Nomadi digitali, lavorare all’estero conviene? Ecco i paesi con le tasse più basse

Nomadi digitali, lavorare all'estero conviene? Ecco i paesi con le tasse più basse Nomadi digitali, lavorare all’estero conviene? Ecco i paesi con le tasse più basse

Sono oltre 35 milioni in tutto il mondo e si stima che possano cresceranno ancora. Parliamo dei nomadi digitali, ovvero di persone che hanno scelto di lavorare — e vivere — viaggiando. Una community sempre più nutrita specialmente nel post pandemia e che progressivamente si sta ampliando anche in Italia: il 93% professionisti italiani, infatti, darebbe una chance a un’esperienza lavorativa da remoto per un’azienda estera (Fonte GiGroup). Il quadro normativo per i nomadi digitali, però, non è ancora definito, tanto a livello italiano quanto a livello europeo, soprattutto da un punto di vista fiscale.

Le leggi per i nomadi digitali

«In Italia la figura giuridica del “nomade digitale” è stata inserita nel Decreto Sostegni-ter, che regola principalmente i casi di lavoratori stranieri che scelgono l’Italia per lavorare con aziende straniere, agevolandone gli adempimenti burocratici come permesso di soggiorno e nulla osta al lavoro — commenta Antonino Rindone, ceo di Quickfisco —. C’è ancora molto da fare, invece, per i cittadini italiani che scelgono di passare fuori confine tutto o buona parte del proprio tempo, lavorando con aziende italiane o estere: qui si aprono problematiche principalmente previdenziali e fiscali, relative alla doppia imposizione (quindi, dove pagare le tasse e dove versare i contributi)».

Dove lavorare? Gli aspetti da valutare

Vediamo in dettaglio. Il primo aspetto da considerare è il Paese da cui lavorare. Tra le variabili da tenere presenti, oltre a quelle legate a clima e cultura del posto, vi sono: connessione internet e visto. Se l’obiettivo è vivere a lungo in un nuovo Stato, allora converrebbe scegliere nazioni come il Portogallo e Antigua, in cui il visto dura fino a 2 anni. Anche l’Italia ha introdotto una normativa dedicata all’attrazione dei talenti dall’estero, in particolare dalle nazioni extra Ue: con il visto per nomadi digitali è possibile ottenere un permesso di soggiorno in Italia semplificato fino a un anno.

Le tasse: dove conviene?

Se guadiamo l’aspetto fiscale, invece, le variabili in gioco sono diverse. Tra le destinazioni che offrono le condizioni migliori ci sono: Andorra (con un’aliquota massima dell’imposta sul reddito pari solo al 10%) e Malta, ma anche Irlanda ed Estonia (che si distingue per un sistema fiscale societario unico, in cui gli utili societari non vengono tassati finché non vengono distribuiti).

La residenza fiscale

Guardando all’Italia, se i nomadi digitali mantengono la residenza fiscale nel Paese, guadagni e redditi vengono tassati come qualunque cittadino italiano, indipendentemente dal fatto che l’attività sia svolta all’estero. Parallelamente, anche il Paese estero in cui si lavora potrebbe tassare il reddito o il guadagno percepito, determinando una doppia imposizione fiscale. Dunque, come comportarsi? «Per chi è dipendente da aziende pubbliche e private, nel caso in cui si concordi con il datore di lavoro il trasferimento definitivo in remoto, è necessario comunicare il nuovo indirizzo di residenza all’azienda, per poter effettuare i versamenti corretti. Oltre a questo — spiega Tirri — le imprese più all’avanguardia stanno integrando anche opportunità di flessibilità lavorativa e di carriera come la possibilità di mobilità internazionale che può consentire di spostarsi tra le sedi dell’azienda, in alcuni casi distribuite in tutto il mondo, sfruttando anche le opportunità degli spazi di coworking».

Lavoratori italiani e aziende estere

Per quanto riguarda la collaborazione tra lavoratori italiani e aziende estere, inoltre, bisogna considerare ulteriori implicazioni. In particolare, nel caso di un dipendente che lavori dall’Italia in remote working per un’azienda estera che non ha sede in Italia, l’azienda può delegare allo stesso lavoratore gli obblighi previdenziali ed assicurativi, ovvero Inail e Inps, mentre gli adempimenti fiscali non sono diversi rispetto all’assunzione in un’azienda italiana. «A differenza dei dipendenti, i freelance — precisa Tirri — devono gestire in modo autonomo le specificità delle fatturazioni verso e dall’estero: quando ricevono una fattura da una piattaforma digital come Meta o Google, ad esempio, è necessario integrare l’Iva tramite il meccanismo del reverse charge. Al netto di questo, per i freelance è sicuramente più semplice diventare nomadi digitali: non essendo vincolati da luoghi e orari ma principalmente da obiettivi e progetti, possono scegliere più liberamente la vita da remote worker».

I vanlifer che vivono in camper

Un’ulteriore peculiarità riguarda coloro che trascorrono la maggior parte del tempo in viaggio come i “vanlifer” che decidono di vivere in van (nel 2022 sono cresciuti del 19% raggiungendo negli Usa i 3,1 milioni di persone). In questo caso si parla di “nomadi fiscali” ovvero persone che non sono considerate residenti a livello fiscale in nessun Paese. Ciò non significa che evadono le tasse, ma sfruttano le leggi internazionali per ridurre al minimo la responsabilità fiscale. Prima di poter acquisire questo status, però, è fondamentale fare un’attenta pianificazione. Bisogna, ad esempio, dimostrare di non avere legami sostanziali con nessun Paese, vendere proprietà, chiudere conti bancari e trascorrere meno della metà dell’anno in qualsiasi Stato. Negli Usa, ad esempio, le tasse si basano sulla cittadinanza, non sulla residenza. Ciò significa che i cittadini statunitensi sono soggetti alle imposte indipendentemente da dove vivono. Per smettere di essere residenti fiscalmente negli Stati Uniti, bisognerebbe rinunciare alla cittadinanza statunitense. Una decisione non di poco conto.

Le convenzioni fiscali Ocse

Intanto, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha sviluppato un modello di convenzione fiscale che molti paesi hanno adottato nei loro trattati fiscali. Il piano mira a prevenire la doppia imposizione e l’evasione fiscale, ma ha implicazioni significative per i nomadi fiscali poiché rende praticamente impossibile la non residenza. Si considerano, infatti, diversi parametri come: la presenza di una residenza permanente in un Paese, la definizione del centro di interessi principale, la dimora abituale e la nazionalità. Se nessuno di questi principi dovesse funzionare, i Paesi coinvolti dovranno risolvere la questione di comune accordo.

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