Nicolò Martinenghi: «La rana? Una questione di creatività. Perché i Giochi di Parigi voglio ricordarmeli»
Martinenghi, campione dei 100 rana, bronzo a Tokyo, oro e argento ai Mondiali: «Di Tokyo non ricordo niente, solo il tocco e il ritorno in pullman con la medaglia. Questa volta voglio ricordarmi che la mia è una bella vita»
Nella foto di gruppo del nuoto italiano in partenza (domani) per Parigi, due volti che più diversi non potrebbero essere hanno un cerchietto rosso attorno: saranno gli osservati speciali. E se uno è quello più tenebroso dell’«ossessionato» (parola sua) Thomas Ceccon, l’altro è quello più estroverso, ma con una nota di dolcezza nel sorriso con brillantino (l’abitudine deriva dal padre orafo: sfoggiare un gioiello nuovo a ogni gara, «per Parigi vedremo cosa mi inventerò») di Nicolò Martinenghi, detto Tete, il campione della rana che nei 100 non scende dal podio da Tokyo dove fu bronzo, e poi oro e argento ai Mondiali davanti a un certo Adam Peaty.
Martinenghi: «Di Tokyo ricordo solo il tocco e il pullman»
Nicolò ogni quanto pensa alle Olimpiadi? Una volta alla settimana, una volta al giorno, una al minuto?
«Fino a un mese fa non tanto, ero concentrato su micro obiettivi: ero in una fase di allenamento un po’ delicata. Ma il pensiero poi arriva, non ti deve preoccupare, ma motivare e incuriosire. Ci siamo».
Quindi è decisamente meno ossessionato del suo amico Ceccon.
«Io forse la vivo un po’ più rilassata, Thomas è molto appassionato, gli piace tanto guardare le gare, fare confronti, e poi mi trascina devo dire, anche a me piace approfondire e studiare».
Il suo proponimento adesso però è godersi il percorso.
«È così. Alla fine quante volte sei in posti bellissimi, pensi a Parigi, e nella frenesia non ci fai caso? Segui il flusso, e va bene. Ma ogni tanto prendere coscienza del fatto che stai facendo una cosa bella è importante. Certo, ci sono anche i sacrifici, però fanno parte della bellezza: per molti è una vita invidiabile. Ed è giusto che io dia il giusto peso a questo. Noi sportivi da quando siamo piccoli abbiamo imparato a buttarci con tutti noi stessi in un’unica cosa: è fantastico avere la tua strada tracciata. Quando smetti ti manca».
A proposito di non godersi i momenti, lei dice che di Tokyo e delle medaglie ricorda due cose sole: il tocco alla fine della gara individuale e un viaggio in pullman. Ci racconta?
«Sono tre a dire la verità, la terza è forse la più bella, ed è l’accoglienza all’arrivo a Linate: ti accorgi che hai regalato qualcosa anche agli altri. L’Olimpiade è stato un insieme di emozioni molto forti ma non ricordo quasi nulla. Pochissimo del Villaggio, niente del podio. E sì che sono passati solo tre anni. Ma ero così concentrato. Mi ricordo solo quando ho toccato e ho visto i miei compagni esultare. E poi al ritorno mi sono ritrovato sul pullman da solo, c’erano solo il nuotatore brasiliano Fratus e la moglie. Ho aperto lo zainetto e c’era questa medaglia arrotolata, buttata lì. L’ho guardata, ho cominciato a darle il giusto peso: l’hai sognata tanto, inizi a capire. È un’emozione che auguro a tutti di vivere».
«La rana è creatività»
In un’intervista ha detto che la rana è creatività. Nello sport iper-scientifico di oggi, fatto di tabelle, programmi dettagliatissimi cosa resta per la creatività?
«Tanto. Forse una volta il nuoto poteva essere più schematico, più “universale”, adesso siamo arrivati alla specializzazione massima, bisogna valorizzare quello che a ciascuno riesce meglio. La mia nuotata è diversa da quella di chiunque altro. Se io nuotassi come Peaty, non è detto che funzionerebbe. La rana poi è lo stile più atipico, anche a livello di movimenti delle articolazioni: i ranisti sono le pecore nere del nuoto».
Ancora la storia che siete i più pazzi?
«C’è del vero. Non so nemmeno io se sono riuscito a superare quella fase (ride)...».
Ha cambiato qualcosa nella preparazione? C’è spazio per evolvere?
«Cerchi sempre di cambiare, anche perché il nuoto è già monotono... Proprio quando pensi non ci sia più niente da limare, ti accorgi che c’è ancora un’infinità di dettagli che puoi fare diversamente. È la cosa che ti tiene vivo, continuare a cercare, sennò sarebbe impossibile reggere».
La ripetizione degli allenamenti la uccide.
«Sì, nel nuoto non c’è divertimento, non c’è l’aspetto ludico degli sport con la palla. C’è il sentirsi appagati quando finisci la giornata, esci dalla vasca e hai nuotato veramente bene, quella è la cosa più bella. Sei stanco, ma contento di esserlo».
«Da bambino odiavo l'acqua»
Se le dico la parola «acqua» o «piscina» cosa le viene in mente?
«L’acqua l’associo al relax, alla spiaggia, a quando ti liberi completamente. La piscina ogni tanto è malinconia, in inverno è una tortura. È gioia, è dolore, è odio, è un po’ amore, amicizia, perché tante amicizie sono nate lì, e, sì, è conoscenza perché tutti i giorni cerco di conoscere meglio me stesso e quello che faccio».
E la prima volta in acqua se la ricorda?
«Io odiavo l’acqua. Amavo giocare a basket. Il nuoto ha iniziato a piacermi perché avevo gli amici».
A proposito di passioni, è vero che gioca a Monopoli?
«Impazzisco. Ormai la sera non esco più, non ho più una vita sociale, solo Monopoli».
Il suo amico Ceccon non spenderebbe soldi nei vestiti firmati e sopporta poco gli impegni extra nuoto, lei sogna ancora un futuro nella moda?
«Sì, la moda resta la mia passione, non solo i vestiti, i profumi, gli occhiali, i gioielli è una dimostrazione di creatività. I soldi meglio spesi sono quelli nei vestiti!».
Una cosa che le fa paura e una che la fa arrabbiare.
«Odio il caos, il disordine, le code, per me l’aeroporto è un inferno. Paura forse non avere certezze, sentirsi impotente di fronte alle incognite della vita».
Le dico io una cosa che secondo me l’ha fatta arrabbiare: il caso del doping dei nuotatori cinesi.
«Io non ci penso mai, speri sempre che chi controlla lo faccia. Una cosa però la dico: altri Paesi hanno cavalcato il caso, l’Italia poteva farsi sentire di più».