Grandi dimissioni, perché i lavoratori si licenziano? Le ragioni del fenomeno (e i miti da sfatare)
di Valeriano Musiu
Consob si mobilita per la prima volta contro la violenza di genere. In particolare, contro la violenza economica. Lo ha fatto in modo visibile collocando nell’atrio della sede romana una panchina rossa, simbolo della lotta alla violenza di genere. Ma anche veicolando contenuti e cultura attraverso una tavola rotonda, il 27 novembre a Roma, presso l’auditorium Consob, a cui hanno partecipato tra gli altri il presidente Paolo Savona, il sottosegretario all’Economia Federico Freni, la capo dipartimento tutela della clientela ed educazione finanziaria della Banca d’Italia, Magda Bianco, la presidente di Bnl Bnp Paribas, Claudia Cattani e la commissaria Consob Gabriella Alemanno, che così ha risposto alle nostre domande.
Perché Consob ha ritenuto necessario mobilitarsi contro la violenza economica?
«Perché molto parte da lì. Sappiamo quale piaga sia la violenza sulle donne, e la violenza agita spesso è il culmine di un processo che parte da altre forme di sopruso, a partire dalla violenza economica. Dal canto nostro vorremmo dare un contributo con riflessioni e approfondimenti sul tema. Cambiare la cultura è un processo lento ma proprio per questo bisogna tenere il punto».
Che cosa può fare Consob?
«La violenza economica si realizza in ambito domestico ma anche in ambito lavorativo. Pensiamo alle donne con retribuzioni più basse a parità di mansioni. Ma anche alle imprenditrici che faticano ad avere accesso al credito e spesso devono cedere il passo a fratelli e mariti nella gestione delle imprese, e questo per motivi culturali, indipendenti dal merito. Comunque, il problema non sta solo nel fatto che le donne hanno entrate inferiori. Tutte le indagini condotte sul tema ci dicono che le donne sono anche meno informate sugli aspetti finanziari. E molto spesso delegano la gestione dei soldi agli uomini della famiglia. Questo impedisce loro di avere il futuro nelle proprie mani».
A proposito di merito, la presenza di donne nei cda migliora le performance delle aziende.
«È quello che abbiamo constatato con una nostra indagine. L’ingresso delle donne nei cda incide positivamente purché le consigliere siano almeno due. Del resto, è comprensibile, una donna da sola in un cda di uomini fatica a farsi ascoltare. Vogliamo far conoscere questi risultati, perché anche le aziende non quotate siano consapevoli del contributo che le donne possono dare a vantaggio delle aziende».
Nei cda delle quotate, grazie alla Golfo-Mosca, le donne sono il 43%. Ma quante sono le aziende quotate controllate da donne?
«Su 214 società quotate solo in 5 la partecipazione di controllo è in mano a donne (il 2,33%, ndr)».
Le quote non bastano?
«Abbiamo un’imposizione di legge ma la cultura non è ancora evoluta di pari passo. Per questo stiamo lavorando sull’educazione finanziaria».
Le aziende in Italia sono oltre quattro milioni: e le non quotate?
«Con il protetto Elite lavoriamo a stretto contatto con 2.200 società in vista di un’eventuale quotazione, anche qui possiamo dare un contributo».
La certificazione di genere delle imprese può migliorare le cose?
«Sicuramente sì. Quando le società si impegnano per l’empowerment femminile i risultati arrivano ed è un bel messaggio che viene inviato all’esterno».
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27 nov 2023
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