Buone notizie dalle elezioni degli altri: India, Messico e Sudafrica

«Ha già votato»: il quadruplo della popolazione dell'Unione europea

Pochi giorni prima di voi, hanno votato tre democrazie che messe insieme hanno quasi il quadruplo della popolazione dell’Unione europea: India Messico e Sudafrica. E circa il quintuplo degli abitanti Usa

Da queste tre elezioni recentissime si possono estrarre alcune buone notizie. In un contesto generale incline al pessimismo e al catastrofismo, non vorrei che passassero inosservate. Ve le anticipo così. L’India (“ma che sorpresa!”) è davvero una democrazia. Il Messico ha un’economia in salute che va tenuta d’occhio come una delle vincitrici della nuova globalizzazione. In Sudafrica certi neri votano per i bianchi, se più onesti e competenti.

Narendra Modi non doveva essere un Mussolini? 

L’India con 1,4 miliardi di abitanti è il luogo dove si svolge il più vasto suffragio universale del pianeta. Eppure è una democrazia circondata di sospetti. Non gode di buona stampa. Per metterla in una cattiva luce profondono i loro sforzi soprattutto i membri di una élite intellettuale e artistica cosmopolita, ben rappresentata nei salotti e nell’establishment mediatico dell’Occidente. Scrittrici e scrittori, registe e cineasti, celebrity di cui conoscete sicuramente i nomi perché hanno un pubblico mondiale. A loro non è mai piaciuto il premier Narendra Modi (partito Bjp), mentre preferiscono il clan familistico dei Gandhi (partito del Congresso).

Da quando Modi è al potere lo descrivono come un aspirante Mussolini. Certi attacchi imputano a Modi le tensioni con la minoranza islamica (tensioni che esistono da oltre un millennio), la permanenza del sistema delle caste (che esiste da alcuni millenni), l’inquinamento (che c'era già quando governavano i Gandhi) e altri orrori. 

Alla vigilia dell’ultima elezione era normale trovare sulla stampa internazionale descrizioni dell’India come di una semi-dittatura ormai avviata verso restrizioni sempre più pesanti per le libertà, con gli esponenti dell’opposizione imbavagliati o in prigione. Invece il partito Bjp di Modi ha perso seggi, non ha raggiunto la maggioranza assoluta, mentre il partito del Congresso è risalito. Modi ha preso atto del suo arretramento, come doveva fare, ma come non sono soliti fare gli aspiranti dittatori. Molti commentatori – spesso gli stessi che parlavano di deriva fascista – inneggiano al “pericolo scampato”; mentre dovrebbero fare ammenda delle proprie allucinazioni e parlare semmai di “falso allarme”. Modi non era e non è un autocrate, tant’è che gli elettori hanno avuto tutta la libertà di indebolirlo e di premiare l’opposizione. 

La buona notizia è che l’India resta la più grande democrazia del mondo, un fatto non banale perché questo suo suffragio universale si è svolto a un anno dal suo sorpasso demografico sulla Cina, il più grande regime autoritario del pianeta.

Il futuro della concorrenza con la Cina

Sulle conseguenze dell’arretramento elettorale di Modi è prematuro sbilanciarsi, però sono un po’ meno ottimista. L’India per diventare una vera alternativa alla Cina – come l’Occidente vorrebbe – deve fare grandi progressi in alcuni settori-chiave: infrastrutture e logistica, efficienza dell’amministrazione pubblica, qualità dell’istruzione di massa. Modi ne ha avviate alcune, con successi solo parziali.

L’anno scorso il Pil indiano è cresciuto più di quello cinese ma l’economia dell’elefante resta molto più piccola e più povera rispetto a quella del dragone. Le resistenze contro la modernizzazione vengono da molti settori: i burocrati corrotti, il sindacalismo potente di alcune categorie, l’eredità di una gestione socialista dell’economia, l’avversione al mercato. C’è il rischio che Modi avendo perso sostegni e dovendo negoziare con gli alleati di una coalizione, finisca per fare concessioni proprio a quelle forze che resistono contro la modernizzazione. Le imprese occidentali – italiane incluse – che guardano all’India come a una opzione alternativa per ridurre il “rischio Cina”, devono sperare che la sconfitta di Modi non segni un ritorno all’ideologia autarchica, protezionista, dirigista e assistenzialista.

La prima donna alla guida del Messico

In Messico ha vinto una donna per la prima volta, ma questa è l’unica novità, per il resto l’elezione è stata segnata dalla continuità. La neo-presidente Claudia Scheinbaum è la delfina del leader uscente, Andrés Manuel López Obrador detto Amlo. Resta al potere quindi il partito socialista-populista Morena. Anche in questo caso vorrei estrarre qualche elemento positivo, anche per contrastare gli stereotipi italiani. 

