Lo sfogo di Ilaria Salis: «Io sto male e vorrei tornare a casa»

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diGiovanni Bianconi

Il percorso a ostacoli per la custodia «attenuata». A Budapest l’attesa per la lettera del governo italiano

DAL NOSTRO INVIATO
BUDAPEST — «Stanno lentamente venendo incontro alle mie esigenze, ma io continuo a stare male e vorrei tornare a casa», ha detto ieri mattina Ilaria Salis al suo avvocato ungherese, Gyorgy Magyar. Il legale è andato a trovarla nella prigione al centro di Budapest dov’è rinchiusa da quasi un anno, e riferisce le impressioni della sua assistita dopo le novità e i sussulti (anche mediatici) degli ultimi giorni: «Ilaria è stanca ma moralmente molto forte, e continua a resistere. Attualmente sta in una cella con altre sette detenute, ma le condizioni di pulizia e igiene sono migliorate. Le autorità ungheresi hanno compreso la situazione, rispondono alle sue richieste e alle sollecitazioni dell’Italia. Anche la visita in carcere che le ha fatto il procuratore capo va in questa direzione».

Il colloquio di inizio settimana tra Salis e il procuratore di Budapest Zoltan Szaloki è connesso all’incontro avuto dall’ambasciatore italiano Manuel Jacoangeli con il ministro della Giustizia ungherese Bence Tuzson (non Judith Varga, come scritto in precedenza), nel quale il Guardasigilli aveva promesso di interessarsi delle condizioni di detenzione dell’imputata.

L’avvocato ungherese

«Ora le è stata assicurata assistenza per poter leggere tutti gli atti d’accusa in lingua italiana — spiega ancora l’avvocato Magyar — e anche la possibilità di visionare le riprese delle telecamere di sicurezza che costituiscono la principale prova a suo carico, finora negata». Ma accanto alla situazione carceraria della donna c’è la vicenda processuale della militante antifascista, imputata di lesioni potenzialmente letali aggravate dall’aver partecipato a un’associazione sovversiva per due aggressioni ad altrettanti neonazisti, su cui si sta concentrando il lavoro dei suoi legali. A Budapest ma soprattutto in Italia. Perché è da lì che potrebbe venire la svolta per farla uscire di prigione, attraverso la concessione degli arresti domiciliari cautelari a casa sua. Con la garanzia, offerta dal governo di Roma, delle condizioni di sicurezza a mezzo di braccialetto elettronico, e la disponibilità a riportarla davanti ai giudici ungheresi per ogni eventuale esigenza.

«Aspettiamo questa dichiarazione delle autorità italiane, poi faremo l’istanza al giudice di qui», dice Magyar. Consapevole che il sentiero resta lungo e stretto: «Dal momento della presentazione della richiesta ci vorrà almeno un mese prima della decisione del magistrato». Più semplice sarebbe ottenere la misura cautelare attenuata in Ungheria, ma il legale confida che le garanzie attese dall’Italia possano aiutare l’altra soluzione. Caldeggiata dal difensore italiano dell’imputata, l’avvocato Eugenio Losco, che lunedì incontrerà i ministri della Giustizia Carlo Nordio e degli Esteri Antonio Tajani (insieme al padre di Ilaria, Roberto Salis) proprio per spingere in questa direzione.

La carta europea

Un cittadino ungherese avrebbe maggiori possibilità, rispetto a uno straniero senza residenza né appoggi locali, di ottenere gli arresti domiciliari in attesa della sentenza. «Ma questa sarebbe una ingiusta discriminazione», sostiene l’avvocato citando una decisione-quadro del Consiglio dell’Unione europea adottata fin dal 2009. Lì è scritto che «in uno spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente».

Enigmi

Parole chiare ma non semplici da tradurre in pratica. Che potrebbero aprire la strada alla custodia cautelare «attenuata» in qualche residenza a Budapest, o al caldeggiato trasferimento in Italia (con l’assicurazione di applicare tutte le necessarie misure di sicurezza) prima dell’eventuale verdetto di colpevolezza. Per il trasferimento in Italia, infatti, è indispensabile la concessione di una misura «meno afflittiva» rispetto alla detenzione in carcere, non essendoci leggi che consentono di passare da una prigione di uno Stato a quella di un altro senza una sentenza di condanna.

A processo in corso sarebbe invece possibile, proprio in attuazione di quella decisione-quadro, spostarsi da un Paese all’altro per applicare un provvedimento restrittivo diverso, come appunto gli arresti domiciliari. Gli uffici tecnici del ministero della Giustizia italiano stanno mettendo a punto un documento da sottoporre al Guardasigilli Nordio per illustrare la praticabilità di questa soluzione. Che tuttavia richiede diversi passaggi: istanza dei difensori; accoglimento da parte del giudice ungherese; trasmissione del provvedimento, tramite ministero, alla Corte d’appello di Milano (o un’altra competente) che dovrebbe poi applicare in Italia la decisione presa a Budapest. Resta da capire se non sia necessario il passaggio intermedio dei domiciliari concessi inizialmente presso un indirizzo ungherese; un altro enigma non semplice da sciogliere.

Fuori dall’antico carcere dov’è rinchiusa la trentanovenne di Monza, al numero 25 di Gyorskocsi utca, oltre alla bandiera ungherese sventola quella azzurra dell’Unione europea. Ilaria Salis confida, insieme ai suoi familiari e avvocati, che l’esposizione di quel vessillo non sia solo una burocratica e insignificante formalità.

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3 febbraio 2024 ( modifica il 3 febbraio 2024 | 08:05)

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