Salini: «Webuild realizzerà tutte le opere in tempo, pronti ad assumere 10 mila persone in tre anni»

Salini: «Webuild realizzerà tutte le opere in tempo, pronti ad assumere 10 mila persone in tre anni» Salini: «Webuild realizzerà tutte le opere in tempo, pronti ad assumere 10 mila persone in tre anni»

«Fare il politico in Italia è complicatissimo, ma anche costruire infrastrutture non è semplice». Pietro Salini è l’amministratore delegato di Webuild, il gruppo infrastrutturale che in Italia gestisce 31 cantieri per un portafoglio ordini di quasi 25 miliardi, alcuni dei quali finanziati dai fondi del Pnrr. Una gran mole di lavori che comprende grandi opere come l’alta velocità in Sicilia, la diga foranea di Genova e, in futuro, anche il tanto discusso Ponte sullo Stretto di Messina.

In un’intervista al Corriere, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha detto di augurarsi che “le aziende, soprattutto la più grande del settore, che ha vinto moltissime gare, sia in grado, cioè abbia la capacità tecniche, organizzative e finanziarie di realizzarle davvero, nei tempi previsti”. Alludeva a Webuild?
«Non so se il ministro Crosetto si riferisse a noi. Nel caso, è benvenuto ogni stimolo a fare meglio e mettersi alla prova, per realizzare investimenti cruciali per il futuro dell’Italia. Le opere rappresentano un formidabile impulso alla ripresa economica e all’occupazione: basti pensare che, come Webuild, abbiamo in programma l’assunzione di 10 mila persone in tre anni in Italia, l’88% delle quali al Sud. Ricordo che le opere pubbliche rappresentano una piccola parte degli oltre 190 miliardi stanziati dal Pnrr. Il piano riguarda quindi molte altre imprese e la scadenza del giugno 2026 vale per tutti i progetti: è bene che ogni capitolo di spesa sia seguito con tutta l’attenzione e i dovuti controlli».

Ma Webuild ha la capacità di portare a termine tutti i lavori a voi assegnati?
«Certo. Siamo il primo gruppo infrastrutturale del Paese, con oltre 16.000 persone e con una filiera di 10.500 imprese, e uno dei maggiori in Europa. Siamo presenti in oltre 50 Paesi e siamo il numero uno nel mondo nel settore acqua, da diversi anni. Abbiamo realizzato 270 progetti negli ultimi 10 anni, e stiamo facendo in Italia investimenti in stabilimenti automatizzati all’avanguardia, accordi con i principali produttori mondiali per costruire in Italia quello che serve al settore. Abbiamo avviato in Italia centri di formazione e scuole per i mestieri, e facciamo accordi con le principali università nel mondo.

C’è però chi sostiene che abbiate ottenuto troppe commesse in Italia… «Premesso che abbiamo vinto gare aperte ai concorrenti, sarebbe stato meglio affidare le grandi opere a gruppi stranieri? Invito poi ad analizzare i numeri.

Quali?
«La quota di mercato di Webuild in Italia è meno del 2%, i nostri concorrenti francesi detengono fra il 3 e il 10% a casa loro. A differenza di quanto accade in Europa, realizziamo il 70% del fatturato all’estero, che significa spingere l’export delle imprese italiane, e soltanto il 30% nel mercato domestico. Qualora gli investimenti in Italia e la nostra quota dovessero aumentare, non credo sarebbe una cattiva notizia per il Paese che negli ultimi 20 anni ha investito poco sulle infrastrutture. Questi progetti determineranno se in futuro l’Italia potrà continuare a competere con gli altri Paesi europei e con i loro sistemi industriali».

Si riferisce anche al Ponte sullo Stretto? Serve davvero o, come accusano alcuni, è un favore al consorzio di imprese che vede Webuild come capofila?
«Storicamente tutte le grandi opere sono state bersaglio di critiche politiche, poi evaporate quando l’infrastruttura finita ha rivelato tutta la sua utilità. Così è stato per l’Autostrada del Sole, per l’Alta Velocità fra Roma e Milano. Lo stesso accadrà per il Ponte sullo Stretto».

Quanto costa l’opera?
«La struttura del ponte in sé ha un costo di quasi cinque miliardi, il resto dei fondi servirà per opere compensative, idrogeologiche, connessioni stradali e ferroviarie, indispensabile completamento del progetto».

Ma quale sarebbe il ritorno dell’investimento per il Paese?
«Il ponte serve ad attraversare un braccio di mare lungo tre chilometri che separa dall’Italia – e quindi dall’Europa – un’isola che conta 5 milioni di abitanti, quanti la Danimarca che è collegata alla Germania da tre ponti. Uno studio della Bocconi ha stimato che l’isolamento della Sicilia costa ogni anno diversi miliardi di euro. Significa che ogni anno di ritardo nel realizzare il collegamento produce danni per miliardi».

E voi quando sareste pronti a partire con i lavori?
«Siamo pronti a partire con i lavori già in primavera, i tempi dipendono dal percorso decisionale e autorizzativo. Abbiamo consegnato progetto definitivo, stiamo aspettando i commenti del gruppo degli esperti selezionati dal ministero».

A questo proposito, conferma di aver avuto un incontro con il ministro Salvini e il suo consulente Lunardi prima del nuovo decreto sul Ponte? «Ho avuto molte riunioni con Salvini, così come con Lunardi che è anche uno dei più grandi progettisti del mondo. Credo sia naturale e opportuno che il ministro delle Infrastrutture e la sua struttura dialoghino con le imprese del settore».

Salvini è stato anche promotore della riforma del Codice degli Appalti. Che giudizio ne dà a quasi cinque mesi dalla sua entrata in vigore?
«Il giudizio è positivo perché ha rimesso al centro la collaborazione fra istituzioni e industria. Stato e imprese non sono in contrapposizione ma devono operare in sinergia, separate soltanto da una linea immaginaria che distingue compiti e responsabilità, fra chi vuole una cosa e chi la realizza».

I sindacati hanno criticato la liberalizzazione dei subappalti a cascata… «Non sta a me giudicare se questo sia il sistema migliore, ma i subappalti a cascata sono previsti da norme europee».

Non c’è il rischio che in Italia portino a una riduzione della sicurezza nei cantieri o addirittura finiscano per favorire l’infiltrazione della criminalità organizzata?
«Il tema non è il subappalto in sé ma la garanzia della sicurezza sul lavoro e della salvaguardia della legalità. E un gruppo grande e internazionale come Webuild offre entrambi. La sicurezza costa e, grazie alle nostre dimensioni, oltre ad aver erogato 1,4 milioni di ore di formazione a dipendenti diretti e di terzi dal 2020 al 2022 per la sicurezza, stiamo facendo investimenti importanti in Italia e nel mondo con i nostri clienti per la sicurezza sul lavoro, nostra e di tutta la filiera.

A proposito di dimensioni, si è parlato di un vostro possibile coinvolgimento in un eventuale riassetto azionario di Autostrade per l’Italia. Se invitati, sareste disponibili a partecipare?
«All’estero esistono modelli di integrazione fra grandi concessionari e grandi aziende di costruzioni e hanno dimostrato di funzionare bene. All’Europa servono più campioni industriali in tutti i settori per competere, anche dimensionalmente, alla pari con i concorrenti cinesi e americani in tutti i settori. Webuild ha l’ambizione di esser protagonista di questo consolidamento: dieci anni fa pensavo che i 10 miliardi di fatturato fossero un traguardo; ora che lo abbiamo raggiunto, penso sia un punto di partenza per una nuova fase di crescita a vantaggio di tutto il settore e del nostro Paese».

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