Sam Altman è la persona dell’anno per l’Economia: dove ci porterà il sogno dell’AI?

Sam Altman, dove ci porterà il sogno del demiurgo dell'Ai? Perché è la persona del 2023 per l'Economia Sam Altman, dove ci porterà il sogno del demiurgo dell’Ai? Perché è la persona del 2023 per l’Economia

Un anno fa, col lancio di ChatGPT grazie al quale la rivoluzione dell’intelligenza artificiale è entrata nelle nostre case, Sam Altman ha strappato a un Elon Musk già appannato dai guai che stava combinando in Twitter (ora X), la fiaccola dell’esploratore di nuovi mondi: l’apripista che guida l’umanità verso un futuro di innovazioni che ci affascinano e ci spaventano.

Tra i tanti geni digitali della Silicon Valley che promettono di fare del mondo un posto migliore, ma poi, mentre diventano miliardari, distruggono l’esistente senza sapere come funzionerà la nuova realtà che stanno costruendo, Altman è apparso a lungo una figura rassicurante: dopo il gesto rivoluzionario di mettere un’intelligenza artificiale a disposizione di tutti, gratuitamente, si è, infatti, affannato per mesi ad avvertire parlamenti e governi di tutto il mondo che la nuova tecnologia sviluppata dalla sua impresa, OpenAI, renderà possibili progressi straordinari in tutti i campi, dalla medicina all’industria, ma comporta anche grossi rischi. A fronte dei quali servono regole e guard rail governativi per limitare il rischio di abusi di una tecnologia potentissima.

L’immagine

Questa immagine rassicurante del 38enne Altman, intaccata dalla recente battaglia per il controllo di OpenAI (il fondatore e capo cacciato con l’accusa di aver tradito lo spirito filantropico dell’impresa, ma poi tornato trionfalmente alla sua guida dopo tre giorni) nasce molto prima dell’inizio dell’avventura nell’intelligenza artificiale (AI). Il ragazzino cresciuto a St Louis, in Missouri, che a 8 anni conosceva già il linguaggio di programmazione e sapeva smontare e rimontare il suo Macintosh è un genio tecnologico precoce, ma anche una mente febbrile che guarda sempre lontano. Crescendo la sua azione è segnata sempre più da una contraddizione: da un lato il timore di creare tecnologie difficili da controllare, dall’altro la spinta a svilupparle comunque rapidamente e a trasferirle alle applicazioni commerciali.

Peter Thiel, cofondatore di PayPal, primo finanziatore di Facebook, oggi alla guida di Palantir, un grande amico di Altman, spiega così questo sdoppiamento della personalità: «Sam non è religioso, ma è molto ebreo sul piano culturale: è al tempo stesso un ottimista del fare e un survivalist, un cultore delle tecniche di sopravvivenza. Pensa che con la tecnologia possiamo creare un mondo molto migliore, ma non esclude che le cose possano prendere una brutta piega». E cerca un rifugio sicuro.

Non che Altman non si sappia godere la vita. Lui stesso ha raccontato ai ragazzi delle start up cresciute sotto l’ombrello di Y Combinator, il suo acceleratore tecnologico, di amare le auto da corsa: «Ne ho cinque, anche due McLaren». Nel giorno del golpe, venerdì 17 novembre, Sam è stato raggiunto dalla notizia del suo (momentaneo) licenziamento a Las Vegas, dove stava seguendo le prove del gran premio di Formula 1. Ed è stato sempre lui a raccontare di avere altri due hobby: «Volare sulla California e preparami per la sopravvivenza: sapete, da quando nei laboratori hanno modificato il virus aviario H5N1 rendendolo supercontagioso, il rischio di un virus sintetico letale non è più zero. Poi ci sono altri scenari: l’AI che attacca noi umani o nazioni che si contendono le scarse risorse del Pianeta usando armi nucleari. Io mi sono attrezzato» Anche con un pezzo di terra tra i picchi della costa selvaggia di Big Sur, dove rifugiarsi in caso di disastri planetari. La madre, Connie Gibstine, un medico, pensa, invece, che, se arriverà la fine del mondo, Sam fuggirà in Nuova Zelanda, nel rifugio di Peter Thiel. Ma non prende i suoi timori troppo sul serio: «E’ ipocondriaco, anzi cybercondriaco», confessa al New Yorker.

Altman, dunque, nuovo condottiero del digitale al posto di Musk. Ha rotto i rapporti con lui ma gli somiglia. E Musk ha avuto un ruolo centrale nell’avventura di Altman nell’intelligenza artificiale: sua la scintilla che ha portato alla creazione di OpenAI come impresa filantropica. Una sfida iniziata nell’estate del 2015 davanti a un falò in mezzo ai vigneti della Napa Valley. Elon Musk sta festeggiando con gli amici il suo 44esimo compleanno. Dopo cena parla con loro del futuro dell’intelligenza artificiale. La discussione tra lui e Larry Page, fondatore e allora ancora capo di Google, si fa accesa. I due sono amici da 10 anni. Ma quella sera, quando Page distilla un’utopia digitale fatta di esseri umani che si fondono nelle macchine attraverso l’AI con una competizione tra diversi tipi di intelligenza biologica e digitale e, poi, vinca il migliore, Musk replica a brutto muso: «Se succede, le macchine distruggeranno l’uomo». Le voci si alzano, gli amici intorno al falò assistono in silenzio alla disputa.

