Nomadi digitali, via libera del governo al visto per stranieri che lavorano in smart working in Italia
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
A quattro anni dal primo lockdown, anche le aziende italiane iniziano a fare i conti con una delle eredità più interessanti e dibattute di quel periodo: lo smart working, o meglio la sua applicazione estesa e massiva. Una necessità nata durante l’emergenza che in poco tempo ha modificato le abitudini e le aspettative delle persone, la cui eredità presenta oggi luci e ombre che vanno capite e gestite per trovare un equilibrio. Non si tratta di «invertire la rotta», ma di aggiustarla rispetto all’utilizzo di uno strumento destinato a restare nella vita lavorativa, ma che deve necessariamente essere ripensato nelle modalità di applicazione, oggi ancora troppo legate alla necessità di una emergenza ormai conclusa.
I dati del Future Workplace Index 2023 di EY indicano che negli Stati Uniti il numero di coloro lavorano completamente da remoto è crollato dal 34% nel 2022 all’1% nel 2023, segno tangibile di come un modello ibrido stia superando quello post emergenziale, che era nettamente sbilanciato sullo smart working.
di Massimiliano Jattoni Dall’Asén
Dal punto di vista delle aziende, i rischi di un’applicazione troppo estesa e non organizzata del lavoro da remoto sono la difficoltà di comunicazione tra le persone, la riduzione del senso di appartenenza, la minore interazione tra colleghi e persino il rischio di conflitto tra dipendenti, divisi tra quelli che possono usufruirne e altri che, invece, svolgono attività che richiedono necessariamente la presenza.
Ma anche i dipendenti hanno riscontrato i limiti di una organizzazione sbilanciata sul lavoro da casa, che porta al timore di perdere momenti di confronto e coinvolgimento, di essere marginalizzati o esclusi da opportunità di crescita o, nel caso dei nuovi inserimenti, un possibile rallentamento nell’apprendimento e maggiori difficoltà a entrare nella squadra.
L’esperienza sta dimostrando che il luogo di lavoro non è fatto solo di sedie e scrivanie, ma soprattutto di persone: è uno spazio relazionale vitale per aziende e dipendenti. L’incontro genera creatività, innovazione, senso di appartenenza e gioco di squadra, un enorme valore che nemmeno il più evoluto strumento di interazione online può creare.
Nel 2023 l'amministratore delegato di IBM Arvind Krishna, intervistato da Bloomberg, ha segnalato che lo smart working può essere «pericoloso per chi vuole fare carriera», e la sua azienda all’inizio del 2024 ha dato sette mesi di tempo ai dipendenti per organizzarsi per garantire il rientro in una sede aziendale almeno tre giorni a settimana oppure lasciare il gruppo; una richiesta forte che ha fatto notizia, ma che ha numeri in linea con quella di altri player internazionali, come Amazon, Google, Meta e JP Morgan, società che hanno ridotto i giorni di smart working riconoscendo il lavoro in presenza come una condizione necessaria.
In Italia le grandi imprese stanno individuando un giusto equilibrio tra presenza e lavoro da remoto, con numeri che vanno dagli 8 giorni mensili (Terna, Eni e Leonardo) a 9 (Enel e Poste) fino a 11 (Ferrovie), tendenza in linea con i dati di chi ha scelto di dare un tetto su base annua (Banca d’Italia prevede 100 giorni). Alcune di queste aziende, ad esempio Enel, garantiscono forme di ulteriore flessibilità e giorni aggiuntivi per situazioni particolari, esigenze familiari o temporanee. Al di là del numero di giorni, la direzione scelta da molte delle grandi aziende è di lasciare ai responsabili e ai team stessi la responsabilità di organizzare la presenza in modo da individuare il migliore equilibrio tra vita privata e necessità lavorative.
In Italia gli «smart worker» nel 2024 sono 3,65 milioni, il 541% in più rispetto al pre-Covid (Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano): numeri che fanno capire l’importanza di un utilizzo maturo ed evoluto dello strumento, non basato più sulle urgenze dettate dall’emergenza ma dalla necessità di conciliare produttività e benessere.
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