Green Europe addio: l'analisi sul voto dagli Usa
Uno degli aspetti del voto europeo che catturano l’attenzione negli Stati Uniti è la batosta dei Verdi tedeschi. Questo partito viene visto come un simbolo, positivo o negativo, dei valori e dei progetti più ambiziosi dell’Unione. L’impopolarità di certe politiche ambientaliste è un tema che unisce le due sponde dell’Atlantico.
Donald Trump fece scalpore nel 2016 annunciando che avrebbe cancellato gli accordi di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico (promessa che poté mantenere solo in senso simbolico). Oggi Trump continua a promettere che se viene rieletto smantellerà certe normative ambientaliste di Joe Biden; ma non è il solo.
Una retromarcia significativa a sinistra è avvenuta pochi giorni fa, quando la governatrice dello Stato di New York (Katie Hochul, democratica) ha abbandonato la “congestion tax” che doveva penalizzare chi entra nella Grande Mela usando mezzi a combustione.
Vista l’importanza che il tema occuperà anche nelle elezioni americane del 5 novembre, molti osservatori americani hanno analizzato il voto europeo con una particolare attenzione al crollo dei Verdi in Germania. In effetti, anche se da un punto di vista storico è clamoroso il sorpasso dell’estrema destra (Afd) sui socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz (Spd), se si guarda ai numeri la perdita di consensi dei Verdi è più gigantesca: tre milioni di voti in meno rispetto alle precedenti elezioni europee quando avevano raccolto il 20,5% dei consensi (contro l’11,9% di questo weekend). Un altro dato che ha colpito i commentatori americani riguarda l’arretramento dei Verdi tra i giovani tedeschi: nella fascia di elettori sotto i trent’anni di età il partito ambientalista è sceso dal 31% nel 2019 al 12% oggi. Attingendo ai sondaggi tedeschi emerge la spiegazione: cinque anni fa il cambiamento climatico figurava ai primi posti fra le preoccupazioni degli elettori, ora è stato declassato in favore di sicurezza e immigrazione.
Le proteste degli agricoltori tedeschi contro alcune normative ambientaliste considerate troppo penalizzanti, sembrano aver interpretato umori diffusi anche in altre categorie sociali e attività economiche. L’industria tedesca, già colpita dalle sanzioni contro il gas russo e dalla progressiva chiusura dello sbocco cinese, insegue un nuovo tipo di delocalizzazioni spinte proprio dalle normative ambientaliste. Un caso emblematico è quello del gigante chimico Basf il quale ha aumentato la sua produzione in Cina, perché là i suoi impianti non sono soggetti alle leggi tedesche contro l’uso di energie fossili. In sostanza la Basf è andata in Cina a usare quel gas russo che non può più importare in Germania.
L’industria dell’automobile, altra colonna portante dell’economia tedesca, vive anch’essa una contraddizione: i Verdi tedeschi hanno voluto – a livello sia nazionale sia europeo – una messa fuorilegge delle vetture a combustione entro il 2035, con il risultato di accelerare l’invasione di auto elettriche cinesi.
Il Wall Street Journal in un editoriale commenta che «le conseguenze di questo shock elettorale possono allargarsi oltre la Germania; anche i democratici Usa forse vorranno prestarvi attenzione». La governatrice di New York lo ha già fatto.
In campo democratico un’altra voce che prevede un annacquamento delle normative ambientaliste è quella di un ex ministro di Barack Obama, lo scienziato fisico Steven Koonin. È una voce autorevole sia per la sua competenza sia perché partecipò all’attuazione degli accordi di Parigi, voluti e firmati da Obama. Koonin prevede che l’agitazione sulla «emergenza climatica» sia destinata a calare, seguendo un principio ben noto sui «cicli dell’attenzione» (una teoria formulata da Anthony Downs della Brookings Institution nel 1972). La storia dimostra che su molti temi la sensibilità collettiva e la mobilitazione politica segue cinque fasi di ascesa, culmine, declino. Il picco dell’attenzione verso la questione climatica secondo Koonin ha coinciso con l’insuccesso nel realizzare i suoi obiettivi più ambiziosi.
Il 2023 ha registrato un massimo storico nelle emissioni carboniche, legato all’aumento dei consumi di carbone, petrolio e gas nei paesi emergenti. Nonostante 12.000 miliardi di dollari di investimenti nelle energie rinnovabili nell’ultimo decennio, quelle fossili continuano a fornire l’80% del fabbisogno mondiale.
La disaffezione tedesco-europea verso i Verdi (in ritirata anche in Olanda), nonché le revisioni in corso nel campo democratico Usa (vedi la retromarcia di New York) prendono atto di diversi problemi. Il primo è la scarsa rilevanza delle scelte fatte dall’Occidente industrializzato rispetto a un aumento delle emissioni di CO2 concentrato in giganti come Cina, India. Il secondo è la “sostenibilità sociale”: il peso sproporzionato che certe normative ambientaliste hanno sui ceti medio-bassi.
L’avvicendarsi dei cicli di attenzione, secondo la teoria rilanciata dallo scienziato Koonin, può essere accelerato anche da una certa saturazione di messaggi catastrofisti; dall’accettazione realistica che alcuni danni del cambiamento climatico vanno mitigati e neutralizzati con strategie di adattamento che ci rendano più resistenti. Anche l’ex collaboratore di Obama fa un riferimento alle elezioni europee. Secondo Koonin «in Europa è già in atto una ritirata dagli obiettivi più aggressivi, e chiari segni di stanchezza rispetto al modo in cui le autorità assolvono i loro mandati».
11 giugno 2024
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