Sam Altman e l'obiettivo «7mila miliardi» per creare una nuova intelligenza artificiale. Ma confessa: «Non dormo per la paura»
In questo articolo, pubblicato sulla Rassegna del Corriere della Sera, si raccontano dei piani di Sam Altman, fondatore di Open AI e creatore di ChatGpt, per lo sviluppo di un'intelligenza artificiale generale. Lo stesso Altman ha dichiarato a Dubai, durante il World Governments Summit, come sia fondamentale ormai «definire insieme un quadro di regole e le migliori applicazioni possibili per i servizi di AI». Ed è importante perché ad oggi c'è un «vacuum. E credo che, a un certo punto il mondo dovrà testare tutti i diversi processi regolamentari e dovranno esser i governi, collaborando, a dover definire le regole più adeguate». Alla domanda su cosa gli impedisca di dormire la notte, lui risponde: «I vari scenari negativi e da fitction» delle possibili conseguenze dell'AI, qualora il suo sviluppo procedesse in ordine anarchico. L'Unione europea si presenta come leader delle sperimentazioni di nuove legislazioni. E proprio oggi, 13 febbraio, le commissioni per il Mercato Interno e Libertà Civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo hanno approvato il testo dell'AI Act, che verrà sottoposto al voto della plenaria ad aprile. Qui potete leggerlo.
Da 5 a 7mila miliardi di dollari. Ossia, a spanne, da due volte e mezzo a tre volte e mezzo l’intero Pil italiano. È quanto, secondo il Wall Street Journal, Sam Altman, 38enne patron di OpenAI — l’azienda che ha partorito il programma di intelligenza artificiale generativa ChatGpt — vuole raccogliere per portare l’industria mondiale dei semiconduttori al livello richiesto dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale che lo stesso Altman ha in mente. Ossia quello dell’Intelligenza artificiale generale (AGI). Concetto pomposo, ambizioso, ma anche un po’ nebuloso, come ha spiegato Michela Rovelli su Login.
«Non c’è, ad oggi, una vera definizione di intelligenza artificiale generale. È più un concetto teorico che pratico. Secondo Open AI, l’acronimo AGI sta a intendere un sistema automatizzato che possa svolgere compiti di valore molto meglio degli esseri umani. (...) A parlare per primo di intelligenza artificiale generale è stato nel 1997 Mark Gubrud, fisico e professore dell’università della Carolina del Nord. Poi nel 2022 è stato reintrodotto da due imprenditori che investono sull’AI, Shane Legg e Ben Goertzel. Si intende con questo termine una intelligenza artificiale che possa essere in grado di elaborare le informazioni come un cervello umano, o addirittura superarne le capacità. Può svolgere gli stessi compiti — con la stessa qualità — e può imparare a fare qualsiasi cosa che un umano può fare. Può comprendere contesti ed emozioni, adattarsi a nuove situazioni e ambienti. Per creare una tecnologia di questo tipo serve un tipo di apprendimento che sia “aperto” e continuo. Proprio come succede a un bambino, che poi continua a imparare da ragazzo e anche da adulto. Non esiste, al momento, un sistema di intelligenza artificiale di questo tipo. Questo concetto è piuttosto l’ambizione verso cui tendono i più sofisticati centri di ricerca».
La «raccolta fondi» di Altman
Quanto però ci credano, a OpenAI, l’aveva ricordato Massimo Gaggi nel suo ritratto di Altman, proclamato persona dell’anno da L’Economia del Corriere: «Steven Levy, ammesso per qualche mese nel team dei suoi scienziati, racconterà su Wired che quello della società di Altman, se non è un culto, ci si avvicina molto: “Nessuno può sentirsi a suo agio lavorando qui se non crede che l’AGI stia per arrivare e che quello sarà uno dei momenti chiave della storia dell’umanità”». Per salvare l’umanità grazie all’intelligenza artificiale, il prerequisito è una colossale capacità di calcolo. E, quindi, di chip del tipo più avanzato. Di qui il ciclopico progetto di «raccolta fondi» di Altman, che avrebbe già preso contatti con il patron di SoftBank, Masayoshi Son, e con il più grande dei fondi sovrani di Abu Dhabi, Adia.
