Grandi dimissioni, perché i lavoratori si licenziano? Le ragioni del fenomeno (e i miti da sfatare)

Grandi dimissioni, perché i lavoratori si licenziano? Le ragioni del fenomeno (e i miti da sfatare) Grandi dimissioni, perché i lavoratori si licenziano? Le ragioni del fenomeno (e i miti da sfatare)

Quasi 2 milioni di dimissioni nel 2021 e oltre 2,2 milioni nel 2022, in aumento di oltre il 35% rispetto al 2019. Sono questi i numeri presentati da un recente studio realizzato da Cisl Lombardia insieme a Bibliolavoro e a Sindacare, l’ufficio vertenze di Cisl Lombardia, intitolato “Dentro l’epoca della Great Resignation. I nuovi fattori di attrattività del lavoro nella società che cambia”. Guardando specificamente alla Lombardia, dall’analisi emerge che nella Regione si sono registrate 420 mila dimissioni nel 2021 e 566 mila nel 2022, pari al 12% del totale dei lavoratori occupati. Quello delle Grandi Dimissioni è un fenomeno di portata globale, molto spesso considerato una conseguenza diretta della fatica mentale provata dai lavoratori durante la pandemia da Covid-19. Ma è proprio così? O ci sono anche altri motivi che hanno spinto i lavoratori a lasciare il lavoro? E, una volta date le dimissioni, che cosa hanno fatto? La ricerca curata da Cisl prova a dare qualche risposta a queste domande, sfatando alcuni miti.

L’indagine Cisl

«Per capire le cause delle Grandi Dimissioni, basterebbe ascoltarle». È stata questa frase, tratta dal libro “Le grandi dimissioni” della sociologa Francesca Coin, a guidare l’approccio con cui il sindacato Cisl ha deciso di intervistare un campione di 17 mila lavoratori che, dal periodo post-pandemico in poi, hanno presentato dimissioni volontarie rivolgendosi agli sportelli di Cisl Lombardia. Il campione, composto per il 47,6% da uomini e per il 52,4% da donne, ha un’età media di 43 anni, con il 32,8% che ha meno di 36 anni.

I motivi delle dimissioni

Chi ha deciso di lasciare il lavoro lo ha fatto per una serie di ragioni: in primo luogo l’eccessivo stress-lavoro correlato (36%), il clima aziendale e le relazioni professionali (34,9%), la prospettiva di uno stipendio migliore (29,5%) e, al quarto posto, la necessità di ottenere un miglior equilibrio vita-lavoro e la possibilità di fare smart working (26,2%).

Lasciare senza una prospettiva

Nell’interpretare il fenomeno delle Grandi Dimissioni, in un’analisi della Banca d’Italia si legge che «i lavoratori hanno rassegnato le dimissioni solo a fronte della prospettiva di un nuovo impiego. Dimissioni che dunque faticano ad essere interpretate come gesto liberatorio e salto nel vuoto». Lo studio Cisl, tuttavia, sembra dimostrare il contrario. Se il 64,5% del campione ha dichiarato di avere già una prospettiva d’impiego quando ha lasciato il lavoro, il 35,5% — cioè un dimissionario su tre — non aveva nessuno sbocco alternativo all’orizzonte.

Il passaggio a settori lavorativi diversi

Un’altra convinzione errata, anche in questo caso sostenuta dalla Banca d’Italia, è che «la maggior parte dei cambi di impiego è avvenuta all’interno dello stesso settore». Dal rapporto del sindacato emerge però uno scenario diverso: quasi la metà dei lavoratori del commercio (48%), infatti, si sono spostati verso altri settori, in primis quello dell’industria metalmeccanica. Un fenomeno simile a quanto avvenuto nel settore della ristorazione, abbandonato dal 43,4% del campione. Risulta interessante peraltro notare che perfino nel terziario avanzato, circa 1 lavoratore su 5 (24,5%) ha deciso di spostarsi nella pubblica amministrazione, nell’industria metalmeccanica e nel commercio. A influenzare questa scelta, in particolare, sono i salari bassi e la precarietà del settore.

La stabilità contrattuale non è tutto

In generale, secondo il rapporto Cisl, si registra «un peggioramento della condizione legata alla stabilità dell’occupazione». Se prima di dimettersi il 75,6% aveva un contratto a tempo indeterminato, infatti, solo il 57,3% aveva un contratto di questo tipo per il nuovo lavoro. Una scelta sbagliata, dunque? Non proprio, visto che l’87,6% si dice soddisfatto del nuovo lavoro rispetto a quello precedente. Il peggioramento dal punto di vista della stabilità lavorativa, infatti, viene compensato da altri fattori. In particolare, maggiore autonomia (52,7%), riconoscimento delle competenze (63,5%), possibilità di conciliare vita e lavoro (58,5%), trattamento economico (61,3%) e prospettive di carriera (47,8%). Tanto che, nonostante la diversa tipologia contrattuale e le incognite dovute al cambiamento, il 93% degli intervistati (95,2% tra gli under 36) rifarebbe la scelta di dimettersi.

È cambiata la natura del lavoro?

Di fronte alla domanda “Hai in mente di cambiare nuovamente lavoro nei prossimi 12 mesi?”, un lavoratore su tre (35,7%) ha risposto di sì. Una percentuale che comprende anche le persone già soddisfatte del cambiamento. La situazione fotografata dal rapporto Cisl racconta che il fenomeno delle Grandi Dimissioni è ancora in atto e che la ricerca di un lavoro il più adatto possibile alle proprie esigenze sia un tema molto sentito dai lavoratori, in particolare quelli più giovani.

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