Quando dico Messico, in Italia mi sento rispondere in modalità automatica: narcos e migranti. C’è dell’altro, credetemi: un’economia dinamica, e non solo. La democrazia messicana sopravvive piuttosto bene. Nonostante qualche terribile episodio di violenza locale che ha segnato anche questa elezione, la legittimità e regolarità dello scrutinio non è stata contestata. L’idea di una nazione dominata dai narcos è una caricatura. Chi va spesso per lavoro a Città del Messico sa che alcuni dei suoi quartieri sono più ordinati e sicuri di New York, Washington, Philadelphia. 

La salute dell’economia messicana è confermata dal fatto che i migranti si sono ridotti. La pressione per attraversare la frontiera con gli Stati Uniti ha come protagonisti soprattutto migranti che vengono da altri Stati del Centramerica, o dal Venezuela, ai quali si aggiungono anche degli africani e perfino dei cinesi. Il Messico è terra di transito per i cittadini di tanti altri paesi, sempre meno terra di emigrazione per i propri cittadini.

Messico come anti-Cina

Tra le ragioni del suo sviluppo economico c’è la crisi geopolitica fra Stati Uniti e Cina. Nel primo trimestre di quest’anno il Messico ha superato la Cina come primo partner commerciale degli Usa. È tornato ad essere il destinatario di molte delocalizzazioni industriali. Via via che Biden rafforza il protezionismo di Trump e vara nuovi dazi, conviene andare a produrre in Messico per riesportare da lì sul mercato Usa. Il Messico fa parte dell’area di libero scambio nordamericana, esente da dazi.

Cooperazione sui flussi migratori 

Tutte queste premesse aiutano a spiegare un’apparente anomalia. Il presidente uscente, Amlo, pur appartenendo alla grande famiglia della sinistra radicale latinoamericana, non ha abbracciato una strategia anti-Usa; al di là di qualche sbandata retorica non ha fatto nulla per danneggiare gli interessi di Washington o dell’industria americana. Ha perfino offerto qualche forma di collaborazione sul contenimento dei migranti, prima a Trump e poi a Biden. 

Al Messico conviene che gli Stati Uniti stiano bene, e che i rapporti bilaterali fioriscano. Questa è la base di partenza per la nuova presidenza di Claudia Scheinbaum. Se la complementarietà economica tra Cina e Stati Uniti continuerà a ridursi, il Messico rimarrà il candidato numero uno a beneficiare dal rimescolamento di equilibri e dalle nuove strategie delle multinazionali. Per garantirsi questa straordinaria rendita di posizione, la nuova presidente dovrà aumentare il livello di aiuto fornito a Washington sul tema dei richiedenti asilo. Accordi di respingimento e rimpatrio, campi di detenzione: il Messico avrà un ruolo nel controllo dei flussi migratori, chiunque sia il nuovo presidente degli Stati Uniti dal gennaio 2025.

Sudafrica: Diamanti Neri e voto di protesta

A esplorare il Sudafrica ho dedicato la mia estate del 2023, e ben quattro capitoli del mio libro “La speranza africana”. Lì troverete anticipate tutte le ragioni del pesante calo elettorale subito dal partito di governo, l’African National Congress (Anc). Ho raccontato come gli ex-compagni di lotte ed eredi di Nelson Mandela si siano trasformati, progressivamente, nei famigerati Black Diamonds

Diamanti Neri, li chiama la popolazione, per le grandi ricchezze che hanno accumulato attraverso la corruzione. Hanno inflitto danni enormi a quella che era di gran lunga l’economia più moderna, efficiente, di tutto il continente. 

Pur in questo quadro poco entusiasmante, l’ultimo risultato elettorale offre però alcuni segnali positivi. L’affluenza alle urne è stata abbastanza elevata, lo scrutinio si è svolto in modo ordinato, in condizioni di sicurezza. Il Sudafrica ha una democrazia giovane ma solida; cosa che non si può dire di tutti i suoi vicini. L’Anc è stato giustamente punito per la sua corruzione e incompetenza. 

Un quinto degli elettori, tra cui molti neri, vota un partito considerato “bianco” come la Democratic Alliance, perché non ragiona in base a considerazioni etniche bensì guarda a onestà, competenza, efficienza. Infine ci si può consolare, forse, con il fatto che il ritorno in politica del super-corrotto Jacob Zuma (con il suo nuovo partito Mk, 14,6% dei suffragi) ha portato via voti a un movimento dell’estremismo black, i Freedom Fighters, che vorrebbe trascinare il Sudafrica nelle ritorsioni razziali contro i bianchi.

8 giugno 2024, 15:55 - modifica il 8 giugno 2024 | 15:56

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