Oppure sono «manie di grandezza»?
La sfida lanciata da Altman è talmente spropositata, anche per i parametri non propriamente modesti della Silicon Valley, da far titolare in prima pagina, al quotidiano economico francese Les Echos, «Le folli ambizioni del capo di OpenAI» e da spingere Jean-Marc Vittori ad aggiungervi un editoriale sulle «neo-manie di grandezza». «Ciò può sembrare delirante — scrive Vittori —. Anche la fabbrica di chip più costosa del mondo oggi vale “solo” 30 miliardi di dollari. Ma per addestrare e sviluppare l’intelligenza artificiale su larga scala, come sogna il capo dell’azienda OpenAI che ha lanciato ChatGPT con incredibile successo quindici mesi fa, ci vorranno decine di fabbriche di chip, centri dati giganteschi, numerose centrali elettriche per alimentare milioni di computer» (su quest’ultimo punto, qui un approfondimento di Corriere Economia).
Che cosa cambierà per l'energia
Del resto, il passaggio a un altro ordine di grandezza degli investimenti non è, spiega Vittori, un’esclusiva del settore dell’AI: «Anche nell’energia dovremo cambiare scala. Per passare con successo alle fonti rinnovabili sarà necessario investire 4.500 miliardi di dollari all’anno a partire dall’inizio degli anni ’30 rispetto a meno di 2.000 miliardi di oggi, ci dice l’Agenzia internazionale per l’energia. Il bando di gara globale lanciato dalla francese TotalEnergies per la fornitura di idrogeno verde fornisce un piccolo esempio della portata della sfida. La compagnia petrolifera francese vuole trovarne 500.000 tonnellate all’anno… mentre il più grande elettrolizzatore in costruzione in Francia al momento ne produrrà solo 30.000 tonnellate».
Il problema della produzione di chip
Il Wall Street Journal, facendo sfoggio di anglosassone understatement, ha parlato di «ostacoli significativi» nella strada tracciata da Altman (7 mila miliardi di dollari sono più della capitalizzazione di Apple e Microsoft messe assieme e pari al 7% del Pil mondiale del 2023). E Les Echos sottolinea che Altman «prevede di destinare al settore dei chip elettronici da cinque a sette volte più denaro di quanto è stato investito negli ultimi dieci anni, ovvero “solo” 943 miliardi di dollari secondo la società IC Insight. Ha senso una simile accelerazione? L’osservazione del mercato dei semiconduttori fornisce a Sam Altman argomenti per difendere la sua causa. Le proporzioni non hanno nulla a che vedere con quelle sopra, ma già da diversi anni i campioni della produzione di chip hanno aumentato considerevolmente i loro investimenti. Nel 2023 la spesa per nuove fabbriche è stata quasi tre volte superiore rispetto al 2013».
E il problema degli investimenti finanziari
Resta, però, il fatto che, al momento, i conti sono molto lontani dal tornare: «A memoria d’investitore, gli importi menzionati da Sam Altman sono del tutto senza precedenti. La capitalizzazione di mercato di Nvidia (gigante Usa dei chip avanzati, ndr) — oltre 1.720 miliardi di dollari — ma anche l’esplosione negli ultimi giorni del prezzo delle azioni del designer britannico di chip Arm grazie alla domanda di intelligenza artificiale, dimostrano che gli investitori hanno il dito sul grilletto per finanziare queste nuove tecnologie. Ma sui mercati, nel 2023, le società americane hanno accumulato un totale di 1.440 miliardi di dollari, secondo la Securities Industry and Financial Markets Association. Al massimo negli ultimi anni, il mercato ha fornito 2.275 miliardi di dollari di (nel 2020)». E anche se alcuni fondi d’investimento hanno un’indubbia predilezione per il settore tecnologico e dell’AI, la logica di fondo rimane quella di non mettere tutte le uova in un unico paniere, ossia diversificare gli investimenti. «Come i fondi sovrani, i gestori di fondi non mobiliteranno tutte le loro capacità solo per quel che pensa il capo di OpenAI», conclude Les Echos.
