Alitalia licenzia 2.668 persone (che avranno la cassa integrazione fino al 31 ottobre 2024)
di Leonard Berberi
In un Paese dalla demografia avversa che erode ogni anno di più i fattori della crescita, uno di questi è il rientro in patria di chi era emigrato. Gli italiani di ritorno – attuali e potenziali – possono portare competenze, motivazioni, nuovi modelli di business, produttività, consumi, nuove famiglie, nascite. Possono portare il dinamismo che in Italia, visibilmente, manca. E spesso lo fanno per il motivo più semplice: gran parte di coloro che tornano lo fanno perché vogliono aumentare il loro reddito netto disponibile. Vogliono anche godere di una cucina di migliore qualità, di più tempo all’aria aperta e dei paesaggi, secondo un sondaggio condotto fra gli espatriati di ritorno. Ma le loro risposte confermano un punto di fondo: l’aspirazione a una migliore qualità di vita nel tempo libero non basterebbe a far loro compiere una scelta di vita così impegnativa.
Dal 2015, poco meno di mezzo milione di italiani sono rientrati dall’estero. Lo hanno fatto, in primo luogo, per guadagnare di più. La remunerazione salariale è il primo fattore citato per spiegare la loro scelta da un campione di circa 400 migranti di ritorno sondati dall’associazione ChEuropa, che li riunisce: circa per il 45% dei lavoratori del settore privato e oltre un quarto di tutti i lavoratori nel complesso.
In questo gli sgravi fiscali al rimpatrio sembrano aver svolto un ruolo decisivo. Ridurli fortemente, come prevede la legge di bilancio ora in parlamento, può bloccare la scelta di rimpatrio di almeno mezzo milione di italiani nel prossimo decennio.
Fino a metà dello scorso decennio i flussi di rientro in Italia erano deboli e stagnanti a circa 30 mila casi l’anno e la forbice con le circa centomila uscite ufficiali annue si stava allargando sempre di più. Poi l’introduzione di una serie di incentivi fiscali – oggi sono sgravi sul reddito personale al 70% per il primo quinquennio, al 50% per secondo – hanno impresso un cambio di rotta: i rientri nel 2021, agli ultimi dati disponibili, hanno contribuito a portare i flussi in ingresso a 75 mila persone e sono ancora in aumento anno dopo anno.
L’impatto sul prodotto interno lordo italiano è notevole, perché il reddito medio di chi si stabilisce in Italia dall’estero con gli incentivi è di ben 122 mila euro (secondo le stime fornite dal ministero dell’Economia alla commissione Finanze della Camera). Se si ipotizza con molta cautela che anche solo ventimila persone l’anno – su 75 mila – si stabiliscono in Italia a causa degli sgravi, emerge che la loro massa salariale e probabilmente anche il loro contributo al Pil è di oltre due miliardi di euro l’anno.
Ora la legge di bilancio in parlamento riduce molto l’impatto e la durata degli incentivi. Si prevede che coprano solo il 50% per il primo quinquennio, poi finiscano. Gli esiti sono ambivalenti. Da un lato si riducono la complessità e i trattamenti particolari per certe categorie, che contribuiscono a rendere il sistema fiscale opaco e iniquo. Dall’altro si rischia di bloccare un canale che aumenta la dotazione di competenze, esperienza e manodopera altamente motivata, proprio in un momento in cui la demografia e la «fuga dei cervelli» dall’Italia (che continua) rende difficile per molte imprese reperire del personale adeguato e dunque le disincentiva a investire.
In questo i sondaggi delle associazioni di rimpatriati ChEuropa e Controesodo, condotti in parte in collaborazione con il Corriere, gettano una luce su questa parte spesso poco capita parte della società italiana. Tra tre quarti e più di quattro quinti di un campione di circa 1.400 «cervelli di ritorno» giudica che la riduzione della percentuale dello sgravio e il dimezzamento della sua durata «scoraggerebbero molto» i rientri dall’estero. Va ricordato che la stretta non si applicherebbe alle persone sondate, perché la norma oggi in legge di bilancio non è retroattiva.
Ma l’opinione dei rimpatriati è chiara: non vedono molte altre ragioni per tornare, se non possono migliorare il loro tenore di vita. Sicuramente è apprezzata la «cultura del lavoro agile» presente in Italia (dal 24%). Ma risultano quasi inesistenti fra le motivazioni citate per spiegare la scelta del rientro fattori essenziali quali, per esempio, la «qualità della governance e del management» o «l’investimento del datore di lavoro in formazione continua», oppure «l’inclusione e le pari opportunità» o ancora la «valorizzazione della ricerca e dell’innovazione». In sostanza le aspettative degli italiani di ritorno su questi aspetti della vita lavorativa nel loro Paese sono già bassissime in partenza. Forse, semplicemente, conoscono il loro Paese. O conoscono molte persone delle generazioni precedenti che popolano i piani alti delle imprese.
Eppure anche queste basse aspettative di partenza sembrano essere a loro volta deluse. L’aspetto su cui più spesso gli italiani rimpatriati dichiarano che le loro attese sono state «tradite» al ritorno è proprio la «qualità della governance e del management» (50% di delusi). Moltissimi delusi (41%) anche riguardo al «coinvolgimento dei lavoratori nella visione aziendale» e alle «relazioni interpersonali al lavoro». Fra i dipendenti del settore pubblico solo il 38% dei rimpatriati si dice «soddisfatto o molto soddisfatto» della sua scelta di tornare.
Sarebbe bello avere un’Italia con una cultura d’impresa più moderna, più aperta, con più manager illuminati, con un’amministrazione dinamica e stimolante e tecnologie di punta che attraggono giovani dall’estero per il piacere e l’orgoglio di lavorare qui. Ma quell’Italia, per ora, non c’è. Gli espatriati tornano, in quote importanti, semplicemente per guadagnare di più grazie agli sgravi. Senza quelli rischiamo di non vederli tornare, mentre altre centinaia di migliaia di italiani continuano a fare le valigie e a partire. E allora il costo per l’economia o il gettito fiscale sarebbe ben più alto di quanto lo Stato otterrebbe tagliando questi incentivi agli espatriati.
Iscriviti alle newsletter di L'Economia
Whatever it Takes di Federico Fubini
Le sfide per l’economia e i mercati in un mondo instabile
Europe Matters di Francesca Basso e Viviana Mazza
L’Europa, gli Stati Uniti e l’Italia che contano, con le innovazioni e le decisioni importanti, ma anche le piccole storie di rilievo
One More Thing di Massimo Sideri
Dal mondo della scienza e dell’innovazione tecnologica le notizie che ci cambiano la vita (più di quanto crediamo)
E non dimenticare le newsletter
L'Economia Opinioni e L'Economia Ore 18
Corriere della Sera è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati.
02 dic 2023
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di Leonard Berberi
di Francesco Bertolino e Daniela Polizzi