Nadal, il mancato ritiro dal Roland Garros, la festa rifiutata e il rito collettivo della nostalgia

diMarco Imarisio

Al Roland Garros c'era una folla traboccante riconoscenza pronta a salutare Nadal, da Alcaraz a Djokovic, ma lui ha rifiutato la festa: non lo so se mi ritiro. Da Federer al declino di Messi e Ronaldo: i tanti finali imperfetti delle carriere dei campioni

Ancora una volta abbiamo partecipato al rito collettivo della nostalgia. Eravamo in ventimila, tutti convinti che sarebbe stata l’ultima volta. All’ingresso in campo, lo speaker dello Chatrier non si è militato ad elencare il numero di Slam vinti, ma ha cominciato a fare una cantilena in crescendo con gli anni dei suoi trionfi su questo campo. 
Tutti insieme: Deux-mille-cinq, deux-mille-six, deux-mille-sept e poi avanti per altre undici volte fino al 2022. Come per rivivere, e ricordare, l’epoca che abbiamo vissuto, e quello che stavamo perdendo. La tribuna stampa era piena come mai negli ultimi vent’anni al Roland Garros, sugli spalti dove non c’era spazio per uno spillo c’erano anche il suo passato e il suo futuro, Novak Djokovic, Carlos Alcaraz, la numero uno del mondo Iga Swiatek che per lui ha una adorazione assoluta.

C’era tutto e c’eravamo tutti, una folla traboccante riconoscenza e rimpianto. Ancora una volta è mancato lui. Nel senso della sua decisione, della sua scelta. Non lo so se mi ritiro, magari potremo rivederci ancora. Rafael Nadal ha rifiutato la festa che gli era stata preparata dagli organizzatori, era già pronto un filmato di quasi dieci minuti, bellissimo. Magari ci ripenso, senz’altro ci rivediamo anche per le Olimpiadi, forse anche l’anno prossimo. Non è certo una colpa, non sapere cosa fare, non sapere qual è il momento giusto per farla finita con un pezzo della propria vita. Gli atleti muoiono due volte, afferma un detto inglese. Una alla fine delle loro vite, come tutti, e un’altra quando di ritirano dalle gare.

Murray, il ritiro e il ritorno 

Negli ultimi anni, è come se si stesse affermando una sorta di limbo, una interminabile fase di passaggio. La sera prima della celebrazione di Nadal, c’era stato il mesto saluto di Andy Murray, che sullo Chatrier deserto, si è congedato dal torneo dove ha giocato una finale e tre semi perdendo da Stan Wawrinka, con il quale ha costituito la coppia dei mortali più forti nell’epoca dell’inarrivabile Santa Trinità Federer-Nadal-Djokovic. 

Proprio per questa coincidenza di destini, e per la consapevolezza che entrambi non ci saranno al torneo dell’anno prossimo, è la loro ultima stagione, è stato tutto molto bello, quasi intimo. Murray ha riconosciuto che forse è la volta buona. Ma vatti a fidare. Sono ormai trascorsi cinque anni da quando agli Australian Open il suo ritiro venne celebrato con un video commemorativo e la folla in piedi ad applaudirlo. Invece ritornò, e il Murray 2.0 non è mai stato nemmeno vicino al modello originale, così come quella di ieri, fa male dirlo, era una copia molto sbiadita del guerriero Nadal, perché un anno e mezzo di infortuni e di inattività non si regalano a nessuno. Nemmeno a lui.

Sarà che questa edizione del Roland Garros somiglia molto al valzer delle candele, «Domani tu mi lascerai e più non tornerai, domani tutti i sogni miei li porterai con te»: già nelle qualificazioni ha salutato Dominic Thiem, poi Murray e Wawrinka, Nadal chissà, oggi dirà addio per la quinta volta Pierre-Hugues-Herbert contro Djokovic, e soprattutto domani dovrebbe essere Jannik Sinner a mettere il sigillo sulla carriera di Richard Gasquet.

