Un grande patto “di equità sociale” con i sindacati per individuare le aziende che pagano poco i dipendenti. L’appello del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, durante il confronto con il segretario Cgil, Maurizio Landini, a Sky Tg24 qualche settimana fa non ha trovato grande risalto sulla stampa. Eppure, al di là del tentativo di smarcare Confindustria dall’accusa di non contrastare il lavoro povero, le parole del numero uno di Viale dell’Astronomia sono utili a imbastire una riflessione sui salari in Italia, notoriamente bassi rispetto alla media Ue, e sui settori dove le paghe, tra inflazione e caro-vita, non consentono una vita dignitosa. Lo ha ricordato anche il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda presentando il Rapporto sui salari in Italia fermi da trent’anni esprimendo «forti dubbi sulla tenuta di tale modello nel lungo periodo».
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Il tema dei contratti
Bonomi, dal canto suo aveva parlato della necessità di «un’operazione verità in Italia» per dire insieme ai sindacati «chi sono quelli che pagano poco, che non pagano il giusto, quelli che sono fuori dalle regole. E forse scopriremo che non è l’industria ma altri settori». Per trovare le aziende che pagano poco sono, come sempre, utili i dati. Da uno studio della Fondazione dei consulenti del lavoro emerge come siano, ad esempio, 22 i contratti di categoria sotto i 9 euro lordi l’ora, firmati da Cgil, Cisl e Uil: tra questi il personale delle cooperative e consorzi agricoli che vede paghe d’ingresso di 8,4 euro l’ora ma ci sono anche gli addetti dell’industria delle calzature (7,9 euro all’ora) e i lavoratori del vetro (7,1 euro l’ora). Assocalzaturifici, parte di Confindustria, fissa ad esempio il minimo per il 1° livello a 7,3 euro.
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Gli irregolari
Un’idea dei settori ad alto tasso di irregolarità la dà anche il Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso 2023-2025 che offre una fotografia del nero Made in Italy. In Italia, su 3 milioni di occupati irregolari ben 2 milioni e 300 mila operano nei servizi. Le irregolarità si concentrano nel lavoro domestico «ben oltre un quarto di tutti i lavoratori in nero, commercio (oltre l’11%), alloggio e ristorazione (7,7%) e attività professionali (8,7%)».
Agricoltura, industria e costruzioni oscillano solo tra il 7% e poco più dell’8% dell’occupazione irregolare. Il ramo che più alimenta il lavoro sommerso è quello dei servizi domestici alle famiglie, il tasso di irregolarità supera il 50% «ma l’incidenza dell’occupazione irregolare è alta anche in agricoltura, nelle attività artistiche e di divertimento, nei servizi di alloggio e ristorazione e nelle costruzioni, mentre è relativamente modesta nei servizi finanziari e assicurativi e nell’industria», si legge nel report. A cui si affiancano anche i dati dell’Ispettorato del lavoro tra gennaio e settembre 2023 secondo cui su 61.609 lavoratori tutelati, 11.256 lavoravano in nero di cui 6.869 solo nel terziario. L’Ispettorato un anno fa aveva peraltro dedicato un focus alla ristorazione evidenziando come 7 aziende su 10 risultassero irregolari.
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Le partite Iva
C’è poi il tema degli autonomi. Il tasso di irregolarità è più elevato di 2,5 punti percentuali per i lavoratori indipendenti, che nel complesso costituiscono oltre un quarto degli occupati irregolari e sono ancor più presenti nel commercio, nelle attività finanziarie e assicurative, in quelle artistiche e del divertimento, in quelle immobiliari e professionali e nei servizi di informazione. Secondo i ricercatori «escludendo il lavoro domestico, il tasso di irregolarità totale sarebbe di circa tre punti percentuali più basso».
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16 dic 2023
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