Perché Trump sta cambiando posizione sull'Ucraina
Oggi Joe Biden firma la legge già votata al Congresso, che rifinanzia gli aiuti americani a tre paesi: Ucraina, Israele, Taiwan. Il più bisognoso nell’immediato è l’Ucraina, in gravi difficoltà di fronte all’avanzata russa e a corto di tutto: munizioni, pezzi di ricambio, armi di ogni tipo. Questo sostegno americano è in ritardo di mesi, perché era tenuto in ostaggio al Congresso dalle resistenze del partito repubblicano.
Perché queste resistenze sono venute meno di colpo? Perché lo Speaker of the House, cioè il presidente della Camera Mike Johnson, repubblicano, ha sbloccato il pacchetto di aiuti ed ha accettato un compromesso coi democratici?
I retroscena di questa schiarita bipartisan sono importanti, anche perché forniscono qualche elemento per prevedere quale politica estera farà l’America dopo il 5 novembre, qualora dovesse vincere Donald Trump.
La prima spiegazione per la svolta di Johnson la riassumo così: l’establishment esiste ancora. Il presidente della Camera è stato sottoposto a un assedio incessante da parte dei vertici militari e dei servizi segreti. Dai capi del Pentagono alla Cia alle altre agenzie di intelligence, c’è stato un lavoro sistematico di informazione, persuasione e pressione nei suoi confronti: gli hanno spiegato come e perché quel supporto andava fornito all’Ucraina, cosa sarebbe successo in mancanza di quegli aiuti, quali sarebbero le conseguenze nefaste di una vittoria finale di Putin sulla sicurezza degli stessi Stati Uniti, oltre che di tutti gli alleati europei.
L’establishment militare, di intelligence e di politica estera è per lo più bipartisan o indipendente. Ha forti e storici agganci con la base repubblicana, dove si trovano bacini di reclutamento tradizionali delle forze armate. Insomma Johnson si è trovato di fronte a un fuoco di sbarramento imponente, gli è stato messo a disposizione un arsenale di argomenti a favore degli aiuti all’Ucraina, che lo ha convinto. Di fronte a una pressione così efficace Johnson ha perfino messo in conto la possibilità di essere sfiduciato dai suoi parlamentari dell’ala isolazionista, ha accettato di far passare la legge con un contributo determinante dei democratici.
E il problema Trump? L’ex presidente aveva ostacolato gli aiuti all’Ucraina cavalcando la corrente isolazionista dell’opinione pubblica. Anche quando era alla Casa Bianca – cioè prima dell’invasione russa del 2022 – lui aveva espresso diffidenza e riserve nei confronti della causa ucraina. Se Trump avesse voluto ostacolare apertamente Johnson, poteva fomentare tra i suoi fedelissimi alla Camera una rivolta ben più ampia di quella che c’è stata, fino alle dimissioni dello Speaker of the House. Johnson ha avuto l’accortezza di visitare l’ex presidente nella sua tenuta di Mar-a-Lago in Florida, e ne ha ottenuto una sorta di tacita neutralità sul provvedimento da votare alla Camera. Con l’avvicinarsi delle elezioni quindi Trump sembra essere diventato meno ostile a Kiev.
Dall’entourage dell’ex presidente sono trapelate varie spiegazioni sui media americani. Da un lato anche Trump è stato sottoposto alla pressione dell’establishment militare – a cui lui ha sempre tributato rispetto e stima – che gli ha illustrato i danni di una vittoria russa. L’establishment militare e dell’intelligence gli ha anche spiegato che, se l’Ucraina resiste, toccherà proprio a Trump (in caso di rielezione il 5 novembre) fare da mediatore fra Putin e Zelensky per un cessate-il-fuoco o addirittura un accordo di pace. Questo lusinga Trump, gli prospetta la possibilità di un ruolo “storico”, e al tempo stesso rende indispensabile un prolungamento della resistenza ucraina.
Infine qualcuno ha fatto balenare a Trump la possibilità che i generosi e costosi aiuti americani a Kiev possano in futuro trasformarsi in prestiti. L’Ucraina nonostante le devastazioni della guerra rimane un paese ricco di risorse naturali, una volta cessato il conflitto e avviata la ricostruzione potrebbe ripagare chi l’ha sostenuta. Un Trump bis alla Casa Bianca potrebbe dunque passare dalla pratica delle donazioni a quella dei prestiti, gratificando la sua base elettorale che si aspetta coerenza con lo slogan America First: gli interessi americani prima di tutto.
Trump avrebbe perfino usato i servizi di un suo vecchio amico-rivale, il senatore repubblicano Lindsey Graham, che in una recente visita a Kiev ha sottoposto l’idea dei prestiti a Zelensky e lo ha trovato d’accordo.
Tutto ciò conduce a una conclusione, provvisoria: sono cominciate le grandi manovre tra i repubblicani tradizionali per garantire che un Trump II non sarebbe eccessivamente destabilizzante per l’ordine mondiale, la sicurezza dell’Occidente, la protezione degli alleati. Al tempo stesso un Trump II a differenza di Biden offrirebbe una veloce apertura di negoziati a Putin.
Sono elementi da tenere d’occhio, che hanno già attirato l’attenzione in tutte le capitali del mondo, fra governi amici o nemici che cercano di fare simulazioni sugli scenari del dopo 5 novembre.
23 aprile 2024, 18:16 - modifica il 23 aprile 2024 | 18:30
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