ferocemente investendo grandi quantità di denaro in modo da potersi garantire una fornitura interna di chip. Investire questa quantità di denaro è necessario per favorire l'ulteriore sviluppo delle industrie e la sicurezza economica del Giappone», ha dichiarato il ministro giapponese dell’Economia Ken Saito confermando quello che sta avvenendo a livello globale.
Il pasticcio Intel
L’Italia invece ha perso Intel lo scorso anno. L’investimento da 4,5 miliardi che avrebbe dovuto portare alla nascita di una nuova fabbrica in Italia era sfumato, complici i litigi tra Veneto e Piemonte per aggiudicarsi il progetto, è sfumato con il colosso Usa che ha preferito dirottare in Germania le risorse anche sfruttando le risorse della Ue. Ora stiamo provando a recuperare con un’operazione di investimento in Sicilia, vicino Catania, dove già c’è una valley del chip che ruota intorno alla fabbrica StMicro Electronics, la joint-venture paritetica tra Italia e Francia (nel capitale c’è la nostra Cassa Depositi e Prestiti, dunque in emanazione del ministero del Tesoro). A fine 2023 è stato confermato, durante degli incontri sindacali, che St vuole assumere «700 ingegneri per un nuovo impianto dedicato alla produzione di substrati epitassiali di carburo di silicio (SiC), finalizzati a consentire il passaggio all’elettrificazione e a una maggiore efficienza nel settore automotive e industriale».
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