Mancano i lavoratori qualificati
Un altro degli «ostacoli significativi» è la penuria di lavoratori qualificati, che è già oggi un collo di bottiglia che provoca ritardi nelle forniture e che non potrà essere cancellato dalla sera alla mattina. Si potrebbe forse già dare la partita per persa. Non fosse che, come ricorda ancora Vittori, «cinque anni fa, Apple sembrava sfidare la gravità del mercato azionario superando per la prima volta il traguardo dei 1.000 miliardi di dollari di capitalizzazione. Oggi sfiora i 3.000 miliardi e altre sei imprese valgono più di 1.000 miliardi. Anche i bilanci delle principali banche centrali ammontano a migliaia di miliardi. Un secolo e mezzo fa, Karl Marx teorizzò l’“accumulazione originaria del capitale” che permise di finanziare la rivoluzione industriale. Nel prossimo decennio, le rivoluzioni digitale ed energetica richiederanno ancora una volta quantità colossali di denaro, ulteriormente aumentate dalle rotture geopolitiche e demografiche. Anche la distribuzione degli sforzi costituirà una sfida politica colossale».
Altman vincerà la sua sfida?
L’ultima domanda, ma non per importanza, a questo punto è: c’è da augurarsi che, nonostante gli sfavori del pronostico, Altman vinca la sua sfida? Da un lato, gli Stati Uniti (e anche l’Unione europea) hanno lanciato un corposo piano di aiuti per nuove fabbriche di semiconduttori sul suolo americano, che mettano al riparo dalla possibile vulnerabilità, nei confronti della Cina, del colosso taiwanese di semiconduttori Tsmc e Altman sembra voler spingere nella stessa direzione. Dall’altro lato, come ricordava Gaggi, «Altman è apparso a lungo una figura rassicurante: dopo il gesto rivoluzionario di mettere un’intelligenza artificiale a disposizione di tutti, gratuitamente, si è, infatti, affannato per mesi ad avvertire parlamenti e governi di tutto il mondo che la nuova tecnologia sviluppata dalla sua impresa, OpenAI, renderà possibili progressi straordinari in tutti i campi, dalla medicina all’industria, ma comporta anche grossi rischi». Compreso quello, forse non propriamente trascurabile, della distruzione dell’umanità.
Che cosa dovranno fare governi e parlamenti
Il che spinge Derek Perrotte di Les Echos a intingere la penna nel veleno: «Cosa volete, Sam Altman non può permettersi di pensare in piccolo, ha un mondo da salvare. Il nostro, che difficilmente ispira fiducia a questo ipocondriaco survivalista e che lui vuole curare con l’avvento dell’“intelligenza artificiale generale al servizio dell’umanità”. La grande macchina e pochi grandi cervelli farebbero funzionare senza intoppi il pianeta, sul quale tutti beneficerebbero di un reddito universale garantito per occupare il proprio bellissimo tempo libero. Certo, ammette il rischio che l’intelligenza artificiale finisca per causare l’estinzione della razza umana. Ma chi non tenta nulla non ottiene nulla, giusto? (...) OpenAI dice di aver avuto “discussioni produttive” iniziali con potenziali investitori, in particolare in Medio Oriente, e “continuerà a tenere informato il governo degli Stati Uniti”. Grazie Joe, ma fatti da parte, mi occuperò io di tutto». Ecco, il meno che si possa dire è che, almeno stavolta, parlamenti e governi farebbero meglio a non farsi mettere da parte o trascinare a rimorchio dal geniale visionario di turno convinto di sapere cosa sia meglio per tutti.
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