Palazzo Chigi e ministeri, boom dei dirigenti top: +56% in pochi anni. Ma sono capaci?
Un pensiero contrito va prima di tutto a Elon Musk, fondatore e amministratore delegato di Tesla, per il quale l’azienda dell’auto elettrica ha appena proposto all’assemblea dei soci un pacchetto di compensi da 56 miliardi di dollari - miliardi, non milioni - sui prossimi dieci anni. Di recente un giudice del Delaware aveva bloccato il maxi-bonus, ma ora Tesla corre ai ripari spostando la sede legale in Texas. Negli stessi giorni Musk ha scritto a tutto il personale annunciando il licenziamento di «più del 10%» dei dipendenti, mentre le vendite sono in calo e il titolo quest’anno ha già perso il 38,5%. Vorrei occuparmi però oggi di un caso molto meno estremo di organizzazioni nelle quali la testa diventa sempre più pesante e le membra sempre più fragili. Avete mai dato un’occhiata agli organigrammi dei ministeri e della Presidenza del Consiglio dei ministri in Italia?
Gli organigrammi
A rischio di rovinare la suspence, premetto: quegli organigrammi non sono lontanamente paragonabili alla concentrazione di potere e denaro ai vertici di una società quotata americana. Non intendo minimamente suggerirlo. Eppure il modo in cui cambiano i ministeri qualche particolarità la presenta. E pone delle domande: sul funzionamento della macchina statale, sulle abitudini che sta prendendo la politica, sugli effetti del Covid, del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del passaggio di tanti governi sullo stesso corpo burocratico.
I numeri degli organici
Partiamo dunque dai dati. La struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri in Italia presenta alcune caratteristiche che saltano subito all’occhio, sia a confronto di omologhi uffici in altre capitali europee che rispetto al resto del governo: è strapiena di dirigenti, soprattutto apicali. Di solito gli uffici dei premier in Europa sono snelli, concentrati sugli indirizzi di fondo, in modo da lasciare agli apparati di settore i compiti di merito. Invece Palazzo Chigi ha ormai 115 dirigenti di «prima fascia», di gran lunga il numero più elevato rispetto a qualunque ministero in Italia (incluso il più vasto di tutti, l’Economia e le Finanze).
La sproporzione
L’altra peculiarità è l’apparente sproporzione fra questi dirigenti elevatissimi e il numero di alti dirigenti elevati sì, ma un po’ meno («seconda fascia»). Lo vedete nella tabella qui sotto. Nel resto del governo c’è un dirigente di prima fascia ogni quattro, cinque o addirittura ogni dieci, venti o cinquanta funzionari di grado immediatamente inferiore. Logico: i primi sono capi dipartimento, i secondi gestiscono specifiche articolazioni all’interno di ciascun dipartimento. Invece a Palazzo Chigi i dirigenti di prima fascia ormai sono così numerosi che non si arriva neanche a due «seconde fascie» per ciascuno di essi: come se le specifiche aree poste al di sotto fossero troppo poche; o loro fossero, ehm, troppi.
La centralità di Palazzo Chigi
Todos caballeros? Qui posso solo tentare delle ipotesi. La prima è che ogni grande evento passeggero stia lasciando su Palazzo Chigi la sedimentazione di un nuovo strato di grand commis, che poi continuano a insistere per sempre sulla stessa amministrazione: lo ha fatto la pandemia, lo sta facendo il Piano nazionale di ripresa e resilienza; tutti passaggi transitori che attraggono altissimi funzionari e poi lasciano impatti permanenti sui piani alti. Collegata a questa è la seconda ipotesi, quasi una certezza in realtà: la Presidenza del Consiglio sta accentrando un numero crescente di politiche che in teoria spetterebbero ai ministeri, evidentemente ritenuti inferiori al compito. L’incarico sulla Gioventù e la Famiglia spetterebbe al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali; l’agenda digitale spetterebbe al ministero delle Imprese; il Pnrr dovrebbe essere nelle mani della vastissima e specializzata amministrazione del ministero dell’Economia.
