Sinner-Alcaraz, oggi la semifinale del Roland Garros: la domanda di Jannik a Carlos, nel 2019, e la chiave della sfida
In quel primo incontro ad Alicante nel 2019 Jannik battuto fece la domanda a Carlos. Lo spagnolo è sempre sembrato più grande, ma ha spesso troppa fretta e il corpo non lo segue. La palla corta può essere una chiave
DALLA NOSTRA INVIATA
PARIGI - L’ultima volta senza Big Three nella semifinale del Roland Garros, Jannik aveva appena cominciato a sciare e Carlos a camminare. Era il 2004, all’ultima stretta arrivarono tre argentini e un inglese, Tim Henman, che finì stritolato negli ingranaggi di Coria, rimontato in finale da Gaudio.
Vent’anni dopo, cambiato il mondo più volte e il tennis a ruota, la terra promessa si spalanca sotto i piedi di quattro europei (la Santissima Trinità ha spostato forse definitivamente l’asse terrestre del gioco): Italia-Spagna è la sfida che minaccia l’audience del calcio (Warner Bros è pronta a trasmettere Sinner-Alcaraz in chiaro sul Nove ma non può farlo in assenza di una norma, che manca. La sfida è oggi alle 14.30), la già vetusta Next Gen schiera Sasha Zverev, il tedesco che gioca a tennis mentre a Berlino lo giudicano per l’accusa di molestie all’ex fidanzata, e dalla Norvegia cala Casper Ruud, a caccia della terza finale parigina in tre anni.
Alcaraz sembrava più grande
Con quei due, Jannik e Carlos, separati alla nascita da 627 giorni e da tre date astrologiche nella volta celeste (Leone contro Toro), il tennis è in buone mani per i due prossimi lustri, è quindi naturale considerare la loro nona sfida — non c’è motivo di non considerare l’esordio della rivalità più entusiasmante dai tempi di Federer-Nadal, per citare un grande classico, cioè il confronto di Alicante del 2019 a livello Challenger — una finale anticipata di questo Roland Garros prima autunnale e poi di colpo estivo, costato il menisco del ginocchio destro a Novak Djokovic, il fuoriclasse inesauribile messo alla frusta dalla folle programmazione del torneo e dal logorio della vita moderna (Musetti e Cerundolo).
È proprio risalendo alle pendici di Sinner-Alcaraz, primo di cinque successi a quattro dello spagnolo sull’azzurro, che rinveniamo l’aneddoto iniziale in una vicenda in fieri. Come un tartufo pregiato, da sotto la superficie di quel match tra adolescenti, spunta la frase che Jannik rivolge a Carlos a rete, dopo la stretta di mano: «Ma tu, quanti anni hai?». È sempre sembrato più grande della sua età (21 anni), Carlito, e se Jannik viaggia in anticipo sulla sua epoca («Lui con la testa è sempre più avanti» conferma papà Hanspeter da Sesto Pusteria, dove martedì l’ex bambino sciatore tornerà da campione di tennis con almeno tre trofei in mano: la Davis, l’Australian Open e la targa da nuovo n.1), l’altro ha una fretta indiavolata. A volte troppa. Perché rischia di inciampare nelle mille variabili di un gioco creativo ai confini con la giocoleria e perché non sempre il corpo supporta la sua impazienza di crescere.
Gli infortuni, avvio lento: le similitudini
Entrambi sono arrivati a Parigi da un infortunio (anca Sinner, avambraccio Alcaraz), hanno affrontato cauti i primi turni lasciando ciascuno un set per strada (Moutet e De Jong), usare il secondo Slam stagionale è stata la strategia saggia dei coach (Vagnozzi/Cahill e Ferrero): i due clan si rispettano e studiano, ieri Jannik e Carlos si sono allenati al tennis Jean Bouin su campi limitrofi. C’è poco da nascondere.
Per il barone rosso molti dritti in tutte le rotazioni e direzioni provati nella combinazione con la palla corta, che oggi servirà a entrambi come la baguette. «Jannik l’ha integrata nella sua strategia, Carlos l’ha elevata ad altri livelli. Entrambi la usano anche nei punti chiave. Duello pazzesco» è la profezia del guru McEnroe, che quarant’anni fa su questo centrale lasciò l’anima. Tredici minuti di scarto nel tempo trascorso in campo a Parigi (12h14’ contro 12h01’) separano i gemelli diversi alla vigilia della sfida per la quale al Bois de Boulogne i biglietti non hanno prezzo. Li avevamo lasciati in California, impegnati a farsi dispetti sul blu di Indian Wells; li ritroviamo a Parigi, sul rosso che li obbligherà a rincorse più lunghe e trame più fitte. L’uno dell’altro dicono la stessa cosa: «Lui mi spinge a dare il meglio». Dove l’avevamo già sentito, recentemente?