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di Francesco Bertolino
«Prova con ChatGpt!». Quante volte, negli ultimi mesi, abbiamo risposto così – un po’ scherzando un po’ no - all’amico o al collega alle prese con un nuovo compito o con una domanda complessa. Da qualche tempo i chatbot di AI (Artificial Intelligence) sono, infatti, “usciti” dal circolo ristretto degli addetti ai lavori e sono diventati di uso comune.
di Francesco Bertolino
Come spesso accade nelle prime fasi di utilizzo, non sempre si sa come muoversi, a partire dalla scelta tra i tool a disposizione. «I chatbot di AI “generative” funzionano tutti secondo lo stesso meccanismo – spiega Gabriele Senatore, growth expert – partendo da un insieme di input, sono capaci di ricombinarli con dati pregressi in maniera verosimilmente originale e produrre una risposta “nuova”. Ciò che cambia, dunque, non è il procedimento ma la tipologia di dati con cui il singolo tool è stato “nutrito”».
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In particolare ChatGpt, che è attualmente disponibile sia nella versione gratuita che in quella a pagamento, e Bard, sviluppato da Google, sono dei modelli generalisti, che possono potenzialmente rispondere a tutto, ma non conoscono davvero i dettagli di molte tematiche.«Le funzionalità migliori in termini di accuratezza si riscontrano in modelli più specializzati in specifiche attività. Così, per esempio, Co-Pilot è esperto di codice informatico, Copy.ai simula un autore di testi di qualsiasi tipo e Midjourney genera immagini». Dunque, se si vuole una risposta semplice andrà bene qualsiasi tool, ma se si vuole un’indicazione accurata in un ambito preciso conviene scegliere uno strumento specializzato.
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Una volta scelto il chatbot in funzione dell’obiettivo, occorre formulare il prompt (o input) iniziale in modo corretto. «Questo prompt deve essere pensato e strutturato con estrema attenzione, perché ogni informazione lasciata sottintesa potrebbe non esserlo per l’AI». Per essere certi di ottenere un output utile, conviene organizzare il prompt considerando quattro elementi. «Bisogna partire dal ruolo: chi deve “fingere di essere” l’AI? Questo serve al modello per tarare il tono della sua risposta, che può essere creativo, analitico, informativo». Quindi si tratta di descrivere il contesto, comprese le cose più ovvie, poiché non sempre ciò che è ovvio per noi lo è per l’AI.
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Altrettanto importante è dichiarare con chiarezza l’obiettivo, vale a dire ciò che si vuole ottenere/sapere. Un esempio? «Voglio sapere chi ha vinto lo scudetto di calcio in Italia nel 1998” è un obiettivo chiaro e semplice, al quale l’AI può rispondere. Per contro “Fammi imparare l’algebra” è un obiettivo irrealizzabile perché richiede all’AI una conoscenza della nostra persona senza alcun contesto». Una volta dichiarati contesto e obiettivo, serve una modalità preferenziale. Per esempio quando si chiede una previsione rispetto al campionato di calcio in corso, si potrà suggerire “controlla i siti di scommesse”, oppure “indicami la quotazione migliore”. «In caso contrario l’AI riporterà la modalità di raggiungimento dell’obiettivo più probabile. Sceglierà, cioè, il metodo che secondo la sua rete neurale è il nostro preferito, indipendentemente dal fatto che sia giusto».
A fronte della progressiva diffusione di questi strumenti, le maggiori aziende fornitrici di software hanno provveduto (o lo stanno facendo) a sviluppare integrazioni facoltative di AI generative. «Nell’arco dei prossimi mesi assisteremo alla diffusione di intelligenze artificiali in molte delle applicazioni informatiche che usiamo quotidianamente, nella forma di plugin aggiuntivi, assistenti virtuali e così via». Insomma, nel prossimo futuro l’Ai sarà integrata direttamente nei programmi che utilizziamo per realizzare una presentazione, girare un video o, semplicemente, scrivere un documento
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