L'Iran minimizza l'attacco di Israele (e aumenta ancora la repressione)
Sarcasmo sul raid, ronde della polizia morale nelle città e nuovi video di violenze sulle donne

Donne sollevano i ritratti dell’ayatollah Khamenei durante una manifestazione anti-israeliana a Teheran (Reuters)
«Zanzare»; «Imprudenti fuochi d’artificio»; «Ridicola operazione». Come si fa nelle gare di «virilità», c’è il tempo dei fatti — in questo caso dei droni e dei missili — e poi quello del sarcasmo irridente, delle parole contundenti — in questo caso della minimizzazione dell’azione. E minimizzare l’attacco israeliano a Isfahan è quello che hanno fatto le autorità iraniane dalle prime ore di ieri mattina.
«I mini droni non hanno causato danni né vittime, nonostante gli sforzi dei media pro-israeliani volti a far passare una sconfitta come una vittoria», commenta il ministro degli Esteri Amirabdollahian. «Israele ha accettato il suo fallimento», dice il portavoce del Consiglio di presidenza del Parlamento Nezameddin Mousavi. Addirittura il presidente Ebrahim Raisi non nomina il nemico e torna sulla pioggia di droni e missili che la Repubblica islamica ha lanciato contro lo Stato ebraico e parla di «potenza delle nostre forze armate». Silenzio profondo invece dal leader supremo Ali Khamenei che proprio ieri ha compiuto 85 anni. «Happy birthday, ayatollah», lo sbeffeggiano sui social gli iraniani e le iraniane che vogliono la sua fine.
«Né io, né la mia famiglia abbiamo sentito niente», racconta Ali, studente di Isfahan che ci tiene a ricordare che la sua città è bellissima: «La chiamano la Firenze d’Iran». Tutti sperano che l’attacco israeliano sia davvero un messaggio di de-escalation e che segni la fine di queste giornate di paura. «Siamo in allerta, conosciamo la guerra — dal 1980 al 1988 contro l’Iraq — ma cerchiamo di non farci prendere dal panico. Abbiamo già la nostra da portare avanti», scrive Samira da Teheran. «La nostra» è la guerra del popolo iraniano contro il regime che dal giorno in cui ha sferrato l’attacco contro Israele è tornato più feroce che mai.
Gli attivisti ci raccontano di un video in cui si vedono due genitori piangere davanti al quartier generale della polizia morale, a Teheran, lo stesso edificio in cui è stata picchiata e mandata in coma Mahsa Amini. A un certo punto compare una scritta: «Un’altra ragazza uccisa». Non abbiamo conferma della sua morte, ma sappiamo che è l’ennesima donna presa in queste ore di ronde e agguati contro le cittadine d’Iran. La colpa sarebbe quella di aver difeso una quattordicenne che non indossava il velo.
«Funzionano così le dittature», dice al Corriere Farzin Nadimi, esperto di Difesa iraniana del Washington Institute. «Il regime si regge sulla repressione. Khamenei sa che la maggioranza del popolo vuole la sua fine. Gli ayatollah temono che le persone utilizzino questo momento di caos esterno per tornare a protestare, accelerando il processo rivoluzionario». E puniscono le ragazze che li «sfidano» a colpi di chiome e caviglie scoperte.
Sui social si moltiplicano i video e le foto delle famigerate camionette bianche della polizia religiosa e dei suoi agenti che, con il giubbotto antiproiettile, trascinano donne per i capelli, le picchiano, le insultano. «Mandano droni su Tel Aviv, ma il vero campo di battaglia rimane il nostro corpo», dice sempre Samira. Ghazaleh ci scrive: «Di mattina abbiamo paura della polizia morale, di notte delle bombe». La madre di Nika Shakarami — una ragazza di 17 anni uccisa nell’autunno del 2022, simbolo della rivoluzione — ha fatto sapere che è stata presa anche l’altra figlia, Aida.
Il cappio della censura e dei divieti si fa stretto anche sui social — vietato scrivere commenti di supporto a Israele — e sulle penne dei giornalisti: «Due quotidiani iraniani sono stati segnalati perché hanno criticato i missili sullo Stato ebraico», racconta Amir Kalhor, giornalista del riformista Sharg, oggi in Inghilterra.
Intanto, gli attivisti ci inviano una foto di un muro a Teheran. Con la bomboletta spray qualcuno ha scritto: «Noi stiamo con Israele».