Global minimum tax: quanto renderà all’Italia la tassa sulle multinazionali

Global minimum tax: quanto renderà all'Italia la tassa sulle multinazionali Global minimum tax: quanto renderà all’Italia la tassa sulle multinazionali

L a principale novità fiscale dell’anno — che riguarda i grandi, anzi grandissimi — non porterà alcun gettito aggiuntivo nel 2024. Bisognerà aspettare il 2026 per avere qualche soldo in più. La stima complessiva, a regime, dell’applicazione della Global minimum tax è di 220 miliardi l’anno. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, si aspetta (tra due anni) un beneficio per l’Erario di circa due miliardi che, come vedremo, costituisce una stima assai ottimistica. In ogni caso, la rivoluzione cominciata il primo gennaio è destinata a mutare subito, e in profondità, la cultura tributaria internazionale. Gli Stati nazionali hanno, almeno sulla carta, più poteri impositivi nei confronti delle multinazionali. Ma alcuni di loro — anche dentro l’Unione europea — non sfuggiranno alla tentazione di difendere quei trattamenti di favore che li hanno trasformati negli anni in veri e propri paradisi fiscali. Entriamo dunque nel biennio della verità.

Da una parte c’è la cooperazione, necessaria per tentare di ristabilire un minimo di equità contributiva e finanziare le spese pubbliche, in prospettiva ingigantite dalla demografia e dalla transizione energetica.Dall’altra, la competizione fiscale, che attrae capitali, non sempre in forma trasparente, fattore però di crescita e di creazione di reddito e di occupazione. Un dilemma infernale. Non ci sono solo le Bermude o gli Emirati, dove l’imposizione per le imprese si avvicina allo zero, ma anche alcuni nostri partner europei, come l’Irlanda — in particolare per i giganti del web — o l’Olanda capofila di quei Paesi cosiddetti frugali sempre con il dito alzato nei confronti delle «cicale» del Mediterraneo. Ma c’è un altro aspetto che esula del tutto dal confronto tecnico assai serrato di questi giorni.

La Global minimum tax, frutto di una serie di accordi faticosamente raggiunti negli anni in sede Ocse — la cui aliquota è del 15 per cento, ridotta rispetto alla proposta iniziale del 21 per cento — è una prova di resistenza delle democrazie rappresentative che sono una parte, via via sempre meno importante, della stessa Organizzazione dei Paesi industrializzati. Il classico adagio No taxation whithout representation, nessuna tassa senza rappresentanza, che risale alla Magna Charta e alla rivoluzione americana, può essere oggi aggiornato in questo modo: No taxation, no representation. L’erosione dei sistemi fiscali — che a sua volta erode il welfare state — distrugge le democrazie rappresentative. Se esistono società che sfuggono del tutto a qualsiasi forma impositiva degli Stati e hanno fatturati superiori al loro prodotto lordo, non è remoto il rischio che l’erosione finisca per minare le basi dei sistemi democratici. Le prime si fanno stato; i secondi declinano. Inesorabilmente.

Cosa accadrà da noi

L’Italia, come tutti gli altri Paesi membri dell’Unione europea, ha recepito nel proprio ordinamento la Global minimum tax con il decreto legislativo n. 209 del 27 dicembre scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del giorno dopo. Dei 141 Paesi aderenti all’Ocse hanno firmato in 135. Il nuovo sistema di tassazione delle multinazionali si divide in due pilastri, in due pillar. Mette in discussione il concetto di «stabile organizzazione» di un’impresa in un Paese come requisito indispensabile per l’imposizione fiscale, di fatto inapplicabile soprattutto per i giganti del web. Il pillar 1 era stato pensato originariamente per tassare proprio le Big Tech, poi si è allargato alle multinazionali con più di 20 miliardi di fatturato e una profittabilità superiore al 10 per cento. In tutto stiamo parlando di appena 98 gruppi internazionali.

Il pillar 2 ha come scopo anche quello di contrastare la delocalizzazione delle produzioni come forma di elusione e riguarda tutte le multinazionali con un giro d’affari superiore ai 750 milioni di euro in almeno due dei quattro anni precedenti all’introduzione della norma. Si tratta di almeno 4 mila gruppi di imprese. Il pillar 2 è stato già recepito, oltre che dall’Unione europea, da una ventina di altri Stati, ma con alcune assenze di peso: Cina, India e soprattutto gli Stati Uniti, senza l’assenso dei quali nessuna iniziativa in sede Ocse sarebbe stata possibile (fu Janet Yellen, segretaria al Tesoro, a sbloccare il dossier con una sua importante dichiarazione). Ed è proprio all’America che tutti guardano per saggiare le possibilità di successo della Global minimum tax. Washington abbandonerà la Gilti, ovvero la tassa minima sui redditi esteri, proprio nell’anno elettorale scontentando alcune sue grandi imprese, peraltro decisive nel finanziamento dei candidati? Molte le complicazioni. Quali le principali? «Prima di tutto — è l’opinione di Tommaso Di Tanno, tra i massimi esperti in materia — si tratta di comprendere le diversità dei vari sistemi tributari. Un lavoro gigantesco. E bisogna farlo da subito. Perché se è vero che l’aliquota del 15 per cento si pagherà tra due anni, i dati necessari per completare il Global information return, documento che va presentato entro il giugno del 2026, si cominciano a raccogliere fin da ora».

Una multinazionale italiana con una controllata estera che opera in un Paese con una imposizione effettiva inferiore al 15 per cento (il Brasile per esempio) pagherà la differenza. Nel caso invece di una multinazionale estera con una controllata italiana - che versa apparentemente il 24 per cento sugli utili — si aprirà lo spinoso tema della confrontabilità delle basi imponibili. Occorrerà considerare tutte le agevolazioni di varia natura — dall’Ace agli investimenti nelle zone Zes — per verificare qual è l’aliquota effettiva. Se questa scende sotto il 15 per cento occorrerà versare la differenza. «Non solo — aggiunge Di Tanno — per determinare la base imponibile è necessario fare riferimento ai bilanci che sono scritti secondo norme contabili differenti e nazionali con l’eccezione delle società quotate. Poi: chi farà rispettare la legge? Quali competenze saranno necessarie alle varie agenzie nazionali per controllare l’attendibilità dei dati? Le nuove norme riservano un ruolo decisivo al commentario Ocse. Il che solleva qualche dubbio di carattere costituzionale perché l’applicazione della Global minimum tax esautora in qualche caso i Parlamenti. Uno strappo, non c’è dubbio. Ma forse questo è l’unico modo per andare avanti in una materia che, se non regolata, mette in discussione altri principi, anche più importanti di quelli fiscali».

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