Le nomine
Invece no: tutto viene accentrato, sempre di più (non solo, ma anche, dall’attuale governo); succede soprattutto se la materia accentrata comporta molto denaro da gestire e distribuire nel Paese; e naturalmente ogni accentramento porta con sé un’ondata di nomine di alti burocrati compiute sulla base di rapporti di fiducia con i politici di turno e non - come prevedono gli articoli 97 e 98 della Costituzione - sulla base del merito e della neutralità («I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione» e «I pubblici uffici sono organizzati (...) in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione»).
L’aumento dei funzionari
Dato questo stato di cose al centro del sistema, uno si aspetterebbe che i vertici amministrativi dei ministeri decrescano in numero. O almeno non crescano. Invece, anche qui, no: crescono, eccome se crescono. Negli ultimi cinque anni il ministero dell’Istruzione ha visto un aumento dei funzionari apicali del 40%, quello della Salute del 38,5%, mentre il ministero dell’Economia e delle Finanze è passato da 59 dirigenti di prima fascia nel 2018 a 92 attuali (un’impennata del 56%; solo durante l’attuale governo, un aumento di quasi il 10% sia per gli apicali che le seconde fasce). In particolare nel caso del Mef, all’aumento del numero dei dirigenti non sembra corrispondere un rafforzamento dei muscoli amministrativi. Piuttosto, il contrario: Palazzo Chigi ha sfilato all’Economia la gestione del Piano di ripresa, mentre soprattutto il dipartimento Finanze ha commesso alcuni marchiani errori nello stimare l’impatto di costo del Superbonus. Si direbbe che sia aumentata la quantità dei dirigenti, non sempre la loro qualità o capacità di farsi ascoltare dai politici.
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La crescita degli organici
Del resto la crescita degli organici apicali non si limita al Mef. Dal 2022 il ministero dell’Università ha visto aumentare del 33% i dirigenti di prima fascia e del 19,5% quelli di seconda; il ministero dell’Ambiente ha visto aumentare del 30% i dirigenti di prima fascia; Infrastrutture e Trasporti del 5% la prima e dell’11% la seconda. Si direbbe che stia prendendo piede una sorta di mai dichiarato "spoils system" all’italiana, che va ben aldilà dei casi ristretti per i quali esso è legalmente previsto. Anziché sostituire un burocrate al cambio di stagione politica - come lo "spoils system" renderebbe possibile solo per un ristretto numero di grand commis di assoluto vertice - si aggiunge sempre qualcuno sopra o a fianco di chi non può essere mandato via. Così si allarga sempre di più il campo delle nomine puramente fiduciarie da parte dei politici.
La testa più pesante
E sotto? Sotto, nei ranghi medi, medio-alti e bassi della burocrazia, non succede nulla. O meno di nulla. Per anni il blocco del turnover ha determinato mancate sostituzioni dei pensionati, dunque smagrimento e invecchiamento degli uffici. Ora la legge consente di sostituire chi lascia, ma niente di più. Così la testa burocratico-amministrativa dello Stato centrale diventa sempre più pesante, ma chissà quanto agile e incisiva; intanto le sue articolazioni faticano a dotarsi degli ingegneri, dei data scientist e dei project manager. In sostanza, faticano a dotarsi della competenza tecnica e delle capacità di merito che servirebbero. Una dimostrazione? Le burocrazie ministeriali fanno sempre più ricorso a contratti con società internazionali di consulenza per gestire il Pnrr, chiedendo loro di mandare negli uffici pubblici i loro esperti ad affiancare i funzionari ministeriali e fare ciò che questi non sanno o non sono abbastanza numerosi per fare. Ma non è il caso di prendersela con le boutique dei superconsulenti: quelle non fanno che il loro lavoro. Soprattutto se c'è qualcuno che le supplica di intervenire in supplenza del proprio.

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