La fine e l’inizio

E’ la fine di un’amicizia e l’inizio dello sforzo per sviluppare l’intelligenza artificiale in modo umano, responsabile. Pochi giorni dopo, Musk cena con Altman al Rosewood Hotel di Menlo Park. Nasce lì l’idea di una start up chiamata OpenAI finanziata da Musk e da altri che punti ad arrivare in modo etico e protetto, senza gli eccessi di Page, all’Agi: l’intelligenza generale che raggiunge un livello analogo o addirittura superiore a quello dell’uomo. E, per sottrarre l’impresa alla bramosia di profitto che si è impossessata di Google dopo il suo ingresso in Borsa, viene stabilito che la nuova società sarà una non profit filantropica. Con un board composto soprattutto da consiglieri indipendenti.

Musk non ha controllo azionario, così come non l’hanno gli altri fondatori della società, da Reid Hoffman di LinkedIn a Thiel, ad Infosys e a Amazon Web Services. Nemmeno ilm ceo Altman ne ha e se ne vanta: è ricco ma non gli interessa diventare miliardario. Pensa di non avere bisogno di azioni per restare al comando di OpenAI: «Siamo un’azienda democratica: prendo uno stipendio e posso essere licenziato in qualsiasi momento». La rivolta capitanata dal capo degli scienziati di OpenAI, Ilya Sutskever, spalleggiato dai tre consiglieri indipendenti e finita con la resa dei ribelli, è stata una saga mozzafiato, ma non è l’unica crisi affrontata da Altman. Una prima rottura arrivò nel 2019 quando Sam, rendendosi conto che per andare avanti rapidamente con le sperimentazioni aveva bisogno di finanziamenti miliardari, aprì la porta alla partnership con Microsoft. A quel punto Musk uscì di scena. Forse aveva altri motivi , ma ne approfittò per sbattere la porta denunciando il tradimento della missione della società.

Altman tirò dritto: per lui, dopo l’esperienza di Y Combinator,, e dopo la tentazione di candidarsi a governatore della California, quella di OpenAI divenne una sfida quasi messianica. Steven Levy, ammesso per qualche mese nel team dei suoi scienziati, racconterà su Wired che quello della società di Altman, se non è un culto, ci si avvicina molto: «Nessuno può sentirsi a suo agio lavorando qui se non crede che l’AGI stia per arrivare e che quello sarà uno dei momenti chiave della storia dell’umanità». Velocizzando il machine learning, OpenAI riesce a sperimentare LLM (large language model) più efficienti di quelli dell’unico concorrente: i laboratori Deep Mind di Google. E un anno fa, prima ancora di completare la messa a punto di GPT4, Altman chiede di preparare in pochi giorni un modello da offrire a tutti, basato sulla tecnologia precedente (GPT3.5). Secondo i critici un lancio deciso solo per il timore di essere scavalcato da Deep Mind o da Anthropic, creata da fuoriusciti di OpenAI. Forse, invece, l’obiettivo è quello di migliorare l’addestramento del modello incorporando i dati del dialogo con gli utenti. Ci si aspetta che siano poche migliaia, ma diventano 100 milioni: quello di ChatGPT è il lancio di maggior successo dell’era digitale.

Altman cavalca il successo: allarga la partnership con Microsoft, ottiene i miliardi coi quali moltiplica le applicazioni industriali dell’IA e accelera lo sviluppo di nuovi modelli. Mentre Sam viene conteso dalle cancellerie mondiali e cerca finanziamenti anche in Arabia per avviare nuove produzioni di microchip per superare il collo di bottiglia di Nvidia, unico fornitore di microprocessori avanzati, cresce l’inquietudine dei consiglieri chiamati a vegliare sul rispetto degli obiettivi etici dell’impresa. I motivi del momentaneo licenziamento del fondatore non verranno mai chiariti. Forse le continue accelerazioni di Altman, culminate nelle discussioni con Jony Ive, il disegnatore degli iPhone che ha lasciato Apple, in vista della creazione di un nuovo apparecchio per l’uso ottimale dell’AI. O, forse, lo choc di una lettera inviata da alcuni ingegneri al board: chiedono di rallentare i processi perché la nuova tecnologie sta dando risposte sorprendenti che nemmeno loro riescono a capire. Ma Altman non ne vuole sapere di frenare.

Davanti ai dipendenti di OpenAI e alle imprese che lo rivogliono, sono i consiglieri indipendenti a uscire di scena. Tornato sul trono, Sam assicura di avere ancora una bussola etica, ma ormai la sua attenzione è concentrata sulla disputa accesa proprio da lui con ChatGPT. Per un anno Google ha mangiato la polvere di OpenAI. Ora con Gemini spera di rifarsi. Ma i nuovi foundation model di Altman sembrano ancora i più affidabili.

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