La vera vittoria di Trump | Oriente Occidente, di Federico Rampini
La vera vittoria di Donald Trump non è avvenuta nel dibattito televisivo di ieri sera, dove la sua performance è stata più efficace solo per la manifesta incapacità del suo avversario. Il suo successo autentico è condensato nello stato di choc del Partito democratico all’indomani. La costernazione è stupefacente, è una notizia in sé.
Tutti sapevano in che stato si trova Joe Biden, il problema del suo invecchiamento è all’ordine del giorno da molti mesi se non da anni. Com’è possibile che i democratici si siano «svegliati» solo ora? Come hanno potuto sperare fino all’ultimo che Biden se la cavasse? È solo indagando in questo apparente mistero, che si scopre la vera natura della vittoria di Trump.
Il candidato repubblicano, per le sue caratteristiche molto peculiari e spesso ripugnanti, ha contribuito a far sì che l’establishment democratico e le élite di cui si attornia si siano isolate in una «bolla» autoreferenziale. Ossessionate da Trump, convinte che sia il demonio stesso, un criminale impresentabile nonché un aspirante dittatore fascista, queste élite si sono illuse che bastasse fare una campagna contro il diavolo, contro il delinquente, contro il «Mussolini in pectore». La «bolla» ha creduto che bastasse agitare un milione di volte lo spettro del 6 gennaio 2021 per mobilitare una maggioranza in difesa della democrazia. La «bolla» si è rifiutata di capire le ragioni profonde, legittime e perfino sacrosante, che continuano ad allontanare buona parte del popolo americano – tante classi lavoratrici, incluse le minoranze etniche – dalle politiche e dal modello di valori del partito democratico.
I problemi di Biden venivano riconosciuti – se ne parla da tempo anche a sinistra – ma sempre come un aspetto secondario e quasi marginale rispetto alla mostruosità di Trump. Alla peggio - pensavano - , per liquidare quest’ultima ci sarebbe sempre stato qualche giudice volonteroso, se proprio gli elettori sono una massa d’inguaribili imbecilli che non vogliono aprire gli occhi davanti alla verità.
Il vero trionfo di Trump, a prescindere da come andranno alla fine le elezioni del 5 novembre (la strada è ancora lunga, tutto può accadere, non precipitiamoci a «insediarlo» presidente con quattro mesi di anticipo) è nella sua capacità di accecare i suoi avversari. Trump è il torero che sventola il drappo rosso, costringendo il toro ad attaccare a testa bassa.
Provo a riassumere come i democratici si sono cacciati in questo pasticcio.
Primo, quei dem che hanno maggiore visibilità (perché governano sulle due coste, perché controllano i social media e grandi tv e giornali, perché dominano a Hollywood e in altri potentati della cultura di massa, perché hanno fiumi di denaro da Wall Street e da BigTech) hanno ignorato un vasto rigetto popolare verso gli aspetti più radicali e controversi della loro proposta politica: le frontiere aperte all’immigrazione clandestina; un ambientalismo apocalittico che ha in odio l’economia di mercato e la crescita; un anti-razzismo che si è rovesciato in forme di razzismo contro i bianchi nelle dottrine woke insegnate in tante scuole e università; un’agenda Lgbtq+ promossa in modo arrogante e sprezzante verso chi ancora segue modelli di vita e di famiglia tradizionali.
Tutto questo descrive solo l’ala più radicale del partito di Biden, che ha ancora un vasto centro moderato. Ma poiché gli estremisti avevano una visibilità e un’influenza preponderante nella «bolla» e nei media, il partito democratico nel 2020 ha rischiato seriamente di presentare uno di loro come candidato. Finché gli elettori moderato-conservatori della base afroamericana hanno ripescato nelle primarie del 2020 il vecchio Biden. Il quale allora salvò il suo partito dalla deriva - cosa di cui l’establishment gli fu sommamente riconoscente. Per placare l’ala sinistra Biden fece un gesto «identitario», si scelse come vice Kamala Harris i cui unici meriti, secondo i suoi critici, sono di essere donna e di colore.
Ora i nodi vengono al pettine. Qualcuno dovrebbe convincere Biden a farsi da parte. Ma questo qualcuno non può essere associato alle fazioni che Biden sconfisse nel 2020, perché sono perfino meno credibili di lui.
Poi andrebbe risolto il problema Harris. Lei si considera l’erede legittima al trono. Per quanto difficile da immaginare, è ancora meno popolare del presidente stesso. Anche lei quindi andrebbe «spinta» da parte, ma chi dovesse prendersi questa responsabilità sarebbe esposto al processo «identitario»: come osa far fuori una donna di colore. Infine, quand’anche si trovassero i notabili di partito capaci di mettere a segno le due prime operazioni, con l’allontanamento forzato di Joe e Kamala, resterebbe aperto il problema di recuperare voti fuggiti a destra perché spaventati da certe derive estremiste dei dem. Tutto questo andava fatto negli ultimi due anni, gestendo delle vere primarie aperte, un dibattito serio e senza tabù tra le varie correnti del partito. Se non è accaduto in questi anni, c’è una ragione, e anche più d’una. Era più facile continuare a demonizzare Trump, o a trascinarlo da un tribunale all’altro, che cercar di capire come questo losco personaggio possa rappresentare il «meno peggio», per quasi mezza America.
28 giugno 2024, 13:11 - modifica il 28 giugno 2024 | 13:26
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