Federer e quell'addio un po' pacchiano

Sarà che il tennis è sport individuale e individualista per eccellenza, e non concede quindi un riparo sicuro per mascherare il proprio declino. Come invece accade nel calcio, dove Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, continuano a sopravvivere a sé stessi con i loro highlights provenienti da campionati ricchi e di basso livello, uno specchio di Dorian Gray per loro e una illusione da tramandare via social per i molti che li hanno amati.
Ma tanto per parafrasare una canzone famosa, «addio» sembra essere diventata la parola più difficile da pronunciare per le leggende dello sport.

Federer ci mise due anni, durante i quali la sua presenza aleggiava sul circuito. E quando arrivò il momento, non piacque quasi a nessuno. Anteponendo la logica del proprio business a quella sentimentale, il tennista più elegante di sempre scelse di ritirarsi con una cerimonia un po’ pacchiana, giocando un doppio dilettantistico insieme alla sua nemesi Rafael Nadal, durante una esibizione, la Laver Cup, un finto torneo organizzato dal suo manager, dove i giocatori sono pagati anche per fingere di appassionarsi alla vicenda. Esistono tante buone ragioni, per procrastinare. Sono sempre i soldi a comandare, e oggi i campioni la tirano lunga perché sono multinazionali ad personam. La seconda, propedeutica alla prima, è il rispetto che loro reclamano per sé stessi. Murray, incalzato dai media inglesi che non si fanno una ragione di questo suo crepuscolo prolungato, ripete sempre la stessa frase. Voglio deciderlo io, non mi importa dell’immagine che restituisco di me. Come fosse una questione privata, un problema personale. Se non hai mai conosciuto altro nella vita che una racchetta e una pallina da tennis, o un pallone da calcio, o di basket, il dopo fa paura. Nadal, Murray, Djokovic e gli altri si definiscono come creature mono pensiero. La loro vita è il tennis. Immaginarsi senza, li pone davanti a un dilemma che non sono preparati ad affrontare. E le ragguardevoli dimensioni del portafoglio comunque non servono per tenere lontana la sensazione del baratro, l’horror vacui.

federer nadal

Tanti finali imperfetti

La verità è che andarsene, e lasciar andare la propria vita precedente, è un’arte difficile. L'uscita di scena perfetta non esiste. Roger non si è ritirato nella sua Wimbledon, oppure a Basilea, nel suo vero torneo, dove aveva cominciato come raccattapalle. E Rafa non lo ha fatto ieri, nel luogo e nel giorno in cui tutto sarebbe stato bello e ancora più struggente. 
Nel 2002, quando Pete Sampras, declinante e inattivo da mesi, vinse il torneo e salutò tutti nel modo più «rotondo» immaginabile, la sua perfetta scelta di tempo venne criticata con argomenti opposti. «Questa vittoria dimostra che ha ancora così tanto da dare» protestò Sport Illustrated.
Forse, questa continua esitazione sull’ultimo passo dipende anche da noi. Soprattutto da noi. La Santissima Trinità nel tennis, i Messi e i Ronaldo, LeBron James, ma anche Valentino Rossi, tanto per citare un altro che avrebbe potuto fare prima, non hanno definito solo la loro vita, ma anche le nostre. Ci hanno fatto compagnia, mentre cercavamo lavoro, ci sposavamo, mentre cullavamo figli appena nati. Lasciar andare loro, significa prendere congedo anche da un pezzetto di noi stessi, o almeno misurare lo scorrere del tempo sulle nostre esistenze. 
Sappiamo che non può durare per sempre, ma fatichiamo ad accettare l’idea. Ci secca questo senso di festa rovinata e di lacrime trattenute che ha lasciato Nadal al Roland Garros. Ma a pensarci bene, l’addio è solo un dettaglio. Loro hanno ogni diritto di decidere il come e il dove. Mentre tutto sommato, noi abbiamo il dovere di non giudicare queste storie bellissime dai loro finali imperfetti. 

28 maggio 2024

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